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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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( 3023 letture )
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Ricevuto l’incarico di recensire gli Imperious mi appresto a scoprire informazioni sul loro conto, essendo una band a me sconosciuta. Scopro che la band è agli esordi, e che Varus rappresenta la prima uscita discografica in assoluto, non avendo mai pubblicato prima nessun demo o EP. Leggendo la descrizione della band è palese come i temi trattati, e di conseguenza i testi, abbiano un ruolo di rilievo all’interno delle composizioni: i Nostri vogliono rievocare nella memoria dell’ascoltatore elementi come antichi racconti, storie di eroi, miti e leggende. In Varus si parla di due personaggi in particolare: Publio Quintilio Varo, politico e generale romano; e Arminio, principe della popolazione dei Germani Cheruschi che condusse i propri uomini alla vittoria contro l’esercito romano nella famosa battaglia della foresta di Teutoburgo, altro avvenimento considerato nei testi. Un altro elemento che è saltato subito all’occhio durante questa fase “conoscitiva”, consiste nel genere proposto, catalogato come epic black metal: da sempre mi chiedo come questo sottogenere di black (ammesso che esista sul serio) possa essere riconosciuto e l’occasione mi pare buona… Invece… no! (e in seguito vi spiegherò in cosa consiste veramente il termine “epic”)
Fino a questo momento tutto a posto, la proposta musicale mi incuriosisce e le tematiche trattate sono interessanti. Senza punti di riferimento, dato che non c’è nessuna informazione riguardo alle loro band ispiratrici, clicco per la prima volta sul tasto play… … e qui cominciano i dolori.
La prima traccia è un prologo parlato, con in sottofondo un arpeggio chitarristico. Neanche il tempo che finisca e parte il riff di Publius Quinctilius Varus, subito supportato da una seconda trama di chitarra, che si rivela molto più melodica. Verso i quattro minuti abbondanti appare la solita accoppiata dell’assolo accompagnato dall’arpeggio in pulito. Il resto è uguale ai minuti iniziali, tra melodie e veloci blast beat. Se l’incipit può sembrare banale, beh… non avete ancora sentito la successiva Arminius. Quasi otto minuti di una coppia di riff ripetuti all’infinito, con variazioni poco azzeccate e inefficaci. Segue Segestes’ Charge e le cose non migliorano. Gli Imperious in questo passaggio si travestono da band doom: quello che ne esce è un miscuglio di generi che rende l’ascolto ancora più lento e noioso. In seguito il brano si velocizza e progredisce in diverse soluzioni stilistiche che però culminano, sempre e comunque, nello stesso motivetto già sentito in precedenza. Arriva il momento di Three Legions March, ma lo schema è testardamente lo stesso: parte thrasheggiante con riff stoppato, addizionato di momenti accelerati ed ispirati al black metal. La sesta traccia, The Battle of Teutoburg Forest, comincia lenta e solenne prima di esplodere grazie a veloci up-tempos che conferiscono un po’ di vitalità al pezzo. Purtroppo ci troviamo nuovamente di fronte a qualcosa di poco rilevante: i soliti cambi di ritmo, qualche melodia e null’altro. Se mai foste riusciti ad arrivare a questo punto del disco, lasciando partire la penultima traccia (9 A.D., Autumn), non vi preoccupate: il vostro lettore non è impazzito e non sta segnando l’ora. La canzone dura poco più di diciannove minuti costituendo un vero e proprio ostacolo ad uno ascolto sereno e privo di noia. Come se non bastasse 9 A.D., Autumn è la traccia più lenta di tutto l’album, fortemente influenzata dal doom (spesso questo tipo di contaminazioni sono un bene, ma fidatevi, non in questo caso). Giungiamo (finalmente) verso la cima di questo “Everest” sonoro. L’ultimo episodio, che si intitola Quinctili Vare, Legiones Redde, non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto in precedenza, contribuendo solo ad abbassare ulteriormente la valutazione.
Ebbene, l’album è terminato ed io non ho ancora capito cosa gli Imperious intendano per epic black metal. Dopo averci pensato e ripensato sono giunto ad una ovvia conclusione: per “epic” intendiamo il livello di noia che può affiorare in chi ascolta l’album; e per “black” intendiamo una produzione veramente pessima.
Ecco, appunto, parliamo della produzione. Le chitarre a volte sembrano un pastoso e denso miscuglio e il basso… c’è anche un bassista? La batteria è costantemente in secondo piano, piatta e senza carattere. L’unica nota positiva (ma non troppo) è la voce seppur molto fredda e distaccata e con una tonalità piuttosto monocorde.
Per concludere, come avrete già capito, questo album non vede, neanche con il cannocchiale, la sufficienza. Idee confuse, canzoni eccessivamente lunghe, una produzione scarsa e prove solo sufficienti dei singoli musicisti hanno reso questi settanta minuti veramente complicati e ardui. Noi li aspettiamo al prossimo album, ma la svolta dovrà essere netta e radicale!
L’introduzione della loro descrizione recita:
Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum (Ignorare che cosa sia accaduto prima della nostra nascita significa restare sempre bambini)
Una celebre frase di Cicerone che funge da lama a doppio taglio, perché tutti speriamo che le generazioni future ignorino questo album, senza il timore di essere considerati bambini per l’eternità.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Prologue 2. Publius Quinctilius Varus 3. Arminius 4. Segestes’ Charge 5. Three Legions March 6. The Battle of the Teutoburg Forest 7. 9 A.D., Autumn 8. Quinctili Vare, Legiones Redde
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Line Up
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Sertorius: voce, basso Illuaar: chitarra solista Kalmesh: chitarra ritmica Linchre: batteria
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