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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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Sacred Steel - Hammer of Destruction
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( 1840 letture )
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Indubbiamente eleggibili tra i paladini più in gamba dell’Acciaio contemporaneo, quello che a fatica cerca di emergere tra gli infiniti (e meritati) tributi d’elogio a chi la Storia l’ha generata, i tedeschi Sacred Steel, attivi dal 1997, hanno messo in luce, fin da subito, un’attitudine guerriera capace di mescolare -in un eccitante frullato di acciaio fuso- le sonorità più dure ed esplosive impartite dai Judas Priest assieme all’attitudine e alle tematiche orgogliose dei Manowar, rendendo felici chissà quanti amanti del metallo classico, quello fatto di spadoni, motociclette e concetti ridondanti. Adrenalina a mille, ritmiche da headbanging quasi thrash e l’efferatezza glaciale di un heavy fiero, potente, intriso di refrain da delirio e odi alle milizie, corazzate letali: musicalmente trascinanti, i cinque tedeschi puntano forte sulla timbrica acidula e sui falsetti di Gerrit Mutz, quasi irritante a volte, ma splendidamente calato nel suo ruolo di profeta dell’acciaio sacro, ultimo e non ultimo emulo dell’inarrivabile e inimitabile Metal God di priestiana memoria. Forgiato roboante sotto i ferri di Vulcano e rivestito di una ribollente colata di acciaio cromato, il sound tipico di questa corazzata appare inscalfibile e possente, incalzante e devastante, incarnazione ridondante di un heavy metal che si evolve e si potenzia pur restando eroicamente ancorato alle vestigia più classiche, strizzando l'occhio al power terremotante definibile 'americano' e al tempo stesso evidentemente tributario dell'epopea britannica.
Tanto quanto la voce, le chitarre sono acuminate e affilate, letali nel clangore con il quale scagliano riffoni poderosi e ritmiche spesse. Anche la sezione solista è ben congegnata, avvolgente e febbricitante quanto basta, non certo virtuosa bensì talvolta convulsa, incastonata in un contesto tonante ed apocalittico, epico, chiara eredità sonora tramandata da autentici manifesti del genere, Painkiller in primis. L’opener e titletrack è l’esempio migliore di quanto detto, travolgente e martellante, dotata di un chorus anthemico da cantare a squarciagola, con i pugni innalzati al cielo, irresistibile nei suoi ritmi da headbanging ed incalzata da un’altra traccia avvincente come Where Demons Dare to Tread: spicca per eccellenza il drumworking asciutto e tellurico di Mathias Straub, il quale conferisce al tutto un sapore moderno e intransigente, scandendo con clangore marce a loro volta inflessibili e pretenziose. La band tenta di farsi portatrice di un heavy purissimo e violento, capace di pronunciarsi in chorus altamente goderecci (come quello della traccia appena citata) e mantenendo quasi sempre alta la tensione, sfruttando l’attitudine a forgiare sonorità violente, riff fibrillanti, velocità elevatissime e delirio assicurato; nella prima metà dell’opera, non sarà difficile ritrovarsi costantemente in preda alla pazzia, con i corni alti e la testa che scuote forsennatamente. Cori ad hoc e profumo di cuoio diffondono una voglia smodata di borchie e chiodo, al limite dello stereotipo, assalti a briglia sciolta sconquassano il silenzio (Maniacs of Speed, Blood And Thunder), privi di orpelli e delineati nella veste di pericolosissime e travolgenti cavalcate metalliche: eppure è bene mantenere i piedi saldi per terra, perché verso metà tracklist il disco inizia a calare, infilando una serie di canzoni meno eccellenti (Impaled by Metal, nonostante la corposa sezione ritmica, Black Church, troppo noiosa e Plague of Terror, brano nella media): è un difetto da limare, per il quintetto teutonico, quello di partire col piede pigiato sull’acceleratore e poi rallentare, concependo quattro o cinque canzoni ottime ma incapace di confermarsi sugli stessi livelli per tutta la scaletta.
Questi brani secondari sono del tutto gradevoli, ma non certo grandiosi come quelli di punta, rigorosamente posti in apertura di album: è qui che l’opera perde punti copiosamente, vedendo drasticamente diminuire l’appeal che aveva sfoggiato nelle prime battute. Nel complesso, tuttavia, Hammer of Destruction resta un disco di livello, ricco di momenti entusiasmanti e spunti niente male. Farsi credibili alfieri del true metal, al giorno d’oggi, è impresa assai ardua, visto il rischio ricorrente di sfiorare il ridicolo o sguazzare nei cliché, eppure -nonostante tutto- i Sacred Steel riescono a colpire nel segno, proponendo una musica eroica, straripante, al contempo tradizionalista e fresca nell’approccio, pur senza rinunciare a quell’attitudine da defender che tanto piace agli oltranzisti più tamarri del genere in questione. Se amate le galoppate farneticanti, l'esaltazione più irrefrenabile, l'inno all'appartenenza metallica e l'orgogliosa difesa di ciò che significa appartenere alle milizie di cuoio e metallo, fatelo vostro o, per lo meno, date una scolto significativo alle tante buone produzioni firmate da questa band: vi ritroverete, con molta probabilità, ad innalzare al cielo lo spadone, scuotendolo in preda al delirio.
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1
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gran bel gruppo, tamarro e figo al tempo stesso! e bel dischetto! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Hammer of Destruction 2. Where Demons Dare to Tread 3. Maniacs of Speed 4. Blood And Thunder 5. Impaled by Metal 6. Descent of a Lost Soul 7. Black Church 8. Generally Hostile 9. Plague of Terror 10. Sword And Axes
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Line Up
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Gerrit P. Mutz (Voce) Jens Sonnenberg (Chitarra) Jonas Khalil (Chitarra) Kai Schindelar (Basso) Mathias Straub (Batteria)
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RECENSIONI |
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