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ALAIN JOHANNES + THE DEVILS + ANANDA MIDA feat. CONNY OCHS
RAINDOGS HOUSE, P.ZZA REBAGLIATI 1 - SAVONA

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HEADBANGERS PUB, VIA TITO LIVIO 33A - MILANO

Skepticism - Alloy
( 5454 letture )
Quando si inibiscono i sensi, ragione e sentimento cessano di comunicare tra loro: il cervello accantona le memorie ed il cuore, abbandonato, si limita a svolgere il proprio dovere fisiologico. Ma dovesse scoccare una successiva scintilla, il fuoco avvamperebbe più vivo che mai, riducendo in cenere l’artefatta ed esanime serenità. Ecco perché sono mesi che accolgo con diffidenza gli stimoli troppo forti temendo, alla medesima stregua, il promesso lavoro degli Skepticism; da molto si parla di un rientro nella scena e da molto mi sento combattuto tra una lecita curiosità e l’istintiva paura di trafiggere nuovamente lo spirito con una loro release. Il prezioso dischetto si è ovviamente materializzato tra le mie mani, quale oscuro ambasciatore di Metallized, obbligandomi all’impiego per il quale state leggendo. Un titolo profetico, una copertina cupa e monocromatica; un logo minimale; ho già capito: costituisce una minaccia!
Stringo i denti e vi racconto…

Il sound di Alloy si distacca poco o nulla da ciò che i suoi autori rappresentano nell’immaginario comune, con al più la sensazione di avere raffinato qualche soluzione secondaria per un atteso (sperato?) ritorno all’eccellenza. La realtà è questa: i tre precedenti episodi avevano assunto sfumature differenti in relazione alla voglia (e necessità) di forgiare dal nulla un genere che, seppure colmo di buone realtà esecutive, dimostra oramai da anni una certa difficoltà nel percorrere nuove vie e nuove soluzioni. Dall’esordio un po’ minimalista di Towards My End al sofisticato Farmakon, gli Skepticism hanno concepito l’essenza stessa del funeral doom che, nel suo modello più nobile e maestoso, è regolarmente (e correttamente) associato al loro capolavoro Lead and Aether. Scovare in Alloy una buona dose di autocelebrazione è dunque inevitabile e perfino scontato: il filo conduttore di questo ultimo titolo riconduce pienamente allo schema Skepticism perché è proprio il funeral doom, quale genere nella sua totalità, ad essere incontrovertibilmente figlio degli stessi. E questa, permettetemi, è già di per se un’ottima notizia!

A livello tecnico non vi è dunque nessuna rivoluzione, tuttavia va enfatizzato un netto ritorno all’influsso “sacrale” che la band introdusse, con successo, in Lead and Aether (Farmakon da questo punto di vista tirò un po’ il freno): il merito va ovviamente al rientro nelle partiture che contano delle tastiere le cui linee, mai come ora, sono messe in primo piano sulle fondamenta chitarristiche; salvo condimenti armonici votati all’implementazione dello spettro sonoro laddove il plettro si sostituisce ai tasti nel piangere i propri morti, Eero Poyry lavora sui parametri della propria piattaforma in modo da renderne timbrica e restituzione il più possibile vicine a quella di un vero organo ecclesiastico: il soffio nelle artificiose canne elettroniche è malignamente sensuale, orrorifico e teatrale; con il trascorrere dei brani la sua intensità beneficia di un continuo crescendo grazie alla perfetta distribuzione della tracklist. Lode a riguardo.

Il resto, come dicevamo, va di pari passo con la tradizione quindicinnale del quartetto: l’incedere cadenzato ma non indolente è strettamente legato al penultimo Farmakon, episodio in cui si abbandona l’assurda staticità percussionistica (e più in generale ritmica) degli esordi. Il terribile grount aspirato ricalca quanto di più estremo sia stato mai sperimentato in materia (escludendo ridicolaggini alla Rigor Sardonicus ), senza peraltro rinunciare in toto ad una forma di cantato strutturato; raramente (in March October e The Curtain) si percepiscono lontani echi di clean vocals, assolutamente ininfluenti nel giudizio globale; un plauso dunque all’angosciato lamento di Matti che dal lontano Stormcrowfleet ad oggi ha sempre curato con la massima attenzione la propria performance e l’effettistica -pesante- ad essa associata (non rammento un solo intervento incerto ovvero inopportuno in tutta la sua carriera). Sulle chitarre di Jani Kekarainen c’è poco da dire: la distorsione è piuttosto leggera (paradossalmente il cantato è più marcio delle 6 corde) e l’attitudine melodica si sposa perfettamente con il lavoro alle keyboards di Poyry andando a costruire quello scenario agghiacciante che picchierà duro sul vostro cuore; tecnicamente tutte le apparizioni in “solo” sono elementari, ma mi sarei stupito del contrario: è pure un modo per non esasperare la proposta, già di per se ardua (ma non impraticabile) ad un orecchio disabituato al genere. Ciò che invece mi ha davvero sorpreso è l’inedita apparizione del basso: chi conosce gli Skepticism sa bene che il combo rinuncia ad un bass-man fin dai tempi di Aeothe Kaear, ritenendo inutile una linea di accompagnamento aggiuntiva; in realtà, pure in Alloy, non ho idea di chi abbia brandito lo strumento, dato che nel booklet non ho potuto scorgere alcun riferimento a riguardo; ciò che però ho apprezzato (e potrete farlo pure voi grazie alla produzione non penalizzante) è il risultato finale, efficace nel perfezionamento verticale e pure interessante nel suo svolgimento orizzontale. Bellissima la partitura suonata nella parte centrale di March October, quasi dominante nell’economia dello specifico passaggio; addirittura scioccante (in senso positivo) l’apertura solista nel mezzo di Antimony. La scelta si dimostra tutt’altro che pleonastica.

Ciò che comunque risulta davvero impressionante nello scorrere dei 50 minuti di Alloy è l’atmosfera decadente che ogni brano è in grado di suscitare. La ricca ed elegante lentezza costruita sulla melodia di tastiere e/o chitarre scandisce con perfezione i tempi necessari al totale abbattimento dell’umore dell’ascoltatore, trascinato via via in un pozzo sempre più profondo e perverso. Proprio l’alternanza alla guida della melodia cardine tra la 6 corde solista e le due differenti programmazioni della tastiera, unita alla buona personalità delle arie principali nelle singole tracce, forniscono quel dinamismo sufficiente ad impedire eventuali fenomeni di assuefazione a lungo andare tramutabili in crisi di noia; gli attacchi degli strumenti primari non sono certo improvvisi né tantomeno imprevedibili, dato che la struttura della forma-canzone è, da costume, piuttosto stabile e ripetuta nel corso dell’album (non ripetitiva all’interno dei singoli brani), ciò nonostante e considerata l’enfasi tormentata del songwriting, ogni cambio di testimone pare una rigenerante boccata d’ossigeno, altrimenti impossibilitata dall’asfissiante cupezza delle specifiche tematiche sonore; tra l’altro, prescindendo quasi totalmente da richiami “fugati”, l’insieme strumentale si compone in modo equilibrato e mai esageratamente prolisso, aspetto che nel doom non è certo usuale.

In tal senso il pezzo che paga la maggiore accisa è la seconda March October che, a differenza delle sorelle e complice un minutaggio davvero importante, presenta qualche passaggio che la rende un filo barbosa: avvio austero con una cadenza di poco superiore all’altra famosa “marcia” che battezzò gli Skepticism quale band più funesta al mondo, parte centrale articolata ed incentrata sulle mortificanti vocalizzazioni di Matti, ulteriore frenata e ritorno conclusivo all’originaria pigrizia ritmica dei primissimi attimi; su queste premesse l’organo rimane ininterrottamente sottotono ed anche i momenti trattenuti mi paiono un po’ forzati e privi della migliore ispirazione. Alla lunga stanca, ma non necessita di skipping.
Antimony ribalta di soppiatto questo unico senso di affaticamento riportando Alloy verso i fasti di Lead and Aether, pienamente recuperati solo con la limitrofa The Curtain; la prima presenta un’introduzione barocca, un’acustica risonante ed uno sviluppo da vera e propria “messa di requiem”, tuttavia fatica a decollare a causa dei reiterati ping-pong organo/chitarra e bitonale/single note che spezzano la linearità del brano ed impediscono un totale coinvolgimento dell’ascoltatore; intendiamoci, nulla di fastidioso che altresì pare introdurre, con il logico crescendo di cui vi parlavo, la faccia migliore del lavoro.
The Curtain, nonostante si caratterizzi per le keyboards meno imponenti e proponga qualche disomogeneo vocalizzo urlato ma non distorto, rappresenta il picco massimo dello “scetticismo” espresso in questo Alloy; ogni porzione, più o meno cadenzata (la metrica delle percussioni è comunque al limite dell’arresto cardiaco), melodica o ritmica che sia, centra in pieno l’agghiacciante obiettivo di picchiare al cuore del malcapitato interlocutore; sono certo che The Curtain si farà presto nominare dalla critica quale masterpiece funeral doom al pari delle perle The March And The Stream (che guarda caso prescinde anch’essa da un impiego predominante dell’organo), Chorale, Aether e Farmakon Process.
Le finali Pendulum ed Oars In The Dusk riprendono invece il concetto dell’overture The Arrival che, assieme ad esse, costituisce l’ossatura più strettamente funeral dell’intero album: le descrivo tutte assieme ed a conclusione di un velato track by track proprio perché ognuna è esplicito manifesto dell’arte nera degli odierni Skepticism; passare in rassegna queste tre litanie sarebbe farraginoso e forse inutile: vi basti sapere che l’ascolto prolungato di The Arrival, mi ha provocato uno stato di malessere ed una afflizione che non pativo dai tempi in cui mi occupai di recensire Dooom degli Worship, platter che mi spinse ad estremizzare pericolosamente la visione disfattista della vita. Prima con The Arrival, poi con Pendulum, poi ancora con le note morenti di Oars In The Dusk ho nuovamente svuotato le mie sacche lacrimali. Sarà stato il generoso lavoro del cardinale Poyry, sarà il solito, straziante gemito di Matti, sarà la desolazione nell’animo e nelle corde di Kekarainen o quel metronomo scarico di Pelkonen… saranno i miei crucci oppure tutte queste cose messe assieme… chi lo sa! Tra di esse non saprei proprio sceglierne una da elevare sulle rimanenti che, assieme a The Curtain, rappresentano le preziosissime gemme di questa inestimabile rinascita. Intensissime!

Posiziono quindi March October ed Antimony ad un gradino inferiore ma confesso che, se fossero state marchiate con una qualunque altra etichetta, avrei probabilmente gridato, senza ritegno, al miracolo: ovvio però che pronunciandomi in considerazione di un disco di tale valore e rilevanza, io stesso ho dovuto e voluto collocare l’asticella del pieno soddisfacimento a quote altrimenti impensabili. Tirando le somme e confrontandomi anche con le analisi di merito già presenti sulle pagine di Metallized, intendo fissare il giudizio numerico a quota 88, reputando questa ultima release migliore di Farmakon (figuratevi voi) ma leggermente meno pregiata di quanto non lo sia Lead and Aether che beneficia di 10 anni di onorata carriera e, soprattutto, di un tasso elevatissimo di originalità per l’epoca in cui fu originariamente edito.

È comunque chiaro ed innegabile che Alloy, così come lo furono i suoi predecessori, sia frutto di una concezione estrema e molto violenta di interpretare (e vivere) il doom metal, anche se a conti fatti l’ascolto non è poi tanto esclusivo come potrebbe invece esserlo per dischi altrettanto ricchi, pomposi e curati nei particolari, ma ben più involuti e dalle finalità artistiche più ampie e pretenziose (Esoteric su tutti). Questo, a conti fatti, significa che il CD potrebbe essere gradito anche ad un pubblico estraneo al funeral (gli addetti lo considereranno una pietra miliare); credo possa piacere a chiunque cerchi nella musica una certa alchimia emozionale (purché lugubre e malinconica) più che una sterile ostentazione tecnico/esecutiva (nonostante ai nostri si debba riconoscere un livello di bravura ben superiore ai vari competitor nella nicchia di riferimento). Gli Skepticism sono difatti una band creativa e lucida che continua ad applicare le regole seminali del genere alla specificità della singola proposta, senza renderla ovvia e difficilmente codificabile: nessuna forzatura ritmica, melodica o timbrica; se vogliamo, oramai, nessuna sperimentazione di particolare (de)merito. Tanta magnificenza, tanta misantropia, una sofferenza sonora difficilmente ricopiabile; un lavoro stupefacente, eccezionale, come da parecchio non se ne sentivano. Un platter spaventosamente lussuoso per una formazione dal sangue blu! C’è però uno sgradevole rovescio della medaglia di cui debbo avvertirvi: chiunque abbia una minima dose di percettibilità emotiva (eccomi) tramuterà con Alloy le proprie angosce interiori, i dispiaceri della vita e pure le semplici amarezze quotidiane (amori non corrisposti, insuccessi professionali, fatiche non ripagate, ecc…) in una disperazione senza via d’uscita. Detto questo non me la sentirei di rinunciarvi e neppure potrei chiedervi di farlo; tra l’altro diffidate della vostra determinazione: una volta nelle orecchie, Alloy, vi accompagnerà per il tempo necessario al totale logorio e pure oltre. Accettate dunque l’evidenza e precipitatevi dal più specializzato dei rivenditori della vostra città supplicandolo di farsi eccipiente della vostra rovina.

A proposito: io, grazie ad Alloy, ho finalmente celebrato il mio decesso interiore. Tuttavia ciò che ho dovuto tumulare non è un innocuo ed inerte cadavere: è al contrario qualcosa di pericoloso che ben presto tornerà a percuotere il cuore per liberarsi dal suo feretro.
E riuscisse a farlo… morirei una volta ancora…
Al prossimo, grande ritorno!



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
50.51 su 31 voti [ VOTA]
Ubik
Lunedì 15 Giugno 2009, 13.09.44
11
direi che sono i padroni incontrastati del funeral riescono a creare atmosfere da paura. Voto 90 . La migliore è The curtain
Giasse
Mercoledì 25 Marzo 2009, 19.14.14
10
Ovviamente non farà bene al tuo "mood" più consono...
Nikolas
Martedì 24 Marzo 2009, 21.11.48
9
Ovviamente era separare, non superare XD
NIkolas
Martedì 24 Marzo 2009, 20.02.53
8
L'avevo ascoltato appena letta la recensione, ma me ne ero dovuto superare per "incompatibilità sentimentale". Oggi, in un mood decisamente più consono, l'ho rispolverato... e l'effetto è devastante!
Autumn
Sabato 3 Gennaio 2009, 15.10.44
7
Me lo sono procurato finalmente... Mortifero e viscerale come pochi
Giasse
Domenica 16 Novembre 2008, 20.24.48
6
Questo disco è davvero impressionante. Ogni secondo è una morte unica ed imprevedibile. Grandissimi davvero!
Simone
Venerdì 31 Ottobre 2008, 10.52.32
5
Questi giorni ho ascoltato, finalemente, quest'altra perla nera degli Skepticism e come promesso lascio un commento a questa stupenda e longiva race su questo grande ritorno. 90.
taipan
Martedì 28 Ottobre 2008, 21.18.30
4
è a questa gemma malsana, a questo desolante,mortifero e stupendo album che ti riferivi ! Defribillatore alla mano,me lo sono iniettato carico di aspettative e di bramosia.Qui le foglie cadono e non solo sono avvizzite, ma squisitamente putride.Grande disco! Grazie Giasse.
Giasse
Martedì 28 Ottobre 2008, 14.02.51
3
Grazie ad entrambi per i complimenti. x Raven: non puoi lasciar trascorrere una vita intera senza gettarti, almeno una volta, tra le braccia delle note più sconfortanti che siano mai state suonate. ma tieni ben presente i miei avvertimenti...
Raven
Martedì 28 Ottobre 2008, 11.37.03
2
Solita grande rece e gruppo che dovrei procurarmi, vero?
Arakness
Martedì 28 Ottobre 2008, 8.55.32
1
Solo le tue sontuose parole potevano celebrare il grande ritorno degli Skepticism; e al solito si confermano i signori del genere!
INFORMAZIONI
2008
Red Stream
Funeral Doom
Tracklist
1. The Arrival
2. March October
3. Antimony
4. The Curtain
5. Pendulum
6. Oars In The Dusk
Line Up
Matti – Vocals
Jani Kekarainen – Guitars
Eero Pöyry – Keys
Lasse Pelkonen – Drums
 
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