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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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( 15514 letture )
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Che macchina l'uomo! Messo a "lavorare" in condizioni sfavorevoli riprogramma i propri parametri per superare complicazioni ed impedimenti e pervenire al proprio fine, la sopravvivenza. Un concetto che, per quanto dibattuto ed irrisolto, è stato certamente alla base di Varg Vikernes trovandosi, per i fatti ben noti, nel suo nuovo mondo dietro le sbarre.
Hlidskjalf rappresenta infatti, dopo Daudi Baldrs, il tentativo del Conte di sfuggire (musicalmente parlando) alla cattività; Hlidskjalf è un nuovo manifesto, forse l'unico -dicono in molti-, di una condizione -ora più che mai- motivatamente disagiata: Vikernes ha infatti una personalità complessa e problematica, evidentemente estremizzata nella solitudine e nella prigionia. Il suo sound, monco -non per scelta- degli strumenti peculiari della propria proposta, si concentra sullo stile che fu di confine ai suoi album black, ovvero un ambient etereo totalmente programmato con le keyboards. Questa accezione musicale, con cui il progetto Burzum intendeva originariamente incernierare nell’ascoltatore la razionalità del mondo reale con la fantasia della rappresentazione musicale, diventa necessariamente l’unico modus operandi di Varg già con l’embrionale Daudi Baldrs. Ciò ha costretto l’autore -anche in Hlidskjalf- a rinunciare all’approccio totalmente ipnotico e ricorsivo usuale in quei ritagli tematici, introducendo scampoli di melodia ed armonizzazioni che hanno reso il sound più concreto, completo e dunque “proponibile”.
Il miglioramento tecnico rispetto a Daudi Baldrs è difatti evidentissimo, forte tanto di una maggiore consapevolezza nel lavoro (sporco) alle keyboards, quanto alla possibilità di esprimersi attraverso una strumentazione finalmente completa di tecnologia midi: la maggior varietà di suoni nel proprio “paniere” impreziosisce il prodotto rendendolo perfino degno di una qualsivoglia produzione ufficiale. Detto questo, ed ammessa anche una minore rigidità nel procedere che rende la tracklist molto più ariosa e “aperta” nello stile, va notato quanto l’isolamento prolungato abbia scaricato i suoi tremendi effetti sulla creatività di questo (apparentemente) inarrestabile maestro d’arte nera. La melodia medieval-style, tipica del primo esperimento acustico, viene dilatata (se non praticamente abbandonata) nella ricerca di sonorità sinistre ed avvolgenti ma talvolta confusionarie, come nel caso della industriale Ansuzgardaraiwo o della fredda Einfuhlungsvermogen, o timbricamente monotone, come nelle xilofoniche Frijos Einsames Trauern, Frijos Goldene Tranen e Der Weinende Hadnur. Una indiscussa lucidità creativa rimane ravvisabile solo nell’ottima overture Tuistos Herz in cui la malignità dei prodotti targati Burzum torna a galla dopo quel maledetto (in tutti i sensi) 10 agosto 1993, nella marziale Der Tod Wotans, in cui le vorticose ricorrenze sint(h)etiche profumano di tribalismo nordico e nella “soporaetrnusiana” Die Liebe Nerphus erede, a tutti gli effetti, del modus operandi ancestrale-goticheggiante del vituperato Daudi Bardrs. Fatte salve tutte queste critiche, positive o negative che siano, l’intero minutaggio dell’album è un’implosione depressiva che, per quanto ridondante e fine a sé stessa, è lungi dall’essere interpretabile come stantia o -addirittura- riempitiva all’interno della risicata discografia di Vikernes.
La rassegnazione incondizionata che ogni singola nota pare voler narrare, nonché la cupezza delle ambientazioni ricreate, fanno di Hlidskjalf un platter fumoso, colmo di odio e di disprezzo per la vita, come da prassi nella normale visione burzumiana. Ed è proprio per questo motivo che i molti cultori del Conte sembrano preferire questa seconda esperienza “scarica” alla prima, più epica e melodicamente originale tuttavia incontrovertibilmente deconstestualizzata con il resto della produzione. Hlidskjalf tocca invece, con un approccio antitetico, le medesime corde di Filosofem e, soprattutto, Hvis Lyset Tar Oss; a prova di ciò anche l’artwork, evidentemente ispirato ai grandi capolavori editati prima della carcerazione. Il risultato, per quanto discutibile, è certamente giustificato dalle innumerevoli difficoltà affrontate nel processo di stesura e nella realizzazione degli 8 brani: se analizzato in questo senso, Hlidskjalf non può essere considerato un sottoprodotto da ignorare a piè pari ed anzi va “sponsorizzato” a testimonianza della grandezza di quella macchina chiamata uomo. La quasi totale assenza di percussioni e vocalism, la lentezza dei vari temi e la diffusa sensazione di oppressione semantica (poiché privo di lyrics narranti) potrebbe incuriosire anche i funeral-doomster più convinti, spingendoli nelle cervellotiche riflessioni di colui che, assieme alla propria vittima e a pochi altri protagonisti dell’epoca, varò più di un semplice stile di metal estremo…
Se non lo avete già fatto, è tempo di provare Hlidskjalf celebrando con esso la grandezza dell’uomo. Comunque esso si chiami: anche Varg Vikernes!
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VOTO LETTORI
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71.62 su 104 voti [
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10
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Legaliz,per alcuni è solo musica,un concetto puramente tecnico e di consumo. Ma cè di più.L\'entrare in contatto con un elemento aldilà di questo livello.La differenza tra materia e spirito.Non a tutti interessa evidentemente. |
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9
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Secondo me un po\' meglio del precedente, comunque meglio che sia tornato al black a partire da Belus. |
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8
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Alcuni ottimi passaggi descrittivi ma è un album discontinuo che coglie solo in parte il bersagli.Gli preferisco Daudi Baldrs. |
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7
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Si, migliore del precedente, gelida musica ambient composta però da campioni midi ripetitivi e qualitativamente ancora insufficienti a mio parere. Poi il suo passato e la sua storia (...) permettono comunque a questo tizio di vendere... ma certamente ho ascoltato di meglio. |
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6
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A me è piaciuto molto, in particolare Der Tod Wuotans |
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5
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Non sono un gran fan di Burzum, però questo album mi ha veramente colpito. |
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4
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un vero capolavoro indiscusso...quest'album rimarrà per sempre nelle trame del tempo, alla sua cupezza ed oppressione secondo me si sono solo avvicinati scott e tobias. e sapete chi intendo. |
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3
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Rinnovamento magistrale. Mentre Daudi Baldrs potrebbe ricollegarsi più ai primi due album di Burzum (come modo di estrapolare il "riff" e di far sentire i suoni compatti e distinti), Hlidskjalf si collega direttamente a Hvis Lyset Tar Oss e a Filosofem; prima di tutto per l'effetto sonoro; il prodotto amalgamato e omogeneo, continuo e "seriale"; in secondo luogo per quel concetto di lieve luminescenza che è presente nel secondo distico di album blackmetal di Burzum. |
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2
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il mio album preferito di burzum. o meglio, l'unico che mi piaccia (e mi piace tanto). il che la dice lunga su cosa penso degli altri... peccato che Daudi Baldrs sembri una raccolta di midi, a livello di suoni, altrimenti sarebbe stato di poco inferiore. |
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1
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decisamente meglio sia come composizione che come suoni rispetto a Daudi Baldrs...la sola Det Tod Wuotans mette i brividi... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Tuistos Herz 2. Der Tod Wuotans 3. Ansuzgardaraiwo 4. Die Liebe Nerpus 5. Das einsame Trauern von Frijo 6. Die Kraft de Mitgefuehls 7. Frijos goldene Tranen 8. Der weinende Hadnur
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