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Bruce Lamont - Feral Songs For The Epic Decline
( 1369 letture )
Una sorta di one-man band. Bruce Lamont è un personaggio molto specifico, più noto nell’ambiente per aver imprestato i suoi servigi a tante band, anche non propriamente metal (Nachtmystium, Locrian, Sigh, Minsk, Brutal Truth eD altri). Lui, frontman degli Yakuza, è di fatto un polistrumentista, padroneggia chitarre, sassofono, canta, se la cava con gli ingegnosi aggeggi elettronici per uso di loop e campionamenti. E proprio immettendo tutto questo arsenale musicale, esordisce nel 2006 muovendosi su terreni ambient, progressive e sperimentali, un po’ come fa in compagnia della sua anomala band di appartenenza, creatura inconsueta nel metalrama come si intende per stereotipi. Impegnato in diversi progetti, uomo iperattivo, suona per un numero di proposte disparate e in più è il perno nodale dei Led Zeppelin 2, cover band di buon successo negli Usa, indovinate di chi?

Il presente Feral Songs For The Epic Decline è il suo debutto ufficiale sulla lunga distanza, visto che, a luglio 2006, Lamont incide qualche traccia, per la precisione tre, doppiate nel 2007 da altre quattro perfezionate lo scorso anno: l’assemblaggio del tutto ha dato linfa a un reale album d’esordio. Il primo pezzo ha un andirivieni che mi ricorda la primissima scena di Seattle del pre-grunge, eccessivamente lamentosa, guarnita da melodie dal vago sapore tibetano e discordanze armoniche. Voce un pò Eddie Vedder, One Who Stands On The Earth ha qualche incursione nell’industrial più leggero e nel dark quasi ottantiano, un miscuglio di dna difficili da unire. Spunta il sax, poi loop e rumoristica, undici minuti e mezzo molto variegati, una vera e propria suite in chiave decisamente modernista. Di non facile digeribilità ma apprezzabile. The Epic Decline, secondo frammento, è infarcito di richiami cinematografici a mo’ di colonna sonora, ricordandomi anche atmosfere alla Depeche Mode dei primi tempi, Year Without Summer, titolo molto gustoso, è dilatata, paranoica, con suoni al limite della cacofonia non distorta, una sorta di viaggio interiore da esteriorizzare. The Book Of The Law è Pink Floyd: una tastiera greve, ideale compagna di viaggio per un horror-movie a tinte psicologiche inquietanti, perché il pezzo è minaccioso e rumorista senza alcun accenno vocale: una scelta coraggiosa ma premiante. Una track che sa inserire angoscia misurata nell’ascoltatore, rafforzata sul finale da colpi di tamburo scarni ma ossessivi. Disgruntled Employer, segnale numero cinque della track list, si apre con un sax solare, quasi inaspettato rispetto alle precedenti arie, ma poi con un gioco di loop, proprio su quello strumento, si inacidisce e si estende a più non posso, mentre la penultima song parte con uno strano riverbero sulla chitarra che scaturisce effetti lisergici fino a quando non scoppia una rivoluzione con voci growl e urla agghiaccianti; da guardarsi attorno per l’inquietudine. Conclude questo stranissimo cd la numerologia di 2 Then The 3, traccia rilassata e dai climi insolitamente sereni e levitanti, quasi un pezzo alla Vangelis fino a quando non entra la vocalità che lega il tutto in maniera cantilenante ma interessante.

Termina il playing e la sensazione che si fa strada è: in questi solchi c’è insospettabile arte. Si, perché chi vuole cavalcare la tigre delle mode per vendere tante copie, non potrebbe mai, nemmeno pensare, di scrivere e pubblicare musica di questo tipo. Siamo in presenza di sperimentalismo, voglia di mischiare generi e soprattutto idee, azzardi a sette note e tanta avanguardia musicale. So che quest’ultima definizione potrebbe scatenare ridde di polemiche ma, in questo momento storico, ritengo che ogni ascoltatore abbia un’infinità di scelte su cui poter porre la propria attenzione. Un prodotto ben fatto, anche se a rate negli anni, una resa ottimale ma non per tutti, è giusto sottolinearlo. Solo chi è particolarmente “open minded” potrà apprezzare le parti racchiuse di questo Feral Songs...: i contenuti stessi faranno selezione spietata. Come è giusto che sia.



VOTO RECENSORE
68
VOTO LETTORI
20.62 su 16 voti [ VOTA]
Frankiss
Giovedì 10 Febbraio 2011, 18.28.28
2
è un album perlomeno particolare.....ma vale la pena ascoltarlo di sicuro....
metal4ever
Giovedì 10 Febbraio 2011, 18.02.50
1
Disco moooolto pesante!!, però in molte parti si rivelano molto interessanti, e in più mi piacciono tantissime le parti col sax.
INFORMAZIONI
2011
At A Loss Recordings
Alternative Rock
Tracklist
01 One Who Stands On The Earth
02 The Epic Decline
03 Year Without Summer
04 The Book Of The Law
05 Disgruntled Employer
06 Deconstructing Self Destruction
07 2 Then The 3
Line Up
Bruce Lamont : Vocals, saxophone, guitar, harp
 
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