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25/04/24
MARDUK + ORIGIN + DOODSWENS
AUDIODROME, STR. MONGINA 9 - MONCALIERI (TO)
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Myrath - Tales Of The Sand
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( 10841 letture )
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“Nato da remote montagne, un fiume solcò molte regioni per raggiungere finalmente le sabbie del deserto. Provò a superare questo ostacolo così come aveva fatto con gli altri, ma si accorse che, man mano che scorreva nella sabbia, le sue acque sparivano” (Awad Afifi il Tunisino, lemma estratto da “Il racconto delle sabbie”))
Dal primo e discreto, debitore ai Symphony X e forse troppo Wastefall-iano Hope, dopo il promettente, leggermente mal dosato negli equilibri stilistici, Desert Call tornano i tunisini Myrath. Il quintetto di Ez-Zahra (cittadina costiera del governatorato di Ben Arous, ad una ventina di kilometri dalla capitale Tunisi) giunge al terzo capitolo della propria discografia, lo dico senza suspance, facendolo letteralmente con il botto.
Tales Of The Sands ci consegna una band in forma smagliante, in piena maturazione e con una vena creativa senza pari nel genere (e forse anche nelle sonorità). L’aspetto che fa la differenza, non solo nella forma, è evidentemente il retaggio musicale dei Myrath, capaci come nessuno prima di loro, e ancor più che su Desert Call, di riscrivere – non reinventare per carità – una proposta musicale già complessa, quale è il progressive metal, seguendo integralmente la propria sensibilità e l’eredità musicale donatagli dalla propria terra natia.
Nel trattare le band arabe, come è accaduto per gli Arkan e, per fattore regionale, gli Orphaned Land, ho sempre criticato nel merito l’incapacità o più correttamente la non volontà a sfruttare la musica araba nella sua integrità modale.
Non vorrei fare di questa analisi una lezione di teoria musicale ma due fattori entrano in gioco in funzione della corretta disamina del disco ed a questi non possiamo sfuggire con tanta superficialità, pena l’errata collocazione del platter e del suo contenuto all’interno del panorama musicale metal attuale. Il maqam, il “luogo ove si sta” musicalmente, nella musica araba designa le scale modali (maqamat) e ne definisce caratteristiche e sensazioni che queste devono suscitare. Tali scale modali eptafoniche (suddivise in 24 intervalli di un quarto di tono ciascuno) sono più di 70 e ogni nota all’interno della scala stessa non si ripete all’ottava. Di fatto ogni maqam costituisce un’entità modale che si muove in un sistema ritmico e melodico le cui strutture interne sia di spazio che di tempo obbediscono ad una serie di “regole” dettate dalla tradizione, dal gusto personale e soprattutto dalle inflessioni dialettali e fonetiche. In summa, parliamo di musica microtonale arcaica, perché non temperata (intervalli tra le note non regolari e dettate più dal gusto che non da uno schema) e soprattutto di musica priva di reali sviluppi armonici, ma di un continuo sviluppo melodico, fatto di rifiniture, orpelli e pattern tradizionali su una base ritmica per definizione piatta, quelle che ci arrivano come armonizzazioni sono in realtà accordi (tra più strumenti) di quarta sospesa (qui parlo ai musicisti lo ammetto, nda) o per la maggior parte polifonie all’ottava.
E del disco quando parliamo? Direte voi…
In realtà ne stiamo parlando come mai se n’è parlato. Tutto questo compendio di nozioni è la misura stessa della complessità insita nella proposta musicale dei Myrath. Detto questo c’è un mondo da descrivere.
I cinque tunisini non fanno solo ricorso nel loro particolarissimo ibrido alla tradizione musicale araba ma più specificatamente ripropongono quanto mezzo secolo di influssi andalusi e berberi hanno definito la musica maghrebina, melodie sognanti, ficcanti e dal fortissimo connotato vocale. L’ulteriore quid poi è tutta opera e merito di Zaher Zorghati e delle sue vocals praticamente perfette, dalla timbrica sempre a cavallo tra Khan, Allen e Michael Eriksen (Circus Maximus), sempre in bilico tra le tradizionali metriche metal e l’arte del tarab arabo. In generale la prova complessiva della band è stupefacente per tecnica, ricchezza compositiva e freschezza degli arrangiamenti. Dalle splendide melodie intessute dalle tastiere di Elyes Bouchoucha, ai bellissimi soli, sempre di quest’ultimo e dell’axeman Malek Ben Arbia, tutto è dove deve essere. Davvero ottimi (forse giusto perfettibili) gli inserti di percussioni tribali ad opera di Pierre-Emanuelle Desfray (subentrato all’uscente Saif Ouhibi) e dei ritornelli in arabo (con spiccata pronuncia tunisina) di della title track:
Dagli occhi ho pianto lacrime, anni lontano dal ciò che mi è caro (traducibile come “lontano dalla mia/o cara/o) Ogni volta che il sole tramonta Il cuore brucia ancor di più. Ho perso i miei anni migliori (shbabek, ovvero giovinezza) per la mia casa ed i pargoli (sgharek è letteralmente i piccoli) Ogni giorno ho assaggiato il dolore. (al-wel indica la pena, in inglese si tradurrebbe come trouble)
O Beyond The Stars:
"Ho sognato ad occhi aperti (j’har n’har significa letteralmente di giorno dinanzi ad altri) Te che hai abbellito i miei anni ed i miei giorni. Resta con me notte e giorno. Resta con me notte e giorno.
La produzione del disco, appannaggio di Kevin Codfert, è bilanciata e in linea con le migliori band del settore (Nordstom al mixing e Bogren al mastering fanno sempre il loro gran bel lavoro, anche se a conti fatti, si poteva fare qualcosa più ad hoc per i Myrath). Brani significativi ce ne sono, troppi anche, e francamente credo che ognuno possa creare, con molta fatica, una sorta di top 5 dei brani contenuti in Tales Of The Sands. Oltre alle già citate Beyond The Stars e la title track, vanno segnalate sicuramente il singolo Merciless Times, la “power-oriented” Wide Shut, caratterizzata da un’affascinante break di andalusa memoria e dall’ennesimo riuscitissimo ritornello, Braving The Seas, ove troviamo anche accenni di scream vocals (alla Adagio). In realtà non c’è un brano debole, brutto o al di sotto degli standard.
"Noi sappiamo, perché lo vediamo accadere giorno dopo giorno e perché noi, le sabbie, ci estendiamo dal fiume alla montagna" (Awad Afifi il Tunisino, lemma estratto da “Il racconto delle sabbie”)
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Grande album.Credo che,se il metal avra\' un futuro,questo tipo di band siano cio\' che ci vuole per rinnovare il genere;i Sepultura lo avevano gia\' fatto con Roots. |
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Recensione da applausi. Grande band, grande album. Per caratura, gli Amorphis della sabbia. Desert Call mi era piaciuto molto ma qui hanno saputo evolversi, condensare la ricchezza dei suoni e maturare unicità. Spero che i tanti lettori che non lo hanno apprezzato almeno lo abbiano ascoltato davvero... io ho impiegato parecchio per togliere il tappeto volante dal lettore cd! |
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Una sorpresa clamorosa. Praticamente sono stato costretto all'acquisto da un amico. E sono stato costretto a dargli ragione, Ottimo veramente |
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Grande album, voto lettori ignobile. Bellissime melodie e grande equilibrio durante tutto il platter, e le melodie arabe che permeano il lavoro non sono mai stucchevoli. Voto 85 ed è meritatissimo. |
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un album veramente straordinario bravi. |
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Non ho parole per descrivere l' album ! E ' assolutamente da ascoltare e vi giuro ve lo dice uno che ha i gusti (per quanto riguarda il metal ) davvero ESIGENTI. Se cercate un album emozionante l'avete trovato, uno dei migliori dischi che io abbia mai ascoltato |
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Ascolto molta musica etnica e le parti strumentali sono davvero interessanti. Certo i melismi sono pesanti per chi non ci è abituato, considerando anche un certo abuso degli incisi e la produzione ultrapatinata l'effetto finale è un po' pacchiano. Anzi tamarro! Ci sono comunque elementi compositivi validissimi supportati da una super produzione e da musicisti di prim'ordine. Una primavera araba metal? |
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Complimenti al recensore per l'ottimo lavoro e per la sua preparazione musicale! |
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PS questo non è prog metal ma prog rock (adesso arriverà qualcuno a dirmi di non soffermarmi sul etichetta .) |
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Dopo avere letto la buona recensione di Nagash e avendo ascoltato qualcosa qua e la ho deciso di prenderlo e sono rimasto sodisfatto 80 . |
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Li ho scoperti da poco, e devo dire che questo disco è veramente molto bello... |
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Per me pollice verso. Dopo svariate recensioni dal buono all' ottimo avevo grasse aspettative, invece alla modica cifra di 19,90 euro (nel momento in cui Joel Tenenbaum negli USA viene condannato a 675,00 $ di risarcimenti per aver scaricato 30 brani 30, ma questa è relativamente un' altra storia...) mi ritrovo un cd mieloso allo spasmo, iperprodotto, rispetto al quale la parola "progressive" è totalmente fuori luogo poichè le medesime soluzioni ritmiche e compositive si replicano indefinitamente lungo le 11 tracce e la parola "metal" è altrettanto abusata, perchè non basta concedere qualche battuta iniziale al riff-o-rama più scontato e banale sulla piazza se poi ogni brano va a naufragare irrimediabilmente in aperture melodiche ruffiane che manco i Muse... Quanto alle sonorità tunisino-arabeggianti che dovrebbero dare la caratterizzazione maggiore, per sentire soluzioni così scontate basta una qualsiasi playlist di arabic-pop da bancarella, un Khaled ha fatto cose ben più interessanti. |
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Mi hanno folgorato .... come da tempo non succedeva è la voce della vicinanza culturale, bravissimi. |
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quoto a pieno "Broken Dream" e "ActingOut". per fortuna, pensavo di essere l'unico a pensarla così. Hope era grandioso (altroché discreto), Desert call mi aveva molto deluso, troppe cantilene e melodie già sentite. Questo mi ha deluso ancora di più: non ha più la grinta dei vecchi ed è praticamente commerciale. mi dispiace ma mi trovo in totale disaccordo col recensore. |
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Questo disco è bellissimo... e devo fare i complimenti anche per la recensione in se... non mi aspettavo proprio una spiegazione sulla musica araba (studio danza egiziana quindi non mi è nuovo l'argomento!) |
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Album fantastico! Dovreste fare la recensione Di Hope ragazzi è un album davvero grandioso! |
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Non sono affato male..suonano il 16 dicembra a vicenza |
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Credevo molto in questa band, ma dopo l'incredibile Hope, ed il mezzo passo falso di Desert Call, ecco il COMPLETO passo falso del recente Tales... Poco genuino, troppo rigido, ripetitivo e commerciale, eppure le potenzialità sono immense... Grandissima delusione, torno ad ascoltare gli Haken. |
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@Deathtrano perché dal vivo non la smetteva più di andare su e giù per tutto il manico a velocità disarmanti.. |
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che palle questo album, il chitarrista resta attaccato ai soliti 4 tasti, per me un 60 è gia troppo |
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Per un appassionato di prog come me mi aspettavo molto dai Myrath dopo l'esordio.Mi interessano i Myrath per molti motivi,uno di questi è la stratificazione degli strumenti e delle voci che a tratti rende il sound caotico come la credibilità di una foca nella savana.Vedrò tempi e modi per far risultare più chiaro il concetto che a maggior ragione non è corretto parlare di accordi di sus4 (ma perché proprio sus4?); non è corretto, inoltre, parlare di "polifonie all'ottava", qualunque cosa voglia dire.Da consigliare a tutti. Un gruppo interessantissimo.Grazie al censore. |
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Mi ha incuriosito il voto della recnsione e soprattutto il nome di questa band. Per un appassionato di prog come me. che divoro cd dei Redemption, Symphony X, D.T, Riverside devo ammettere che è stata una bella scoperta. Davvero un sound originalissimo esotico e potente. Un gruppo interessantissimo. Da consigliare a tutti . grazie al censore. |
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Quoto Nagash, anche per la battuta! Ho iniziato ad ascoltarlo e mi sembra un album ben strutturato, ottimamente suonato ed emotivamente comunicativo! |
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Mi aspettavo molto dai Myrath dopo l'esordio, e questo lavoro li riabilita dopo il mezzo passo falso del secondo album. Imho lo considero un disco da 70 o poco più. |
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Certi commenti hanno la credibilità di una foca nella savana... |
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che ignoranza che c'è in giro, 90 è un esagerazione, sto disco è una fotocopia dietro l'altra, ha ragione magogabriel, era molto più fico desert call |
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90??? non sono d'accordo, il disco è ben suonato e prodotto ma è noioso, c'è una discreta monotonia nella tonalità delle musiche, un copia e incolla assurdo delle armonie, la stratificazione degli strumenti e delle voci a tratti rende il sound caotico. voto? 60, "desert call" era decisamente più coinvolgente e vario. |
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@Lizard: Più i Beyond Twilight che non gli Ark, a cui Jorn ha sempre infuso quella vena rockish che ai Myrath manca del tutto. Nei Beyond la componente progressive è più marcata e per inciso For The Love Of Art And The Making è forse uno dei dischi più visionari della scena prog "canonica". |
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Figurati, la franchezza è apprezzata e credimi la mia, forse con il senno di poi, colpa è stata di non voler rendere i concetti eccessivamente teorica e di conseguenza esasperare una recensione sul lato esclusivamente riferito alla teoria musicale. Quello che volevo risaltasse era il concetto di "complicatezza" intrinseca dell'approccio musicale. Quello che intendevo per sott'inteso non era il parlare del disco, dicevo che avrei dovuto delineare sicuramente meglio (ma come dicevo complicando ulteriormente) dove si parla in linea generale, rispetto all'effettivo contenuto del disco, che per forza di cose è a sua volta un compromesso tra modi e approccio musicale. Diciamo che mi si può perdonare l'ambiguità in termini (per accordo ho semplificato il concetto di voci e non intendevo il soggetto musicale tout court). Per la quarta sospesa siamo d'accordo che non sia l'unico modo per raccordare i modi, ma è sicuramente il metodo più utilizzato dagli autori arabi contemporanei, soprattutto sul versante maghrebino, ed anche in quel caso la mia, che voleva essere una generale semplificazione, è effettivamente intelligibile nel modo in cui hai criticato. Vedrò tempi e modi per far risultare più chiaro il concetto, posso solo ringraziarti per aver comunque aperto il dibatto e aver consentito a chi legge sicuramente di capire meglio i termini e le finalità del paragrafo in questione. Grazie a te |
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@ Nagash: mi perdonerai la franchezza, ma quello che hai scritto non è per niente chiaro. Che tu stia parlando del disco (o discografia) non è affatto sottinteso, visto che nella stessa frase ti riferisci alla musica microtonale arcaica. Se stai parlando di musica tradizionale araba (anche nel disco), non è corretto parlare di accordi. L'accordo di sus4 rappresenta solo una delle tante alternative; è vero che se si evita di suonare la terza nell'accordo si ha la possibilità di passare da modo maggiore a modo minore nella scala (e sus4 non è l'unico accordo che lo permette - i nostri utilizzano soprattutto semplici accordi di quinta), ma altre possibilità di modulazione si hanno utilizzando modi solo maggiori o solo minori con altri accordi. Invito comunque ad una adeguata riscrittura, se non altro per amor di chiarezza. Grazie. |
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Evito - per mia palese incompetenza - di addentrarmi nelle disquisizioni tecniche. Mi limito a dire che in effetti è uno dei migliori album usciti quest'anno: lo sto ascoltando spesso, e mi piace davvero tanto. Non so se vale veramente un 90, che rappresenta quasi l'eccellenza: me è un gran disco (e grande è stata anche la recensione di Nagash) |
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Infatti non si tratta di alcuna citazione letterale. Non c'è alcuna confusione in quanto l'aspetto in cui si parla della musica tradizionale araba (che permea gran parte del disco) è sconnessa dalla sua applicazione sulla base metal. "Quelle che arrivano poi come armonizzazione ecc..." si riferisce (e forse andava messo meno sottinteso) alla disco e non alla musica araba in se, detto molto terra terra. Gli accordi di sus4 semplicemente perché la natura modale dei maqamat rende spesso necessario l'utilizzo di accordi sospesi (con la quarta in sostituzione della terza). |
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Mi permetto di far rimarcare che le informazioni tecnico-musicali fornite non sono "citate" correttamente e rischiano di generare confusione. La musica tradizionale araba (come anche quella occidentale trecentesca - Ars Nova, chanson francese dei trovatori...) si sviluppa secondo un principio polifonico "orizzontale": sovrapposizione di 2 o più voci dove non esiste logica accordale ma solo criteri di consonanza; in questo contesto non è corretto parlare di accordi (anche tra più strumenti) per di più quando le melodie sono composte su scale costruite secondo un sistema non temperato; a maggior ragione non è corretto parlare di accordi di sus4 (ma perché proprio sus4?); non è corretto, inoltre, parlare di "polifonie all'ottava", qualunque cosa voglia dire. |
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Album meraviglioso, assolutamente da playlist 2011. Per chiunque abbia mai avuto la fortuna di visitare le meravigliose città d'Egitto, Marocco, Tunisia e Turchia, rivivere certe atmosfere arabeggianti è davvero impagabile. |
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io ho il primo album (hope) magnifico, stupendo, splendido, CAPOLAVORO ASSOLUTO del progressive. (Hope 2007) si mangia tutta la discografia prog degli ultimi anni, i Myrath secondo me sono una band leggendaria, avendo soltanto un loro album. Preferisco più i Myrath che altri gruppi , se non mi credete compratevi (Hope 2007). |
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Sto ascoltando il disco adesso... Molto bello, veramente interessante, richiede senz'altro più di un ascolto, ma si percepisce subito il grande valore. Volevo chiederti una cosa Rami, a parte ringraziarti per la bellissima spiegazione del sistema modale arabo, che senz'altro rivenderò fingendomi più acculturato di quello che sono: mi sbaglio o ci sento qualcosa degli Ark e dei Beyond Twilight? |
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ok chiedo venia per la mia ignoranza... l'album l'ho ascoltato e l'ho trovato molto carino, però 90 mi pare davvero esagerato... |
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bel disco, un pò noioso da sentire tutto d'un fiato causa alcuni brani che mi sembrano molto molto simili. voto 7. |
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Certo tribal axis che l'ho sentito. Magari non se n'è mai parlato ma sono nato 26 anni fa in Siria, un centinaio di chilometri a sud di Damasco, diciamo che giusto per inflessione culturale so di cosa sto parlando. Gli Orphaned Land utilizzano troppe armonizzazioni e voci, i Myrath usando un decimo degli strumenti tradizionali che hanno usato gli OL suonano comunque ugualmente etnici. Inoltre ho spiegato per bene cosa s'intende per sistema modale arabo e posso assicurarti che i brani più "integrali" in tal senso non sono nemmeno stati scritti da loro, per stessa ammissione nei crediti. |
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Per me i Myrath meritano grande attenzione, mi avevano gia' colpito molto con Desert Call, e i primi ascolti di questo album hanno confermato il mio giudizio positivo su questa band. |
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"....Orphaned Land, ho sempre criticato nel merito l’incapacità o più correttamente la non volontà a sfruttare la musica araba nella sua integrità modale...." ma l'hai sentito l'ultimo disco??? In ogni caso mi hai incuriosito e ci darò un ascolto molto volentieri... |
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Copia riuscita dei Kamelot? Ma lo hai ascoltato seriamente? |
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Copia riuscita dei Kamelot,disco discreto ma un 90...fa paura,per me è un 70 con stima |
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appena ho letto l'introduzione ho capito subito che la recensione era opera tua, grande |
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Recensione ancora più bella e competente del cd Comunque band assurda, grandiosi. |
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Ottima recensione, molto autorevole e competente (da un recensore mi aspetto sempre che sia una sorta di "massimo esperto" su ciò che scrive, e questa è una di quelle volte in cui ciò è accaduto per davvero). La grandezza dei rinnovati Myrath sta esattamente nel porre l'influenza etnica (scale, inflessioni vocali, testi, strumentazione, ecc.) come punto "centrale" nel sound della band, che ora è più personale che mai. Una lieve -e furba- sterzata verso lidi power (del lato raffinato) è l'altra novità, che potrà magari consentire alla band il grande salto: glielo auguro, se lo meritano. |
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Mi interessano i Myrath per molti motivi. Uno di questi è il deserto, ma questa è un'altra storia...Si, Rami,...l'hai recensito! Per me questo è un cd molto professionale, con un ottimo sound e con ritmiche veramente ben architettate e sopra ogni standard. Jimi TG |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01. Under Siege 02. Braving The Seas 03. Merciless Times 04. Tales Of The Sands 05. Sour Sigh 06. Dawn Within 07. Wide Shut 08. Requiem For A Goodbye 09. Beyond The Stars 10. Time To Grow 11. Apostrophe For A Legend
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Line Up
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Zaher Zorghati - Vocals Malek Ben Arbia - Guitars Anis Jouini - Bass Elyes Bouchoucha - Keyboards/Backing Vocals Pierre-Emanuelle “Piwee” Desfray - Drums
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