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Vintersorg - Till Fjälls
( 5234 letture )
Affrontando la scalata solitaria di una vetta – abbagliati e quasi soffocati dalla purezza del paesaggio –, si vanno perdendo i contorni della vita quotidiana. Via via che si procede, che si percepisce la congiunzione tra terra e cielo, che scompaiono le forme di vita note (flora boschiva, fauna), perdono di significato le dinamiche pubbliche, le mode, l’educazione impartita e/o ricevuta. A due passi dal firmamento, perso il contatto con l’urbe, si sgretolano le certezze della civiltà moderna: non ha senso il progresso, non hanno significato il business, la politica, le sovrastrutture sociali e religiose. Non ha alcuna importanza l’”individualismo collettivo” del social-networking, dei reality-show, dell’aggregazione forzata dai media. L’abbraccio della Natura è talmente forte da divenire totale e definitivo: l’individuo si spoglia del suo egoismo tornando parte del cosmo e conferendo i propri sensi alle sue regole.
Poco importa se tutto ciò è per noi una sola suggestione, una fantasia. Le montagne, il loro cappotto innevato, i laghi ghiacciati che ne circondano la base e, soprattutto, le rispettive interazioni con l’umanità possono essere assorbite attraverso le note di uno dei più virtuosi interpreti della musica metal scandinava – Andreas "Vintersorg" Hedlund – che, già all’onore delle cronache per lo splendido e moderno Älvefärd (Otyg), esce, dopo aver convinto la Napalm Records a seguirlo nel suo mirabolante percorso artistico (peraltro in costante evoluzione), con il proprio progetto solista (che letteralmente “solista” non rimarrà).

Till Fjälls ritrae per la musica estrema ciò che la Madre (in qualunque accezione vogliate leggere il termine) rappresenta per il genere umano, inutile cercare di riferirlo alle parossistiche gerarchie giornalistiche (generi, sottogeneri), ovvero assoggettarlo a fantasiose regole di mercato: esso è la fotografia, totalmente compenetrata da parte dell’autore, dell’uomo a confronto con il suo ambiente nativo; un insieme di ritmi e melodie primigenie che sgorgano da una consapevole e seminale osservazione del pianeta e dei suoi impliciti precetti. Proprio questi ultimi guidano il potente accoppiamento liriche/melodia presente nelle 10 tracce che, in ogni istante, raccontano virtù e pericoli dell’ecosistema nordico (perché è dalla terra natale che parte la riflessione); l’ottica narrativa è a tratti così fredda e rigida da sembrare “distante”, se non addirittura “scientifica”, mentre – in realtà – la lettura hedlundiana nasce da un’esigenza “filosofica” e tanto empirica da renderla potenzialmente fruibile ad una massa estesa di interlocutori. La diffusione del suo pensiero è tuttavia frenata dall’estetica della propria arte, in regolare controtendenza rispetto alle mode del momento. Dicevo poco fa che non ha alcun senso cercare ostinatamente una catalogazione in cui far convergere il CD, dato che Till Fjälls non può essere considerato semplicemente viking, né banalmente pagan, né solamente folk o epic o heavy (pur vantando forme e contenuti di ognuno dei citati sottogeneri, con particolare predominanza del viking); forse questo debutto non andrebbe nemmeno associato al metal in senso stretto, quantomeno nel suo sentimento artistico capitale – ben lontano dall’impulso detonante della musica da cui trae innegabilmente spunto: lo spirito guida dell’opera sembra infatti “paradossalmente” didascalico, stante la partecipazione ideologica piuttosto ingombrante da parte dell’autore. Till Fjälls è una specie di sussidiario musicato riportante la visione testardamente geocentrica del prof. Vintersorg. Le liriche – rigorosamente madrelingua –, la loro metrica – costantemente dilatata –, nonché la dizione – rotonda, al limite dell’esercizio didattico – malcelano l’approccio accademico che sgorga da un primo, distratto ascolto.
Lo sguardo che Andreas Hedlund pone verso la Natura, verso il pianeta, probabilmente verso l’intero universo (ma questo ancora, nel 1998, non è dato a sapersi) non è per nulla “terzo” e super-partes: la sua visione è al contrario intima, interessata, consapevole. Coinvolta e coinvolgente!

A livello musicale, Till Fjälls si presenta invece come un utero gravido al cui interno sono “incubati” gli archetipi del nascente filone artico, nonostante nei 40 minuti di sviluppo il sound rimanga costantemente ancorato alle nozioni stilistiche istituite dal giovane mastermind: riffing glaciale e ritmicamente rapido, caratterizzazioni acustiche piuttosto introspettive (ma legate a timbriche ricorrenti), vocalism misto (clean maschile, clean femminile, cori e screaming), drumming regolare e non eccessivamente riempitivo. Anche la produzione contribuisce con ordine alla consacrazione del titolo: i punti cardine su cui ruota l’ingegneria del suono sono rappresentati dal calore con cui sono trattati i cori ed il vocalism di prima linea, soprattutto quello “pulito”, e dalla freddezza dell’allestimento chitarristico (controbilanciata da regolazioni tastieristiche maggiormente colorite) che, ad una prima disamina, parrebbe relegata ad un compito comprimario.
Vorrei precisare quest’ultima osservazione, per non ingenerare fraintendimenti: la condizione auditiva a cui si perviene nell’ascolto dell’album, tanta è l’attenzione riservata al vocalism, è tale da minimizzare l’apporto – a dir poco stratosferico – del guitarism di Andreas. L’interpretazione della 6 corde è intensa e notevolmente più articolata rispetto a quanto normalmente performato da prodotti di derivazione black (alla stregua di tutto il viking finora conosciuto), prova ne è il riffing a tratti ipermelodico, nonché i vari solos disseminati lungo la tracklist (För Kung Och Fosterland, Urberget, Äldst Av Troner, Asatider). Una certa propensione all’avantgarde (inteso nel suo significato odierno) è già ravvisabile nello stile chitarristico di Vintersorg. Il tempo ne darà solo conferma.

Ma veniamo alle 10 perle costituenti Till Fjälls.
L’album è introdotto dalla rituale Rundans, in cui il baritono di Andreas duetta abilmente con una melodia calma e soporifera. L’atmosfera è soave e fortemente terrena. Il viaggio inizia da qui.
L’esplosione up-tempo di För Kung Och Fosterland, aperta da uno screaming acido ed effettato, è un fulmine a ciel sereno che non si placa nemmeno quando nel ritornello torna l’inconfondibile clean vocalism supportato dalle tastiere del sessionist Vargher (che si occupa, con grande virtù, anche della programmazione della drum machine). Fin qui il brano è piuttosto standard e costituisce un vero e proprio specchietto per le allodole (ossia coloro che si aspettano 10 suite fatte di sola aggressività), ma la percezione di avere a che fare con un prodotto particolare e diverso dalla normale aspettativa in materia si materializza con la cucitura del leitmotiv del Peer Gynt - In the Hall of the Mountain King di Edvard Grieg (compositore classico norvegese). L’espediente rende parecchio giocoso questo primo, grintoso, fantastico brano.
Vildmarkens Förtrollande Stämmor continua riprendendo l’opera di För Kung Och Fosterland: scompare lo screaming per lasciare al baritono di Vintersorg la conduzione melodica delle linee vocali. L’epicità del chorus in mid tempo, giocato su note leggermente più acute rispetto alla strofe, è qualcosa di indescrivibile, sia a livello strumentale, sia a livello lirico. A seguire il testo che, nell’interpretazione originale, alza di qualche centimetro la pelle.

Med frihetstrånad och kämpande vid vittringsblock
Likt ärbar falk som skrämts på flykt
Solen förvandlar nu ytan till ett smyckat lock
Snart återstundar den prakt som var förryckt


Le keys e la drum-machine preparano nella fase centrale il primo assolo chitarristico della serie: semplice, struggente, foriero di purezza e determinazione. Si inizia a percepire il vero Vintersorg-sound. Si rimane a bocca spalancata! La chiusura, con il ritornello doppiato dai cori, spalanca l’immaginazione dell’ascoltatore sul paesaggio ispiratore. La scalata, quella vera, verso la consapevolezza, è finalmente cominciata.
Nella title-track è il pianoforte a farla da padrone e ad accompagnare la fiera orazione di Andreas. La base chitarristica si fa più secca, sincopata e thrasheggiante e lo stacco centrale è solo un naturale riposo prima della ripartenza. Traccia ricca di spunti e di stili che ricorda molto l’opera dei finlandesi Amorphis.
Urberget, Äldst Av Troner, brano più oscuro del lotto, coinvolge in modo più psicologico, soprattutto per l’ottimo chorus cantato. L’accompagnamento arpeggiato da parte del basso è originale, mentre la nenia finale è troppo ripetitiva e noiosa. Episodio “mediano” che viene immediatamente recuperato dalla dolcezza dell’interludio acustico Hednad I Ulvermanens Tecken, tutto pianoforte e voce. Occhi chiusi per sognare le montagne.
Anche Jökeln è un po’ stucchevole, probabilmente a causa di una prima, velocissima porzione in cui blast-beat e screaming producono un impatto compiutamente pagan black e dunque esasperato per le forze fin d’ora messe in campo; il tentativo di recuperare melodicità rallentando il ritmo, prima, ed introducendo i cori, poi, non ha un effetto positivo: da un lato il riffing si mostra scarico e poco coinvolgente, dall’altro il contributo multilinea del cantato porta verso la conclusione della traccia senza conferire un vero e proprio beneficio.
Detto questo la chiusura di Jökeln ben si sposa con l’avvio della successiva Isjungfrun, tanto da apparire, quest’ultima, la sua naturale conseguenza. La suite è abbellita dal cantato di Cia Hedmark, violinista degli Otyg – che ricomparirà in Fangad Utav Nordens Själ –, e mescola tutte le soluzioni sin qui sperimentate con una brillantezza commovente. Uno dei brani cardine di questo primo full-lenght.
Impressionanti per efficacia anche Asatider e Fangad Utav Nordens Själ che chiudono in “levare” un album appassionante come pochi altri. Durante l’assolo di Asatider, dal sapore marcatamente heavy, Andreas sembra voler mostrare le sue virtù chitarristiche, così come il whistle presente in Fangad Utav Nordens Själ pare voler richiamare la propria passione per il folk: in realtà questi orpelli, piacevoli ma saltuari, non fanno altro che conferire dinamicità alla visione stilistica dei Vintersorg, che non necessita di alcuna rivisitazione, ma solo di tempo per consolidarsi e raggiungere la massima espressività.

Non posso certo pensare ad un voto inferiore all’85, ma nemmeno superiore al 90 dato che in almeno 2 brani il livello viene abbassato in modo relativamente percepibile. Sta di fatto che con Till Fjälls siamo di fronte ad un lavoro dalle tinte non convenzionali, dai sapori unici ed esclusivi: freddi, freddissimi, ovviamente…
Vintersorg mostra il vero potere della musica, ossia quello di interpretare il pensiero, smuovere le idee, raccontare le sensazioni di un uomo di fronte al proprio mondo. Eccezionale? Di più!
Till Fjälls è una lezione lunga 40 minuti che non potrà lasciarvi indifferenti. Fate largo a prof. Vintersorg e pregate perché i prossimi insegnamenti… arrivino presto! Prestissimo!!!
E state attenti, mi raccomando…



VOTO RECENSORE
90
VOTO LETTORI
77.12 su 64 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Venerdì 23 Febbraio 2024, 22.18.25
13
Bell\' Album, per carità.. Però come per il Successore, la Voce pulita, quasi onnipresente e l\'eccesso di \"ritornellosità\" in alcuni Brani, a Me ha fatto passare in fretta la buona impressione iniziale.
Un Lettore
Sabato 18 Novembre 2023, 7.15.49
12
Viking con la V maiuscola, Vintersorg mente, musicista e voce sublimi.
Fabio
Mercoledì 8 Dicembre 2021, 20.31.38
11
Ottimo platter, bello perché non del tutto lustrato e perfettino come molta musica anni 2.0, qui c'è ancora calore esecutivo
Delirious Nomad
Lunedì 30 Settembre 2013, 18.28.52
10
Semplicemente magnifico.
sawyer
Martedì 6 Marzo 2012, 22.54.45
9
voto lettori 52.33! AH AH AH AH SIETE TROPPO FORTI!che e' l'ultima moda ?abbassare i voti ai dischi migliori?e alzare il voto ai peggiori?e il mondo gira proprio al contrario!
One~Eye
Martedì 4 Gennaio 2011, 16.31.38
8
Spettacolare !! Insieme a Odemarken Son è un pietra miliare del wiking, da avere assolutamente. Buona recensione.
Bloody Karma
Martedì 4 Gennaio 2011, 9.56.02
7
Il punto più alto della carriera solista del buon Vintersorg...odenmarken son è un pelo sotto, ma solo perchè ha un impronta più metal che black...
luci di ferro
Lunedì 3 Gennaio 2011, 23.10.49
6
Hednad I Ulvermånens Tecken è bellissima, stupenda, immensa.
enry
Lunedì 3 Gennaio 2011, 20.05.47
5
Bello, anche se mi sarei fermato a 80/83, il 90 me lo sarei tenuto per 'Odemarkens Son'. Bella rece cmq.
Moro
Lunedì 3 Gennaio 2011, 14.36.00
4
bel disco, ancora un po' acerbo ma è un buon trampolino di lancio per quelli che saranno poi i suoi migliori album: Odemarkens Son, Cosmic Genesis e Visions from Spiral Generator.
Blackout
Lunedì 3 Gennaio 2011, 14.25.09
3
Grandissimo disco. Il primo di una carriera veramente superba per Vintersorg.
Blackster
Lunedì 3 Gennaio 2011, 10.35.46
2
Disco fantastico, sensazionale... anche se io preferisco Odemarkes Son, ma anche questo rimane uno spettacolo.
Ubik
Lunedì 3 Gennaio 2011, 0.07.33
1
Album immenso. Rece magari un pò troppo lunga ma tanto si legge che è un piacere complimentoni!!
INFORMAZIONI
1998
Napalm Records
Viking
Tracklist
1. Rundans
2. För Kung Och Fosterland
3. Vildmarkens Förtrollande Stämmor
4. Till Fjälls
5. Urberget, Äldst Av Troner
6. Hednad I Ulvermanens Tecken
7. Jökeln
8. Isjungfrun
9. Asatider
10. Fangad Utav Nordens Själ
Line Up
Vintersorg - Vocals, Guitar, Acoustic Guitar, Bass

Guest members:
Vargher - Keyboards, Drum Programming
Nils Johansson - Additional Keyboards
Andreas Frank - Guitar (2,9)
Cia Hedmark - Vocals (8,10)
Karl-Erik Forsslund - Lyrics (7)
 
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