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21/03/24
KRASUE + ANTARES + WAH ‘77
FREAKOUT CLUB, VIA EMILIO ZAGO 7C - BOLOGNA
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( 4488 letture )
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Quando G. uscì sul mercato nel 1996, aveva il compito di bissare il successo di Dial Hard, un lavoro che aveva proiettato la band Svizzera in una dimensione di successo internazionale che, probabilmente, in pochi avevano inizialmente pronosticato per loro. Il loro terzo album venne registrato a Los Angels e segnò una ulteriore svolta verso sonorità ancor più tipicamente americane, conservando un atteggiamento di fondo riconducibile in buona parte alla tradizione hard rock di matrice europea. Ad ogni modo, se il target di G. era quello di aumentare il successo dei Gotthard, la conquista del disco di platino e lo stazionamento nelle zone alte di molte charts europee del singolo Father Is That Enough?, consentì senz’altro di raggiungere questo obbiettivo. Quello che i Gotthard offrivano in questo album -ed in tutti gli altri, se è per questo- è la loro riproposizione dei dettami dell'hard rock più classico, non conferendo alcun apporto allo sviluppo di uno stile che, peraltro, è cristallizzato ormai da lungo tempo. Il loro merito è quello di elaborarlo al meglio restituendolo al pubblico con sofisticata immediatezza ed innata classe e -perché no?- anche con una buona dose di commercialità. In questa ottica G. rappresenta una delle loro migliori realizzazioni.
Aperto da un pezzo a cavallo tra le sonorità country americane e l'hard rock più immediato come Sister Moon, l'album metteva subito in mostra le sue qualità più peculiari, basate sull'immediatezza e su una freschezza esecutiva che è prerogativa dei grandi gruppi. L'equilibrio espressivo dei Gotthard già all'epoca era vicino al massimo livello possibile, con una forte coesione strumentale, dei soli sempre coinvolgenti, e la voce del compianto Steve Lee a governare il tutto insieme all'"organizzatore supremo" Chris Von Rohr. Piede ancora a battere il tempo con Make My Day: stessa impostazione generale -meno americaneggiante- e assolo che ricorda -forse troppo- qualcosa di già sentito targato AC/DC. E' il turno della coverizzazione di Mighty Quinn (Quinn the Eskimo) di Bob Dylan (la versione dei Manfred Mann è posteriore di qualche mese) un pezzo che nelle mani dei Gotthard splende come se fosse stato concepito nella variante ascoltabile da G. Ancora trascinante hard rock per Movin' On, che poi lascia spazio ad una ballata rock come Let It Be che, su un album del genere (o "di" genere, se preferite), non può mancare. Personalmente ho già più volte espresso la mia personale ritrosia nell'approcciarmi a questo tipo di brano, ma per i cultori del genere è probabilmente irrinunciabile, ed i Gotthard anche in questo caso sanno riproporre la lezione dei grandi dando quasi l'impressione di essere loro ad aver iniziato la tradizione. Segue il singolo Father Is That Enough, commerciale QB per essere tale. Discorso valido in una certa misura anche per la ruffiana Sweet Little R'R'. Il ritmo risale in maniera sostenuta con la carica di Fist In Your Face -il cui titolo dice tutto- e Ride On, doppietta di hard rock aggressivo e quadrato della migliore qualità, quello che preferisco. Freno a mano tirato per rifiatare con In The Name, ma subito dopo Lay Down the Law e Hole in One imprimono una accelerazione secca sull'autostrada del rock e viaggiare non è mai stato così piacevole. Spiritualmente l'album si chiuderebbe in maniera soft con l'ispirata ballad One life, One Soul, ma in realtà c'è ancora spazio per la cover di He Ain't Heavy, He's My Brother dei Merseybeaters Hollies o per quella di Immigrant Song degli Zeppelin, a seconda che si possieda la versione europea o quella asiatica.
Quando si ha che fare con una band come i Gotthard e con un genere come l'hard rock è scontato che parlare di originalità sotto qualsiasi forma è assolutamente fuori luogo, ed i rimandi agli stessi Led Zeppelin in primo luogo ed ai Whitesnake in seconda battuta, si sprecano sia nel songwriting che nella vocalità di Steve Lee. Il tutto senza considerare anche le citazioni di altri grandi del settore, AC/DC in testa. Tuttavia -come detto- la branca d'appartenenza impone senza sconti questo citazionismo, l'importante è che non sia liquidato d'accatto, ma vestito di classe e padronanza dei propri mezzi: da questo punto di vista i Gotthard non possono essere criticati più di tanto. Fatte salve le precisazioni di cui sopra, infatti, G. è un ottimo album, godibile in tutte le sue sfaccettature ed inappuntabile come produzione e resa sonora. Un coacervo di qualità che rende G. degno di essere piazzato sullo scaffale di ogni cultore del genere in una posizione di rilievo.
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11
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Praticamente un capolavoro. Un album che non stanca mai e uno dei miei preferiti dei Gotthard, insieme al debut e a Lipservice. Grande voce era Steve Lee, non basterà mai ripeterlo, qui più coverdaliano che altrove, e grandi pezzi come la grandissima Sister Moon, la dinamitarda Ride On, la cover Mighty Quinn, come pure i lentoni One Life One Soul e Let It Be. Voto 89 |
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10
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Ottima band ma non mi fanno impazzire.. |
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9
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Questo disco insieme a DIal Hard e all'omonimo di debutto forma una trilogia incredibile e a momenti se la giocano tutti e 3 allo stesso livello. Anche se per me il capolavoro totale resta proprio il primo album.
Qui sono presenti due dei loro più grandi classici radiofonici tipo Father is that enough e quel grande capolavoro di One Life One Soul. Bellissimo. |
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8
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a mio parere questo e' il piu' bel album partorito da questa grande band elvetica...gia' al terzo album si capisce la grandezza e la facilita' di songwriting del duo Lee/Leoni...l'album parte con un hard rock che sembra pacato ma che canzone dopo canzone aumenta la sua intensita'....la seconda parte e' addirittura piu' carica della prima...le songs sono tutte azzeccate e coinvolgenti...ricordo che saltai sulla sedia all'ascolto ed esclamai... maronna ma questi spaccano sul serio ad alti livelli!!!! |
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7
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Leggermente inferiore al debutto, ma comunque bellissimo. Il gruppo è grande sia nei pezzi più hard rock come Sister Moon, Make my day, Ride on e la purpleiana Hole in one sia nelle ballate Let it be (più Whitesnake dei Whitesnake stessi), Father in that enough? e soprattutto nel gioiello One life One soul. 78 |
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6
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Per parafrasare il grande Mosconi: "ma chi è chel mona che ha abbassato la media...". Grandissimo cd!!!! |
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5
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Splendida recensione! Disco bellissimo, con uno Steve indimenticabile.. |
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4
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Capolavoro degli svizzeri che hanno pure migliorato rispetto a Dial hard che già era grande. Purtroppo da qui in poi la vena dei lentoni ha preso il sopravvento, pur rimanendo una band di gran classe. Qui di filler non ce ne sono...R.I.P. Steve, grande singer. |
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3
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il disco piùbello degli svizzeri è proprio questo. Originali + cover tutte da urlo! Nove in pagella per G. |
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1
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Album che non propone nulla di trascendentale ma proprio per questo risulta sincero, cristallino e travolgente. Vorrei porre un saluto, dovunque sia, a Steve Lee a cui il destino ha riservato un epilogo beffardo ma al tempo stesso affascinante : andarsene coronando il sogno della sua vita. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sister Moon 2. Make My Day 3. Mighty Quinn (Quinn the Eskimo) 4. Movin' On 5. Let It Be 6. Father Is That Enough 7. Sweet Little R'R' 8. Fist In Your Face 9. Ride On 10. In The Name 11. Lay Down The Law 12. Hole In One 13. One Life, One Soul 14. He Ain't Heavy, He's My Brother
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Line Up
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Steve Lee - voce Leo Leoni - chitarra, cori Marc Lynn - basso Hena Habegger - batteria
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