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19/04/24
GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)
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Thisquietarmy - Unconquered
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( 2859 letture )
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Li avevo già sentiti nominare ed avevo una voglia matta di abbandonarmi tra le braccia di quella miscellanea angosciante che si diceva facessero; ero piuttosto incuriosito, complice pure una certa astinenza in materia che mi sono procurato volgendo la mia attenzione verso altri lidi, e già assaporavo il malefico torpore che questo genere di uscite mi ha sempre provocato. Ma qualcosa non ha funzionato.
In realtà i Thisquietarmy, one-man band canadese guidata dal polistrumentista e programmatore (della drum-machine e dei sinth) Eric Quach, si pongono un po’ a metà strada tra un approccio impalpabile ed uno più marcatamente suonato; meglio ancora… sono un vero e proprio incrocio a “quattro vie” tra l’inconsistenza dell’ambient, l’ordinato caos del drone, la disarmonia punkeggiante dello shoegaze ed il mistero di un certo dark-goth destrutturato: è evidente che per affermare una sì vasta contaminazione vanno ritrovati, almeno accennati, stilemi ed emozioni tipiche di ognuno di essi; seconda operazione è quella di comprendere se il frullato sonoro dei Thisquietarmy ha un sapore proprio, ovvero se suona come semplice somma, magari scipita, di tutti i vari contributi; infine va giudicata l’efficacia di tale operazione: lo farò oggettivamente, esaminando il songwriting e l’esecuzione vera e propria, nonché soggettivamente, analizzando le emozioni che questa nuova release ha suscitato nel sottoscritto. Seguiamo dunque questa “scaletta” immaginaria e proseguiamo.
Per trovare ognuna delle strade stilistiche di cui vi parlavo è sufficiente percorrere i quasi 60 minuti, distribuiti in 8 tracce, di Unconquered: l’opera si apre con Immobilization, brano essenziale ed etereo che somiglia in maniera imbarazzante ad una celebre colonna sonora (2001: Odissea Nello Spazio), e prosegue nella medesima direzione con Battlefield Arkestrah. In entrambi gli episodi la volontà è quella di creare un sottofondo sul quale far galleggiare l’attenzione dell’ascoltatore: come nell’ambient più conosciuto, anche in queste prime pillole di Unconquered, Eric evita di dare risalto ad un singolo strumento, livellando le partiture, l’effettistica ed i volumi di tutti quelli coinvolti. I loop oscuri e labirintici, il sinth leggero ed armonico si mescolano dunque con pari dignità all’arpeggiare della chitarra e ai profondi giri del basso che, soprattutto in Battlefield Arkestrah, viene maneggiato con discreta cura. Si rinuncia senza appello all’apparato vocale, ma di contro, inaspettatamente, non alle percussioni che compaiono, seppure in forma minimale e rastremata, a battere il lentissimo tempo. Anche la timbrica di quest’ultima è scelta con perizia dato che, per scoprirne l’origine elettronica, sono dovuto ricorrere alla lettura dello striminzito booklet che accompagnava il materiale promozionale. L’umore suscitato è solo lontanamente depressive-style, con invece nervature psichedeliche e darkwave più calcate e solo vagamente tristi. Arrivati sin qui il prodotto non pare discostarsi molto dalle centinaia di esercitazioni computerizzate che oggi ci vengono indistintamente propinate dalle etichette meno conosciute, tuttavia, appena prima della conclusione di Battlefield Arkestrah, l’atmosfera si fa più grave e costretta; intorno al sesto minuto della seconda track interviene, statica, potente e trascinata, una drone-guitar che sbilancia l’equilibrio strumentale sin qui creato; le partiture rimangono statiche ed il cambio di sensazioni viene dato, più che altro, dallo switch sui pedali a cui è collegata la 6 corde. Quello che sembrava solo un avvertimento, o meglio, un’innocua, presunta minaccia, diviene invece l’incipit della successiva Warchitects. È evidente che al crescere dell’intensità chitarristica prospera proporzionalmente l’incidenza dell’effettistica: Eric satura le distorsioni, introduce un flanger a frequenza bassa e lavora di melodia con una solista riverberata che conferisce quel dinamismo fin d’ora scientemente schivato. Anche le percussioni si intensificano, in velocità e presenza, giocando su controtempi e battute dispari volti ad una ritmica singhiozzante che potrei definire, con un pizzico di audacia, jungle. L’accenno drone si scioglie dunque in uno shoegaze ripetitivo, monotòno e monocorde che prosegue solo di slancio nella parte finale della successiva The Sun Destroyers, esaurendosi definitivamente con Death Of A Sailor, simbolo del quarto ed ultimo crocevia percorso da questi Thisquietarmy. Dico ciò perché d’ora in poi, salvo la conclusiva Empire nella quale il drone/shoegaze ricompare bello vispo, è l’anima atmosferica e gothicheggiante a farla da padrone. Death Of A Sailor è un bel mix di pianoforte, chitarra acustica ed effetti, mentre The Great Escapist mi ricorda un certo indie smorto, tipico degli anni ’90; il brano è l’unico a beneficiare (?) del cantato, anche se l’ugola di Meryem Yildiz vi farà accapponare la pelle (in senso negativo) sia per la tecnica a dir poco “sghemba”, sia per l’interpretazione davvero insignificante. Mercenary Flags è un inutile “ponte” tra le “due vie” rappresentate dalle già citate The Great Escapist e Empire: futile e quasi fastidiosa non aggiunge nulla a quanto già ostentato nei precedenti sei brani.
Come potete constatare le famose “quattro vie” ci sono proprio tutte, tuttavia non capisco se a guidare l’eccletticismo di Quach vi sia una decisa e disarmante determinazione verso il crossover (in senso lato, naturalmente) oppure lo spirito “sornione” di accontentare i gusti più disparati (e disperati) senza confinarsi rigidamente in un unico genere di nicchia. Il risultato, a mio parere, non è per niente personale e/o originale dato che, in fin dei conti, Unconquered si mostra solamente come irrisolvibile puzzle a quattro pezzi (ma guarda…); non è altro che una discutibile collazione di idee, varie e ben concretizzate, ma asettiche e prive di anima. Battlefield Arkestrah, Warchitects e Death Of A Sailor sono i brani migliori, mentre la simil-pop The Great Escapist è assolutamente indigeribile, tanto quanto lo è l’indecisa Mercenary Flags; le altre canzoni sono semplici riempitivi a cui non dedicherei un solo secondo della mia giornata.
In definitiva il disco non mi è parso né rilassante (ambient), né claustrofobico (drone), né punkeggiante (shoegaze), né misterioso (goth): mi è sembrato scialbo ed insipido -nonostante lo spirito “multicolor”- senza però sconfinare nell’irrecuperabile insufficienza, grazie soprattutto ad una indiscutibile perizia esecutiva. Il 55 che vi consegno come valutazione finale non è certo un placido benestare, ma nemmeno deve essere interpretato come una bocciatura a 360°. Consiglierei a mr Eric Quach, forte della sua capacità tecnica, di decidersi sul cosa far fare ai propri Thisquietarmy; lo inciterei ad imboccare, senza remore, una delle “quattro vie” così da poter dimostrare con chiarezza il reale valore della proposta in cui si è cimentato (e non avrei dubbi su quale strada intraprendere, fossi in lui).
Diciamo che con Unconquered egli è rimandato… … in quattro materie, perlomeno!
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Immobilization 2. Battlefield Arkestrah 3. Warchitects 4. The Sun Destroyers 5. Death Of A Sailor 6. The Great Escapist 7. Mercenary Flags 8. Empire
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Line Up
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Eric Quach – all instruments
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RECENSIONI |
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