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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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GodHateCode - Weltenschmerz
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( 1142 letture )
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Escono il 14 aprile i GodHateCode con il loro nuovo, secondo lavoro Weltenschmerz. Weltenschmerz… nel mio essere corrispondente in lingue estere, mi ricordo della lingua tedesca soltanto Ich liebe dich, Der Fuhrer, Der Konig e un ingiallito Wie einst Lili Marleen uscito direttamente dal giradischi di qualche film storico. Ora Google Translator mi suggerisce “in tutto il mondo stanchezza”, ma sappiamo tutti che il simpatico traduttore a volte va un po’ interpretato. Allora chiedo alla mitica collega che senza esitazioni mi dice: “dolore universale”, spiegandomi che schmerz = dolore e welt = mondo, da qui il plurale welten = mondi / universi. Sì, ci può stare. Ci sta per le tematiche che vengono affrontate nelle liriche, delle liriche che finalmente di comunicano qualcosa che – cara grazia – scavalca il gradino marmoreo dei vari sbudellamenti e di tutti gli eventuali cadaveri maciullati. Una cosa alla volta però. Questo secondo album ci appare subito più pensato rispetto al primo. Non che Aeons sia stato fatto frettolosamente e senza alcuno studio dietro, non sto dicendo questo, però Weltenschmerz è indubbiamente più adulto ed evoluto. Non temete, grind rimane grind e l’aggressività, nonostante alcuni rallentamenti, rimane la stessa. Sai che c’è? Che cambia l’impatto, l’amalgama dell’intero lavoro, l’impasto musicale. Aeons ce lo ricordiamo molto più grezzo e old school. La produzione certo non rendeva giustizia a tutti gli strumenti, o comunque aveva la tendenza a sbavarli e appannarne contorni e tonicità. Trascinava con sé quella matrice punk/core/grind che a volte ci capita ancora di sentire in vecchi album grind. Weltenschmerz invece, come dicevo prima, risulta avere una trama più soda e netta: tutti gli strumenti giocano da protagonisti, e in questa migliorata definizione sonora, attutiscono il contraccolpo musicale dell’ascolto modellandosi senza rughe come linoleum sul cemento. Il che non pregiudica affatto la brutalità e la ferocia. L’atmosfera che ci soffoca è maligna e ostile. Il sound aggressivo e violento (seppur nella sua precisione e linearità) è portavoce di ritmiche immediate e ribollenti. Le corde sono fulminee e taglienti, i tamburi bombardano malevolenza e grinta; ci concedono il respiro solo alcuni passaggi sviluppati su dinamicità slow-tempos che rallentano l’inquietudine creata, senza intaccare comunque la buona riuscita dell’intero album. Doppio pedale, riff velocissimi, blast beats mitragliati valorizzano il ringhio ruvido-caustico reso ancor più cartavetrato da quei suoni marcati e spessi tipici della lingua tedeschia. È un growl granuloso che si plasma senza grinze sulle argomentazioni delle liriche. Ed eccoci, circolari, a riprendere l’apertura. I testi, appunto. Sdoganate quindi le enciclopedie chirurgiche, i tomi di psicopatologie, i dizionari di morte (forse troppo inflazionati?), ci ritroviamo sfondati da parole che urlano tragedie realmente accadute, barbarie che vittime (s)conosciute hanno davvero subìto, crudeltà umane ai limiti della veridicità. Se provaste ad ascoltare l’album seguendo le liriche sul santo gugoltransleitor realizzereste la veemenza di tutto il lavoro. Tocchereste con mano l’intenzione di quella rabbia vomitata sul microfono, di quell’acido stridente delle corde, di quella tempesta calciata con foga alla batteria. Ho parlato prima di un rallentamento ritmico all’interno dell’album. Ebbene sì, si tratta di Todessog, una pista magmatica e lenta, che tocca tonalità doom e atmosfere oscure e buie. Le tastiere dipingono un quadro tetro mestierato degnamente da un vocalism cavernoso e lugubre. Le pelli tirate tremano sopra i colpi nero-carbone alla cassa. È una traccia diversa dalle altre, ha un’impostazione che si discosta dal resto dell’album ma che rimane comunque apprezzabilissima e godibile. Unica pecca che proprio non mi va giù è Prugelknabe. Non mi piace. La trovo noiosa, meccanica, vuota. O meglio, la coda è totalmente inutile. Il resto del corpo lo salvo anche, ma la chiusura è proprio un allungamento di brodaglia. Niente più che un diluire il sugo. È un ruotare sulla stesaa orbita, sugli stessi binari, e gira gira gira su qeusto circuito praticamente identico, toccando quasi il minuto di ripetizione della stessa solfa. Come dice il parrucchiere: Taglio? E taglia, no! Avrebbe sicuramente dato un soffio di leggerezza all’ascolto, avrebbe incentivato un eventuale bis, avrebbe fatto spegnere l’ipod con un gran sorriso soddisfatto. In questo caso, non che non ci sia il sorriso, sia mai, ma viene dopo. Sì, viene dopo un inevitabile: “marò, che palle, ma quando finisce ‘sta canzone?” Fortunatamente poi si realizza che l’album è meritevole di essere ascoltato: al di là del closing dell’ultima pista, è un buon album grind, senza aspettarsi nessun’innovazione di genere né evoluzioni tecnico-qualitative degne di lode. Sì, è un buon album grind, nessuna smisurata aspettativa, nessuna delusione. È un buon album grind.
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GodHateCode, non li conoscevo... leggendo la recensione sono seriamente invogliato ad ascoltarli, brava Ira!... sopratutto per lo sdoganamento delle enciclopedie chirurgiche, i tomi di psicopatologie, i dizionari di morte... E sentiamolo questo buon album grind .. ... .. .......... ... ...... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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01. Ich Bin Krieg 02. Feine Gaben 03. Beuteschema Überdruss 04. Der Wert 05. Schlöne Freude 06. Prügelknabe 07. Im Leben Nicht 08. Für Gott Und Gold 09. Das Etwas 10. Värdighetens Avgrund 11. Todessog
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Line Up
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Wolfgang Rothbauer (Guitars) Armin Schweiger (Vocals) Lucas Haidinger (Guitar) Philippe Seil (Bass) Pelle Ekegren (Drums)
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RECENSIONI |
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