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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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( 9907 letture )
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Metalizer, che doveva uscire nel 2002, non fu pubblicato fino al 2007, e dunque il platter con cui i Sabaton si presentano sulla scena power europea è questo Primo Victoria, e di certo non gliene è venuto un danno. Questo disco li ha portati a godere sin da subito di grande considerazione, per vari motivi. Innanzitutto, sebbene sia frettolosamente etichettabile come power, il sound della band svedese è clamorosamente più massiccio nonostante le alte velocità, grazie anche al timbro malefico di Broden, decisamente non un cantante di genere. C’è poi da evidenziare l’attrazione morbosa dei Sabaton per la guerra, che viene sviscerata in ogni sua forma. I brani –come vedremo nel dettaglio- non si limitano ad essere meri racconti dei conflitti, ma costruiscono arditi simbolismi nel delineare i ruoli, con a volte “buoni” e “cattivi”, ma più spesso semplicemente “vincitori” e “vinti”.
Primo Victoria, “la vittoria prima di tutto” in latino, è il racconto dello sfondamento delle linee tedesche in Normandia, e ha il principale difetto di forzare l’headbanging anziché lasciare che emerga naturalmente; non c’è dubbio che il coro sia d’impatto, e il testo curatissimo, ma l’arrangiamento viene lasciato da parte, e si sente. La stretta attualità genera la terrificante Reign of Terror, che atterrisce con la stessa forza con cui si schiaccia con i talebani: non provate a nascondervi nelle vostre buche sottoterra, vi staneremo come insetti, ma non è solo pura aggressione. La “guerra in primetime”, ovvero banalizzata dalla massiccia copertura televisiva, è parte dell’incessabile terrore. Panzer Battalion mantiene il punto di vista americano (ma la situazione cambierà nelle prossime tracce) ed è puro godimento alla vista del napalm che brucia foreste e vietnamiti senza distinzione, l’artiglieria che non lascia superstiti, i missili nemici distrutti in partenza. Ancora un coro devastante infigge Wolfpack nella memoria dell’ascoltatore, che, rapito dalle orchestrazioni e devastato dall’instancabile drumming di Mullback, nonché da un riff stridente, apprende del terrore sottomarino della Seconda Guerra Mondiale. Gli americani del convoglio 92 sono le vittime, l’inarrestabile Wolfpack tedesco, i sottomarini da guerra, i carnefici; da notare come le ultime quattro strofe siano un computo dei missili giunti a destinazione, dei colpi mancati e delle vittime. Ben più agile Counterstrike, gonfia di riferimenti simbolici, racconto della Guerra dei Sei Giorni che ha visto Israele sconfiggere tutti gli stati vicini nel giugno 1967. Assai pregevoli sono i toni orchestrali della parte centrale, in netto contrasto con la velocità spregiudicata della struttura strofa-ritornello; l’urlo Protect Holy Land! non manca poi di suscitare brividi ogni volta. Stalingrad riporta nella Seconda Guerra Mondiale, a Stalingrado presa dai tedeschi, con un riff che più corazzato non si può ed un’impostazione maggiormente improntata alla melodia; certo, emerge una certa ripetitività nelle scale chitarristiche, riproposte per tutto il platter, e l’effetto complessivo risulta in effetti stantio. Meglio Into The Fire: è ancora Vietnam, e lo sgomento del soldato che dal conflitto non riesce più ad uscire, ed è intrappolato tanto dal terrore per i vietcong nascosti nel buio della foresta quanto dalle esalazioni del napalm, che non fa distinzione tra amici e nemici. Purple Heart è la dedica del reduce, ancora del Vietnam, ai compagni morti e che hanno lottato per la pace, il che ci consente di fare un discorso poco più avanti, e chiude il disco. Anzi, no, c’è Metal Machine, divertentissimo tributo agli dèi del metal, con un testo che è un collage di titoli più che famosi.
Ma la sostanza non cambia, e possiamo dire che il disco è più che valido, nonostante alcune trascuratezze nelle stesure qua e là; manca in effetti il coraggio di distaccarsi del tutto dal Genere comandato, ma questi passi sono più che sufficienti in una scena power che ha già detto quasi tutto. Il tema della guerra è trattato in maniera molto simile ai Bolt Thrower, ovvero con la massima serietà ma con la coscienza che, in fondo, è la pace il vero valore; ciò ovviamente non impedisce di studiare le battaglie, anche in maniera quasi morbosa come fanno i Sabaton. “Prima di tutto la vittoria”: obiettivo raggiunto.
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7
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Senza infamia e senza lode. Into The Fire e Metal Machine gli episodi migliori, il resto alla lunga finisce per annoiare. Nel complesso però risulta più che sufficiente. |
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6
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I riff sono monchi, quando sembra che stiano per partire con qualcosa di memorabile abortiscono sul più bello. Anche i cori, anche se d'impatto, alla fine non aggiungono moltissimo. E alla fine, ascoltandoli in sequenza, troppe volte sembra di risentire lo stesso pezzo. Dal vivo invece sono più aggressivi e accattivanti. Tutto sommato non malissimo, ma non certo una nuova band leggendaria tipo Maiden o Metallica |
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5
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Nella recensione c´è un errore clamoroso. Panzer battalion non parla affatto del Vietnam ma parla della seconda guerra del Golfo descrivendo la schiacciante superioritá dei carri armati americani rispetto alle forze nemiche. Fra l´altro ogni brano contiene una breve spiegazione prima del testo. |
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4
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Dopo un pò stancano ma comunque valido. Panzer Battalion, Primo Victoria e Into the Fire spaccano |
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3
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presi singolarmente sono bei pezzi, ma alla lunga sono tutti uguali... trai momenti migliori Primo Victoria, Into the fire e Purple Heart |
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2
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Il singer ha una voce a dir poco orribile. Per quanto riguarda la parte strumentale, nulla di memorabile. |
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1
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soggettivamente..i migliori del mondo!!! a Milano e Londra hanno spaccato! la loro devozione verso i fans fa sempre commuovere.. siete grandi!!! SABATON RULE!!!!!! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Primo Victoria 2. Reign of Terror 3. Panzer Battalion 4. Wolfpack 5. Counterstrike 6. Stalingrad 7. Into the Fire 8. Purple Heart 9. Metal Machine
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Line Up
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Joakim Broden (Vocals, Keyboards) Rikard Sunden (Guitar) Oskar Montelius (Guitar) Par Sundstrom (Bass Guitar) Daniel Mullback (Drums)
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