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Allied Forces - The Day After
( 1422 letture )
Formatisi tra distese di tulipani nel 1982, gli Allied Forces scelgono per la band un nome che allo stesso tempo onori la loro amicizia (Allied) e lasci presagire l'impatto con il quale essa dovrà tradursi in musica (Forces). Dopo la pubblicazione di tre demo che valgono agli olandesi la possibilità di supportare nomi del calibro di Anvil e Savatage, dopo qualche immancabile assestamento di line-up e dopo l'inglesizzazione dei nomi dei musicisti superstiti, il quintetto di Den Bosch dà finalmente alle stampe The Day After. La pubblicazione peraltro non avviene senza intoppi, dato che la label Flametrader rileverà il materiale registrato, senza eccessivo interesse né grande intenzione di promuoverlo, da un'etichetta (Silvox) nel frattempo caduta in miseria ed impossibilitata a pagare lo studio utlizzato per la produzione.

Unico disco pubblicato dai Nostri (se si esclude una re-release intitolata The Forces Strike Back), l'album contiene nove tracce ed è introdotto da una copertina suggestiva, contenente rimandi grafici ad oggetti e situazioni citate nel corso dell'ascolto. Dopo la breve ed ipnotica intro strumentale Beyond the Storm, nella quale è il dinamico intreccio di chitarre ritmiche e soliste a svettare, caratterizzando il suono, è la volta di Quasimodo: “This is the story of a monster” ci racconta le intenzioni biografiche di un mid-tempo all'insegna del metal classico e scandito, per descrivere il quale mi sentirei di scomodare i Tesla di Edison's Medicine (1991). Se da questa parte dell'oceano non sembriamo in grado di proporre melodie altrettanto convincenti, fermandoci fortunatamente prima che le canzoni comincino a suonare logore, è però indubbio che gli Allied Forces riescono a trasmettere convinzione e senso di coerenza. Ron Gershwin canta con fare sicuro e partecipato (“rusty and angry”, dirà), la base strumentale non conosce pause ed il bilanciamento di ritmiche ed assoli è corretto, equilibrato, scorrevole senza mai perdere di sostanza. Quelli che oggi sembrano stereotipi di genere, dal drumming ottantiano all'interpretazione al microfono, vanno invece interpretati storicamente come un'espressione (allora) fresca e contemporanea, lontana da contaminazioni in grado di arricchirne la resa minandone la purezza. Gli Allied Forces, tra cori compatti ed interessanti cambi di tempo (White Spirit), si dimostrano sempre a proprio agio con un metal classico (debitore tra gli altri di Saxon, Dio, Iron Maiden, Anvil e Scorpions), cadenzato -ed effettato, come nel caso dell'enciclopedica Blood, Sweat & Tears- invece che velocissimo, attento alla sfumatura e molto ben arrangiato (Spoken Dreams), garbato e sempre gradevole negli assoli, ora veloci ora melodici, proposti da entrambi i chitarristi. Il felice connubio di vena compositiva e sensibilità artistica sboccia nella ballad All Over Now, tradizionalmente posta a metà scaletta ed interpretata con una malinconia sognante, talora isterica, che sembra voler citare una tradizione cantautoriale americana più grande di lei: l'arpeggio di chitarra, un dolce riverbero, una generale sensazione di consapevole e sfociante fluire creano l'atmosfera giusta per lasciarsi trasportare dalle note, senza trucchi. In buona parte dei segmenti che lo costituiscono il disco suona quadrato, compatto ed europeo, sufficientemente pulito in suoni di oltre venticinque anni fa che sembrano invecchiati, grazie alla loro semplicità ed originaria qualità, più che dignitosamente. La title-track finale, forte di oltre sei minuti di esecuzione, costringe in maglie più larghe del necessario il cammino intrapreso, e tutto quanto già anticipato dall'album: l'ottima produzione esalta un cantato mai eccessivamente prono alla melodia, e con esso la professionalità della sezione ritmica e la facilità con la quale si susseguono assoli di chitarra basati su tecniche e velocità diverse.

Quello ascoltato diventa così il metal perfettamente suggerito dalle poche foto della band che circolano in rete: cartucciere con fibbie fuori misura, polsini borchiati e comodi giubbottini in jeans senza maniche sono le immagini che The Day After traduce, senza esitazione né voglia di spiazzante innovazione, in successioni di note. Grazie ad una tracklist che vede solo in Heavy Metal Invasion e Dark Roses due leppardiani passi indietro, l'album si conferma anche nel ventunesimo secolo un ascolto gradevole e storicamente rappresentativo di un modo personale di attingere filtrare e restituire metal. Leggendo la biografia della band, e soffermandosi su quanto (non) seguì alla pubblicazione del disco, si apprende di indecisioni sullo stile da adottare, di richieste formulate dalle case discografiche che gli olandesi scelsero di non soddisfare, di esitanti virate di stile, cambiamenti di nome e nuove cantanti dai nomi improbabili e pornografici quali Roxy Carrera e Nikki Chavez: l'impressione, al momento dei saluti, è quella che se le cose fossero andate diversamente, se la fortuna o il marketing avessero assistito la band con mano benevola, di queste “Forze Alleate” avremmo sentito parlare ancora e di più. A tanti anni di distanza, invece, non rimane che gustarsi il ricordo e riassaporare l'attimo, cogliendo in questo disco la luce agguerrita di una piccola stella, persa nell'imprevedibile universo heavy metal.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
31.35 su 17 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
1986
Flametrader
Heavy
Tracklist
1. Beyond the Storm
2. Quasimodo
3. White Spirit
4. Heavy Metal Invasion
5. All Over Now
6. Blood, Sweat & Tears
7. Spoken Dreams
8. Dark Roses
9. The Day After
Line Up
Ron Gershwin (Voce)
Marc Gershwin (Chitarra)
Harold Cucken (Chitarra)
Steve Highwood (Basso)
Peter Van De Sluijs (Batteria)
 
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