|
19/02/21
THE DEAD DAISIES
LIVE CLUB - TREZZO SULL'ADDA (MI)
|
|
|
( 6490 letture )
|
Quando una band rimane sulla cresta dell'onda per oltre vent'anni, immersa in una continua evoluzione stilistica, è inevitabile incappare in mezzi passi falsi, in dischi di transizione che tradiscono un periodo di ricerca di una nuova identità musicale.
I Rush non fanno eccezione, anche loro si sono trovati a dover fare i conti con questa situazione, e uno degli album più rappresentativi di questo fatto è Test For Echo, sedicesimo album in studio e l'ultimo prima delle tragedie familiari che colpiranno il batterista Neil Peart e che fermeranno per sei anni il gruppo.
Non è facile inquadrare questo disco in una visione globale e d'insieme, sostanzialmente per due differenti motivi: anzitutto, e qua mi rivolgo ovviamente solo a una -spero piccola- parte dei lettori, Test For Echo non è certo il disco adatto per iniziare ad ascoltare questa band, in quanto per poterlo comprendere a fondo occorre conoscere a fondo tutto ciò che precede quest'uscita; inoltre, tra tutti i dischi del gruppo canadese è forse quello che oscilla maggiormente tra brani di livello altissimo e altri in parte deludenti. Sono stato molto indeciso se produrmi in un analisi track-by-track o in una che raggruppasse le canzoni in base alle soluzioni stilistiche in esse contenute; alla fine ho optato per quest'ultima, ritenendo che tale sistema permetta di cogliere in maniera migliore la disomogeneità qualitativa presente all'interno del platter.
È infatti incredibile la distanza che separa i punti di eccellenza presenti, principalmente ravvisabili nella title-track e in Time And Motion, dai pezzi peggiori, tra le quali rientrano sicuramente Driven e Dog Years. L'opener/title-track è un pezzo massiccio, onirico, disarmante (le parole che lo aprono, Here We Go, Vertigo, sembrano in questo quasi profetiche), che si snoda su un tappeto sonoro cupo e lento, intervallato a finezze tecniche (soprattutto nelle parti unicamente strumentali) e imprevedibili accelerazioni e crescendo d'emotività che culminano nel ritornello in cui questa è ampliata dall'uso di azzeccatissime backing vocals; la sopracitata Time And Motion è strutturalmente affine, ma più incisiva e diretta, per le tonalità più aggressive usate da Geddy Lee e per alcuni passaggi, tra cui l'assolo, dal suono penetrante amplificato dall'uso delle tastiere e da alcuni virtuosismi del basso. Si passa poi a canzoni meno complesse ma comunque con ottimi spunti e di piacevole ascolto: Totem ad esempio, nonostante la semplicità della linea vocale e delle melodie riesce ad appassionare per il ritornello immediato e facilmente assimilabile e per l'ottima prestazione strumentale, particolarmente di una sezione ritmica davvero ottima; Virtuality è di nuovo un pezzo dal sound corposo e potente, il contrasto con una linea vocale melodica risulta anche carino, ma il refrain dopo qualche ascolto lascia un po' spiazzati, davvero troppo “facilone” per una band di questo calibro. Vi sono poi una ballad, Resist, di bell'effetto ma piuttosto prevedibile, una grandiosa strumentale come Limbo, che sembra davvero arrivare dal periodo d'oro, completa e tecnicamente stupenda, e una buona Carve Away The Stone, sapiente miscela di melodia e potenza espressiva, davvero un ottimo esempio di songwriting e di liriche, ispirate alla leggende di Sisifo.
Vi sono purtroppo anche tre punti davvero deboli: Driven, The Color Of Right e Dog Years sono tre pezzi che non lasciano molto all'ascoltatore: il primo è forse il migliore dei tre, riuscendo ancora a mantenere un certo spirito progressive; il secondo è un pezzo con vari richiami hard rock di discreta fattura ma che suona già sentito e con alcuni punti troppo stucchevoli, mentre del terzo nulla si salva, davvero una canzone prevedibile e con un refrain talmente banale che a fatica si può attribuire ai Rush.
Insomma, se un simile disco lo avesse prodotto una band alle prime armi, probabilmente sarebbe stata considerata una prova fantastica con alcune sviste di cattivo gusto; per i Rush il discorso è diverso: il disco è in effetti come detto sopra, ma il paragone con la loro immensa discografia è inevitabile e terribilmente deleterio per Test For Echo, ciò non toglie che il platter meriti vari ascolti e di essere rivalutato da chi fosse stato portato, dai primi, ad abbandonarlo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
7
|
Album sottovalutato per me superiore anche a Counterparts di cui è complementare. Driven un pezzo non riuscito...??!, Suppongo che non sia stato capito. Tecnicamente è uno dei punti forti del disco non fosse altro per la parte di batteria del professore tempi dispari davvero difficili da eseguire finalmente in linea con le soluzioni “ptigressive” del passato ,ma aggiornate e attuali. |
|
|
|
|
|
|
6
|
Album sottovalutato voto 100 grandissima band solo la title track vale l acquisto Dell album |
|
|
|
|
|
|
5
|
Test for Echo, insieme a Counterparts è l'altra faccia della medaglia nella cosiddetta quarta fase del Trio: se il secondo era stato l'autentico capolavoro, per chi scrive, degli anni novanta rushiani, Test for Echo è comunque un grandissimo album che merita di essere ascoltato con estrema attenzione, cercando di cogliere tutte le sfumature (e ce ne sono a tonnellate) che offre. Mi unisco a quello che ha scritto Radioactive Toy su The Colour of Right; saremo in pochi ma anche per me è un pezzo veramente bello, già dall'intro mi parte il proverbiale attacco di "air drum", tutto il brano fila armoniosamente, bella la linea vocale di Geddy, gli interventi di classe del solito Lifeson e la ritmica sempre varia e potente di Peart. Sarò franco: di questo album amo tutti i pezzi, anche quelli sicuramente meno "à la Rush" come Dog Years, in cui i Nostri si sono concessi un'escursione più leggerina su un hard rock poco pretenzioso ma suonato divinamente, con una pulizia e una botta clamorose, come anche in Virtuality che però forse si esaurisce un pochino nel "riffone" selvaggio di Alex pur restando un buon pezzo con le sue aperture melodiche nel refrain. Un disco "monolitico" "granitico" come spesso viene definito, ed in effetti lo è, il sound è parecchio duro e le atmosfere, vedi anche Time and Motion, sono maggiormente dark rispetto ad altri loro lavori. Quest'ultima e Resist (da brividi) sono sicuramente tra le tracce che maggiormente spiccano nel complesso. GRANDISSIMI ancora una volta. |
|
|
|
|
|
|
4
|
mi piace ma.... manca qualcosa. suonerà come bestemmia per qualcuno ma a questo disco do un 60 di stima ( come leggevo molti anni fa su di un quotidiano sportivo nelle pagelle giocatori ). amo i Rush , li amo davvero ma mi ripeto... considero questa loro opera una occasione mancata o una fase di stanca. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Album stratosferico che già dalla copertina (fantastica) ha l'intenzione di farti immergere nel fantastico mondo RUSH. Già dalle prime note di TEST FOR ECHO si parono spazi di vertigine pura, per poi passare a DRIVEN che con i suoi ritmi serrati e le aperture acustiche risulta molto cinematografica, HALF THE WORLD e THE COLOR OF RIGHT sono due episodi di passagio ben ascoltabili e godibili, acustico il primo più elettrico il secondo che portano direttamente alla cavalcata progressive di TIME AND MOTION, il rimo si serra, l'atmosfera si fa più oscura e misteriosa frutto della maestri di questi tre giocolieri. Totem anche se presenta un buon arrangiamento e una buona parte strumenta e forse l'episodio più debole del disco, , in DOG YEARS l'atmosfera ritorna pressante e mordente presentando aperture melodiche tra riff azzeccatissimi molto HARD. VIRTUALITY ha le stesse caratteristiche di Dog Years, aperture melodiche e riff Hard con una ottima chiusura che porta direttamente alla sognante RESIST. Oltre al fantastico di Peart troviamo una musica che riporta alla mente melodia orientaleggianti (Tai Shan) dove lo Yin e lo Yang si fondono perfettamente a creare quegli equilibri che, abituati al caos, a volte sconvolgo per la loro perfezione. LIMBO è uno strumentale come solo i RUSH possono permettersi, anche qui l'oscuro e la luce si fondono a creare l'armonia. CARVE AWAY THE STONE è l'ultima tappa di questa ennesima avventura targata RUSH che ci riporta alla nostra realtà instabile proprio perché troppo stabile. Un album che va vissuto intensamente, ascoltato con concentrazione e con il cuore aperto che una volta entrato nel suo YIN e YANG difficilmente ti farà uscire. |
|
|
|
|
|
|
2
|
Album che assieme a "Roll the bones" ascolto ancora oggi alla grande e spacca di brutto, e poi diciamocelo, chi al giorno d'oggi è in grado di avvicinare il livello tecnico e compositivo dei Rush? Una di quelle band che ti lasciano sempre qualcosa dentro, al contrario di tanti musicisti che compongono e suonano con il cervello ma poco con il cuore. |
|
|
|
|
|
|
1
|
Su un altro sito metal ho scritto che il sound dei Rush, negli anni '90, era superato. Verissimo, ma andando a risentire l'album ci si accorge che la qualità è comunque sempre di livello. Un disco che, secondo me, può essere consigliato a tutti: melodico, rockettaro ma non cervelletico - e con una classe pazzesca. C'è qualche filler, altrimenti sarebbe un discone. Stramente, devo essere l'unico ad adorare "The Color Of Light". Radiofonica, solare, ma con un rafrain di alta classe - e con un Gaddy Lee fenomenale. La perla del disco è "Resist", da brividi. Buone tutte le altre. Le uniche a non convincermi sono "Dog Years" (bruttina) e "Time And Motion": piace a tutti, tranne a me. Comunque un ottimo disco che ho rispolverato in questi giorni. Pensare che questo è uno dei meno riusciti del gruppo, ti mostra a che livello sono questi tre. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Test for Echo 2. Driven 3. Half the World 4. The Color of Right 5. Time and Motion 6. Totem 7. Dog Years 8. Virtuality 9. Resist 10. Limbo 11. Carve Away the Stone
|
|
Line Up
|
Geddy Lee - bass, synthesizers, vocals Alex Lifeson - acoustic and electric guitars Neil Peart - drums
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|