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Sonata Arctica - Live in Finland
( 4332 letture )
Registrato il 15 Aprile 2011 tra le mura amiche del Club Teatria di Oulu (Finlandia), a sostituire una Milano/Italia dove i permessi per utilizzare i fuochi d'artificio sarebbero costati alla band dieci volte tanto rispetto al resto d'Europa, Tony Kakko e compagni si presentano ai fan in sala ed all'acquirente del pacchetto DVD+CD con il carillon sognante di Everything Fades to Gray, tratta da The Last Days of Grays, alla quale segue, sempre dallo stesso album, una Flag in the Ground che alterna, con autorità, parti più cadenzate con altre dall'incedere veloce, come da marchio di fabbrica della band di Kemi. Il suono del pubblico viene correttamente distribuito ai lati del fronte sonoro e portato con decisione in secondo piano quando serve lasciar spazio alla musica: grazie ad una band subito in palla ed alla voce che pare condurre lo show con la stessa autorità di un direttore d'orchestra, l'idea che prende velocemente forma è quella di un'eccezionale quadratura, di una facilità esecutiva offerta con naturalezza noiosa, con la quale i finlandesi passano da ritmi velocissimi (Blank File) ad intermezzi sognanti, fino a lambire registri di chiara derivazione power e prog (In Black & White).

Trasparenza nell'approccio, verosimiglianza, comunicatività e capacità nel premere improvvisamente sull'acceleratore, per dare vita a cavalcate ritmicamente scandite, sono il minimo comune denominatore di questa musica, variamente declinata ma sempre riconducibile ad una chiara impostazione di base: l'armonia con la quale sono affastellati i singoli movimenti, il copia&incolla delicato e sensibile, la tavolozza di colori che si avvale di cori multiformi e di una tastiera dal sapore folk, dipingono un quadro dai toni eterei di straordinaria levità, nonostante il drumming maschio e riverberato di Tommy Portimo e composizioni che, con la possibile eccezione della semplice ballad As If the World Wasn't Ending, inizialmente non sembrano voler concedere un attimo di tregua. Pregevole, nella peculiarità dello stile compositivo, è la capacità di non lasciare vuoti, senza per questo appesantire i singoli brani con spunti inutili: le parti che potremmo definire interlocutorie sono in realtà anticipazioni di un qualcosa che sta per arrivare, sia esso un ritornello o una parte orchestrale, o decompressioni fisiologiche in attesa di riprendere la cavalcata. Vocine, risate infantili, orchestrazioni, inaspettati growl ed un esplodere di fuochi artificiali sono una sorta di orlatura eccessiva, di punteggiatura barocca, di ricamo raffinato strappando il quale si crea tensione, contrasto, riscatto. Rispetto alle controparti in studio, le canzoni si presentano più vissute e sentite, soprattutto grazie ad una interpretazione vocale partecipata e sofferta (Juliet), talvolta parlata nell'oscura impenetrabilità della lingua madre: Kakko, perfettamente amplificato, può giocare con volumi ed occhiate, movenze ed allusioni che, pur senza il supporto del formato video, ci pare di percepire dalle reazioni di un pubblico ora sorpreso, ora entusiasta, sempre complice. Tony urla ed insinua, ride e soffre con una convinzione che, in uguale intensità, scuote ed ammonisce: gli assoli di tastiera e chitarra si cedono continuamente il passo, quasi a liberarci per un attimo dall'assalto emotivo e nemmeno del coro più melodico ci si può fidare, se da quelle stesse voci che fino ad un attimo prima ci suggerivano melodie tra le più melliflue, veniamo ora minacciati con cavernosità gutturali e ruvide. Tutto quanto non è voce sembra trovare un equilibrio maturo e compiuto solamente in occasione della Instrumental Exhibition proposta a metà del primo disco: altrove i cori non godono -ahinoi- del giusto risalto nella riproduzione stereofonica e supportano con una discrezione eccessiva, timidezza quasi, che trasuda sacrificio; le chitarre ritmiche svolgono un ruolo di accompagnamento assimilabile a quello delle tastiere, ed è il generale senso di melodia a svettare, liquido, dispiegato secondo una schema, ondivago, talvolta scosso da parti sinfoniche (Last Amazing Grays) ed assoli (Replica) nei quali sono la misura e l'autolimitazione tronca, ancor prima della pura tecnica, ad affascinare. Nonostante il bilanciamento certosino, la sensazione che il suono del disco lascia sulla nostra pelle mediterranea è quella di una generale freddezza, perfetta per farci respirare le terre innevate della Finlandia, il richiamo misterioso delle foreste, la forza di un tramonto proiettato sulla distesa ghiacciata. Come se l'umanità varia di Live in Finland, riesumata dalla produzione musicale passata, non riuscisse a scalfire con il racconto delle proprie sventure lo sguardo disincantato con il quale i Sonata Arctica sottotitolano le emozioni di Tallulah, le trasformazioni di Fullmoon, il melodramma di White Pearl, Black Oceans o l'identità martoriata di Blank File: come se i finlandesi, gente apertissima e chiusa, nascondessero l'immensità dell'emozione umana in scatole barocche ed inadeguate, sigillandola in una sorta di esecuzione grotesque, fatta di velocità e sonorità rinascimentali, per allontanarla dal raggio del nostro pensiero. L'ascolto in cuffia non è certo il modo migliore per rappresentare orizzonti tanto vasti, né per ricostruire le contraddizioni tridimensionali di Live in Finland, a causa di un senso di appiattimento che a contatto diretto con l'orecchio si fa più evidente, ed avvilente: la registrazione sembra invece perfetta per una fruizione di tipo audiovisivo, nel quale si deve ricercare una sorta di bilanciamento tra un'immagine elegante e la corrispondente sollecitazione sonora.

Non mancano tuttavia gli spunti nei quali è possibile fermarsi e prendere idealmente fiato: tra gli episodi più dilatati e riflessivi, comunque necessari per un dosaggio delle forze durante la performance, cito le languide Paid in Full e Draw Me (alle quali ho preferito The Misery), l'irrisolta Caleb e l'acustica Letter to Dana, ai cui antipodi porrei i lunghi, intensissimi, minuti di White Pearl, Black Oceans e Don't Say a Word, crisalidi che da semplice canzone assumono sotto i nostri occhi la forma di mini-opera. Dall'intro, che promette una fiaba dalle intriganti tinte oscure, a cori che oscillano tra il growl ed il melodico, la canzone contenuta in entrambe le forme riesce a comunicare -pur tirata per le maniche da una base veloce e ritmicamente incalzante- stati d'animo ed immagini di spessore fantastico: una complessità che si pone con naturalezza rappresenta quello che i Sonata Arctica sanno fare meglio, ed al quale tendono con alterne fortune nella maggior parte delle loro canzoni, dispiegando un assalto liberty, coerente pur nel violento concatenarsi di atti, complesso anche sulla breve durata, bombardato da punti e a capo, eppure sempre in grado di riprendersi con un finnico, ritmico colpo di reni. Così sul disco finisce una velocità doma, complice ed intelligente per non spaventare, tanto martellante da farsi essa stessa tappeto musicale, tanto controllata e prevedibile da arrestarsi puntualmente, con naturalezza, quando la band vira verso lo special rallentato, il coro (che a tratti mi ha ricordato un originale mix di Queen e Scorpions) o l'assolo più articolato. Nel secondo disco, che riporta una successione di brani registrati in occasione dell'Open Air Festival di Kemi nell'agosto del 2009, troviamo riproposti alcuni brani, tra i quali Paid in Full, Replica e Caleb, in una versione della cui identità è indice l'identica durata. Il suono sembra però meno definito, lo spazio tra gli strumenti più compresso, la voce più ovattata, per cui nella velocità di 8th Commandment e nella pur trascinante coralità di una Fullmoon che non si può non citare, si perde -come fagocitata- una parte di fascinosa freddezza, di algebrica ponderazione, di quella pulizia abrasa e scintillante della quale i Sonata hanno bisogno, quasi schiavi del loro civile suono scandinavo, per ribadire il proprio distacco e la propria differenza. Da questa situazione sembra trarre particolare vantaggio l'altrimenti neutra Tallulah, graziata da una sezione ritmica che suona inaspettatamente rotonda ed umana, meno perfetta e per questo più facilmente avvicinabile dal nostro sforzo di immaginazione, dalla voglia di esserci e di condividere il momento.

Soprassedendo sulle ininfluenti discontinuità, dei 114 minuti di Live in Finland si parla e si scrive spontaneamente come di un tutto, segno che il disco riesce comunque nell'intento di trovare una propria identità, un riconoscibile carattere, ed uno spazio nella raccolta di vecchi e nuovi appassionati di questo power metal ineffabile, dal volto cangiante nel breve periodo e sempre uguale a se stesso in una visione prospettica di respiro più ampio. Siamo al cospetto di un disco onesto e coerente che, pur senza svelarci nulla di nuovo, riesce ad aggiungere qualcosa alla mera somma delle canzoni, cronologicamente rappresentativa (ma mancante, con mio disappunto, della vorticosa Champagne Bath e dell'affascinante Broken), di cui si compone. Mantenendo con perizia il suono al quale il quintetto ci ha abituato in studio, e senza autocompiacersi della soddisfazione di un pubblico in visibilio, il disco trova nella successione delle scelte (che si articola, lungo un arco temporale di oltre dieci anni, attraverso l'unexpected classic Ecliptica, il sottovalutato Silence, il discontinuo Winterheart's Guild, il melodico Reckoning Night, il contestato Unia ed il contestatissimo The Days of Grays), nell'algida pulizia esecutiva e nella prova personale dell'ugola di Tony Kakko i principali ed originali spunti di interesse. La bontà delle scelte effettuate per la composizione della tracklist sarà giudicata dal singolo ascoltatore in base agli album che Egli ha amato di più: da un punto di vista statistico, ci si limita a rilevare che Ecliptica, Unia e The Days of Grays sono gli album più frequentemente citati. Live in Finland possiede quindi il pregio di proporsi contemporaneamente come valido Greatest Hits e coinvolgente live: la bontà della registrazione, la precisione con la quale sono riprodotti i singoli brani, le note di colore introdotte da un'interpretazione che attinge uguali energie da pubblico ed atmosfera, danno vita e senso ad un prodotto capace di sintetizzare il contenuto di sei album per il nuovo fan, e di avvolgere di una luce nuova e freddissima il ricordo di chi fece sue le suggestioni di Ecliptica nel lontano 1999.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
51.02 su 40 voti [ VOTA]
Silvia
Domenica 5 Agosto 2018, 2.38.53
8
CD splendido e DVD ancora meglio, interpretazioni di Tony davvero sentite, molto belle le versioni di White Pearl Black Oceans, Juliet e Letter to Dana (brividi...), le preferisco forse alle originali. Belli anche i suoni nonostante abbia letto critiche che considerano la voce troppo alta. A me piace questo settaggio, mi piace anche come hanno microfonato la batteria, mentre avrei preferito le chitarre un po’ piu’ alte come sull’altro live, For the Sake of Revenge (e anche di piu’, perche’ no? ) . Non condivido il 70, un 85 ci sta tutto x me, poi il voto lettori non ha proprio senso, lo prendo come uno scherzo...
Piè'
Domenica 3 Aprile 2016, 9.34.41
7
Io vorrei tanto sapere come fanno i lettori a dare un 40 a questo live. Indipendentemente da quanto vi piacciano le canzoni i lettori dovrebbero dare una valutazione oggettiva della performance, che è molto più che sufficiente. Il voto che ha dato il recensore mi sembra giusto, anche se per me è persino un po' troppo basso. Per me è un 80
Gouthi
Mercoledì 1 Febbraio 2012, 21.16.43
6
Davvero una gran bel live, detto da uno che di power ascolta poco o niente. La versione di White Pearl, Black Oceans riproposta in questo live è semplicemente da brividi...
MrFreddy
Sabato 12 Novembre 2011, 14.57.30
5
Sono uno dei pochi che considera grandiosi i loro ultimi lavori (li reputo più maturi, complessi e vari) quindi questo live lo farò probabilmente mio.
Radamanthis
Sabato 12 Novembre 2011, 14.22.22
4
Io sono sempre preposto al power ma ho notato un netto calo nelle ultime composizioni della band. I fasti dei primi dischi adesso come adesso se lo scordano....e x me è un gran peccato.
HyperX
Venerdì 11 Novembre 2011, 18.39.11
3
@conte mascetti quoto. Il primo album lo ricordo sempre con grande piacere. Ricordo che portai qualche brano al mio maestro di basso perche` mi insegnasse a suonarli. Mio modestissimo parere: dal debutto fino a "Winterheart`s Guild" grandissimi album ma con un sensibile, progressivo e inesorabile inaridimento del songwriting. Con "Reckoning Night" qualche pezzo splendido e altri che preludevano ad una prossima sterzata ragionata verso lidi un po` piu` intellettualoidi e meno, per cosi` dire...magici... Da li` si sono persi, o forse li ho persi io...non saprei...
conte mascetti
Giovedì 10 Novembre 2011, 0.05.50
2
del primo disco ho un ricordo fantastico. Secondo me, nel tempo, hanno perso un pò di smalto. Ma può essere che io non sia più molto propenso a questo genere...
Room 101
Giovedì 10 Novembre 2011, 0.03.09
1
Sto solo aspettando di fare mio il DVD !!
INFORMAZIONI
2011
Nuclear Blast
Power
Tracklist
CD 1:
1. Intro
2. Flag in the Ground
3. Last Amazing Grays
4. Juliet
5. Replica
6. Blank File
7. As If the World Wasn’t Ending
8. Paid in Full
9. Instrumental Exhibition
10. The Misery
11. In Black & White
12. Letter to Dana
13. Caleb
14. Don’t Say a Word / Everything Fades to Gray

CD 2:
1. Paid in Full
2. 8th Commandment
3. Replica
4. Tallulah
5. Caleb
6. White Pearl, Black Oceans
7. Draw Me
8. Fullmoon
Line Up
Tony Kakko (Voce)
Elias Viljanen (Chitarra)
Henrik Klingenberg (Tastiera)
Marko Paasikoski (Basso)
Tommy Portimo (Batteria)
 
RECENSIONI
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