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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Psychotic Waltz - Mosquito
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( 4083 letture )
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Mosquito è il terzo album e di certo il più controverso della discografia degli Psychotic Waltz: dopo due dischi splendidi ma alquanto complessi quali erano stati A Social Grace e Into The Everflow, stavolta il songwriting della band risulta più convenzionale e con un approccio molto più semplificato. Le critiche furono sempre molto positive in Europa, dove era stato raggiunto l’accordo con l’ennesima etichetta, stavolta la Zardoz Music di Ralph Hubert dei Mekong Delta, che aveva anche egregiamente prodotto il loro precedentemente album. Incredibile a dirsi, per l’America, viceversa, non riuscirono neanche a trovare un accordo che consentisse loro una distribuzione adeguata, tanto che i loro fans connazionali furono costretti ad importare il disco dall’Europa. Anche se, ad onor del vero, la loro proverbiale sfortuna li colpirà di lì a poco nuovamente, dato che pure la Zardoz si troverà in grave difficoltà economica, costringendoli a cercare ancora una volta una label. L’album stavolta fu interamente registrato a Los Angeles e come produttore fu ingaggiato il leggendario Scott Burns. Fu anche l’ultimo registrato con la loro line up storica, dato che, una volta completato il disco, Ward Evans lasciò ufficialmente la band, rimpiazzato da Phil Cuttino che viene indicato già nel disco come bassista ufficiale, benché non vi suoni neppure una nota.
Dicevamo come Mosquito suoni in maniera un po’ diversa rispetto ai primi due album. Non è da escludersi che la band, dopo aver realizzato due dischi unanimemente osannati ed esaltati dalla critica, avendo raccolto molto poco rispetto a quanto potenzialmente avrebbe potuto (probabilmente anche a causa dei continui problemi con le etichette), abbia pensato, con un sound più semplificato, di poter ottenere più facilmente un accordo con un’etichetta importante e raggiungere un pubblico numericamente più ampio. Del resto, non ci sarebbe certo da biasimarli per questo in fin dei conti: realizzare due capolavori riconosciuti da tutti come tali e poi non riuscire a vendere i dischi per la mancanza di un supporto adeguato perché le proprie etichette sono piccole e falliscono dopo poco tempo non è proprio il massimo e rischia anzi di essere frustrante. Sappiamo tuttavia che le cose sono poi andate comunque diversamente: se non altro, un sound più diretto consentì loro un maggior coinvolgimento del pubblico dal vivo, accostando il nuovo materiale al loro repertorio classico.
Naturalmente tutto questo discorso poteva essere accettabile a patto di non andare a discapito della qualità. Ed in effetti Mosquito è un buon album, nel quale restano presenti tutti gli elementi dello stile della band, unico ed inimitabile, stavolta però molto più incentrato sul cantato, reso principale protagonista (potremmo dire che in qualche modo venga privilegiata la cosiddetta forma-canzone), non concedendo molto spazio a sfoghi strumentali e semplificando anche i tempi utilizzati, senza però rinunciare a spunti tipicamente progressivi. È innegabile, tuttavia, che così facendo la musica degli Psychotic Waltz: perda qualcosa, risultando più prevedibile e meno geniale del solito. Sicuramente, possiamo individuare comunque alcuni highlights, a cominciare dalla title track, dal sound potente e con un riffing deciso, di certo uno dei brani di maggior impatto da loro mai scritti; Haze One, canzone dalle melodie ipnotiche, che descrive un’esperienza durante un tour; Shattered Sky, dove Lackey riprende l’idea di inserire alcuni passaggi con il flauto, come già aveva fatto in passato nella splendida I Remember; la psichedelica All The Voices, dal respiro orientaleggiante; Locked Down, uno dei pezzi più duri, dal riffing trascinante ed irresistibile; o, ancora, non possono non menzionarsi altri due bei brani come Lovestone Blind e Cold. Particolare, poi, l’inizio di Mindsong, in stile reggae bianco.
Ad ogni modo, sulla base di tutto quanto finora detto, Mosquito potrebbe essere considerato un po’ un passo falso nella discografia della band: non bisogna però dimenticare che preso in sé, senza paragoni con gli altri loro album, resta un buon disco. Né bisogna pensare ad una band vittima di un ipotetico calo d’ispirazione, anche perchè Dan e compagni avranno ancora il tempo di registrare un altro capolavoro, Bleeding, l’ultimo prima del loro scioglimento definitivo. E chissà magari ancora quanti ne avrebbero realizzati se la malasorte non si fosse accanita contro di loro. Magari qualcuno riuscirà a cogliere qualche scintilla della loro grandezza nei Darkstar di Dan Rock o nei Teabag di Norm Leggio (insieme a Steve Cox, per qualche mese membro della band dopo l’abbandono di Brian McAlpin) o ancora nei Deadsoul Tribe di Buddy Lackey alias Devon Graves: ma quel che è certo è che ben poco questi progetti hanno a che spartire con la magica alchimia che li contraddistingueva, ormai perduta per sempre, ma perlomeno, per nostro sommo godimento, immortalata nei loro dischi.
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3
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Fondamentalmente concordo con la recensione: probabilmente io sarei stato un pò più severo perchè è l'unico disco di questa grande band che ancora oggi non sono riuscito a digerire... |
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2
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band dimenticata e originalissima complimenti per la riscoperta e la recensione. |
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1
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band dimenticata e originalissima complimenti per la riscoperta e la recensione. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1.Mosquito 2.Lovestone Blind 3.Haze One 4.Shattered Sky 5.Cold 6.All The Voices 7.Dancing In The Ashes 8.Only Time 9.Locked Down 10.Mindsong
Hidden track: The Darkness
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Line Up
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Brian McAlpin – guitars Buddy Lackey – vocals, flute Dan Rock – guitars, sequencing Norman Leggio – drums Phil Cuttino – bass
All bass performed by Ward Evans
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