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Rory Gallagher - Rory Gallagher
( 10713 letture )
Parlare di Rory Gallagher significa, prima di tutto, parlare di una vera leggenda del blues/rock. La parola è abusata e rischia di perdere significato, ma di fronte ad un monumento assoluto come quello del musicista irlandese, non si può avere paura di usarla. Semplicemente, stiamo parlando di uno dei massimi esponenti mondiali della chitarra. Uno di quelli perennemente citati in tutte le classifiche stilate in questi anni, eppure, forse ancora non riconosciuti appieno. Uno di quelli che tra cinquant’anni continueremo a nominare con un misto di ammirazione e quasi di reverenza e devozione: questa è una leggenda e Rory Gallagher lo è appieno. Nato il 2 marzo 1948 a Ballyshannon e cresciuto poi a Cork, il giovane cresce in una famiglia non proprio agiata ma comunque in grado di lasciargli un tesoro immenso: l’amore per la musica. Sia il padre Daniel che la madre, Monica, si dilettano nel canto ed il padre è anche un organista e spronano fin da subito i propri figli ad intraprendere un percorso musicale. A nove anni Rory riceve la sua prima chitarra, a dodici ha già vinto un concorso per talenti emergenti. Si concentrerà per lungo tempo sull’acustica, imparando da Lonnie Donegan, per poi passare a Buddy Holly ed Eddie Cochran; apprenderà negli anni a suonare disinvoltamente anche armonica, basso, mandolino, banjo, sax, ukulele, sitar e chissà quanti altri strumenti. La formazione musicale del giovane avviene invece quasi tutta attraverso la radio. Scoperto il blues, l’amore è immediato: saranno Elmore James, Lead Belly, Howlin' Wolf, Big Bill Bronzy e, soprattutto, Muddy Waters a diventare i punti di riferimento assoluti per il chitarrista, assieme ad un amore mai dimenticato per la musica folk. Nel 1961 compra la sua prima Fender Stratocaster, una chitarra che, completamente ricostruita da lui stesso, diventerà la sua compagna inseparabile. Nel 1966 fonda i Taste, con i quali registra due album e due registrazioni live, tra cui il fortunato Live at the Isle of Wight, uscito pochi giorni prima che la band si sciogliesse nel 1970. A questo punto Gallagher ha già una grande esperienza ed il suo nome gira nell’ambiente già da qualche anno; decide quindi di fondare la propria band chiamando il batterista Wilgar Campbell ed il bassista Gerry McAvoy. Il sodalizio con quest’ultimo durerà ininterrotto fino alla morte del grande chitarrista, nel 1995, a causa di alcune complicazioni insorte dopo un’operazione.

Il qui presente debutto Rory Gallagher viene registrato e pubblicato nell’arco di un mese, tra aprile e maggio 1971 e, pur non essendo quasi mai ricordato, resta senza dubbio uno dei più belli, completi ed entusiasmanti rilasciati nella lunga carriera del chitarrista. Forse non molti si aspettavano un album di questo livello sin dalla prima prova da solista, ma è certo che l’impressionante range espressivo che sarà tipico di Gallagher ed il già elevato valore tecnico, sono ampiamente protagonisti del disco. Blues, folk ed una veemenza tipicamente pre-hard rock, sono gli elementi su cui queste dieci canzoni (dodici nella versione CD) si reggono risultando ancora oggi ampiamente godibili ed espressive. La produzione scarna e secca non toglie niente alla potenza del trio, donando anzi ampio risalto agli strumenti ed alla bella voce del chitarrista, qua già torrenziale nelle sue fughe soliste da antologia. Basta l’hard blues saltellante ed incontenibile dell’opener Laundromat (the craziest place I’ve ever been), accompagnato dall’armonica e dal fluviale stile chitarristico di Gallagher a stabilire uno standard altissimo che si ripeterà lungo tutto il disco. Campbell e McAvoy si rivelano subito ben più che meri comprimari donando una base magmatica e molto potente su cui il chitarrista può torreggiare infiammando il proprio amplificatore. A tanta veemenza fa subito da contraltare la seguente Just The Smile, folk e quasi agreste, condotta sull’acustica ed accompagnata da delle fondamentali percussioni: pezzo bellissimo, dalla melodia gustosa e sospesa, magnificamente accompagnato da un Gallagher superbo; siamo ampiamente a livelli che in quegli anni saranno toccati solo dai Led Zeppelin, anche se i richiami a Cat Stevens e Simon & Garfunkel si fanno sentire. I Fall Apart torna all’elettrica, inizialmente con l’aspetto della ballad (molto belli i contrappunti di McAvoy) per poi svilupparsi in un crescendo sempre più marcato che porta ad un incandescente finale, nel quale anche Campbell trova il modo di mettersi in mostra; anche in questo caso, il riferimento più vicino sembrano essere proprio i Led Zeppelin. Si torna al blues rurale ed all’acustica, stavolta in stile tipicamente americano, con Wave Myself Goodbye (feel so blue I think I wave myself goodbye; come non amare un verso del genere?), con un brillante accompagnamento di piano. Hands Up conserva un impianto blueseggiante ma l’approccio è decisamente ruvido ed alcuni stacchi già parlano un linguaggio tipicamente hard, come anche le sezioni soliste di Gallagher. Sinner Boy si apre ancora con una sezione in pulito e sembra che l’alternanza si rinnovi, ma è solo un momento: McAvoy entra prepotentemente e Rory si esibisce con una partitura in slide da far invidia a tanti celebrati maestri del genere, finché è nuovamente uno stacco hard rock a spezzare il rutilante riff conducendo al finale. Arriviamo così ad uno dei capolavori assoluti dell’album, For The Last Time è una lunga cavalcata elettrica nella quale Gallagher sembra evocare i Mountain di Nantucket Sleighride, conducendoci poi ancora una volta lungo i sentieri dell’improvvisazione libera; quasi sette minuti di pura poesia. Divertente e scanzonata la successiva It’s You, che spezza un po’ la tensione accumulata negli altri brani alla maniera dei Cream di Disraeli Gers e conduce ad I’m Not Surprised, anch’essa condotta sull’acustica, ma rotta da accelerazioni rabbiose all’altezza del refrain e sicuramente più amara della precedente. Can’t Believe It’s True è più lunga e articolata, ed offre un accompagnamento di sax suonato dallo stesso Gallagher ed un brillante assolo. La versione CD offre a questo punto Gypsy Woman, altro ottimo blues acustico e It Takes Time, brano più movimentato e dotato di ritmo, che potrebbe essere attribuito a Stevie Ray Vaughan ad un primo distratto ascolto.

Le coordinate dell’evoluzione sonora di Gallagher sono quindi tutte ampiamente impostate sin dal debutto, nel quale il chitarrista mostra ancora un forte debito verso i propri idoli ma rivela anche come gli anni di formazione siano ormai agli sgoccioli, offrendo uno stile personale già riconoscibile e fondato appunto sia sulla commistione di blues, folk e proto-hard rock e sul caratteristico approccio solista, già scintillante e controllato. Ovviamente, il vero terreno di gioco per un chitarrista di scuola blues resta il palco e Rory Gallagher costruirà buona parte della sua fama proprio grazie alle terremotanti esibizioni dal vivo, che costituiranno per lui il trampolino di lancio verso una leggenda ancora piena di significato e calore. In anni difficili per l’Irlanda, nei quali nessun gruppo riusciva ad imporsi a livello internazionale ed a fare tour estesi nel territorio a causa degli scontri tra fazioni religiose, Gallagher sarà uno dei pochi interpreti di questa terra tormentata riconosciuto a livello mondiale, assieme al celebre Van Morrison e, poi, ai Thin Lizzy di Phil Lynott. Sicuramente riuscirà a non interrompere mai il proprio rapporto con la madre patria, offrendo continui tour nazionali ai propri fans: un amore che gli varrà il riconoscimento da parte di tutti i suoi connazionali. Rory Gallagher è un album prezioso e bello, ancora non completamente maturo, ma certamente già ampiamente significativo al’interno di una discografia ricca, che non ha perso niente del proprio valore. A voi compiere il primo passo verso questo tesoro.



VOTO RECENSORE
84
VOTO LETTORI
73.33 su 39 voti [ VOTA]
Jonathan
Mercoledì 23 Settembre 2020, 16.11.57
10
Album di esordio notevole nella sua varietà di stili musicali e nel fatto che la chitarra di Rory è già bella che affilata. "Laudromat", "I Fall Apart", "Sinner Boy", "For The Last Time" e "Can't Believe It' True" sono, inoltre, assoluti valori aggiunti. Voto 90.
Fabio Rasta
Venerdì 29 Novembre 2019, 11.16.12
9
Ammiro e stimo RORY GALLAGHER da tempo immemorabile. Un fratello di scaglione 7/91 aveva una cassetta senza alcuna scritta. Disse che secondo lui mi sarebbe piaciuta. Aveva ragione. Era un live non ufficiale di RORY, lo seppi tempo dopo domandando a Ramone, il mio mentore musicale che fungeva praticamente da shazam. Credo che non abbia riscosso la riconoscenza meritata (RORY GALLAGHER, non Ramone!) per un insieme di fattori, ma il principale (credo!) la troppa discrepanza tra le esibizioni live, e i dischi in studio, sia in termini di performance che di composizioni. In questo disco si può percepire che + che scrivere una vera e propria canzone, RORY trovava un giro sul quale gli sarebbe piaciuto fare le svise, ci inseriva un cantato x proforma, e poi ci partiva di assoli. Vuoi pure la dimensione studio, con il sound penalizzante e tutto il resto... dischi di alta qualità, intendiamoci, ma i suoi Live sono tutta un'altra faccenda.
Rob Fleming
Domenica 7 Febbraio 2016, 15.58.21
8
Un chitarrista strepitoso, mai troppo citato eppure per tecnica, gusto, stile, pulizia in pochi sono stati superiori a lui e For the Last Time è lì a ricordarcelo. 80
fortune
Mercoledì 11 Febbraio 2015, 10.13.30
7
Leggenda del Blues/Rock.Talento stratosferico.
Lizard
Venerdì 22 Giugno 2012, 14.22.14
6
Grazie del commento Rory in effetti, oggi Gallagher è un artista un po' di nicchia (in fondo, lo è sempre stato) ma come anche tu testimoni, chi lo conosce lo ama profondamente per il grande musicista che è stato. Credo che non avrebbe voluto di più!
Rory
Venerdì 22 Giugno 2012, 14.17.01
5
Bella recensione!!! Album fantastico!!! Rory l'ho scoperto da 4/5 anni fa rovistando tra le vecchie musicassette di mio papà (la prima che mi è capitata tra le mani era Jinx) ed è stato subito amore al primo ascolto. Incuriosito ho continuato la ricerca su questo favoloso artista ed ora ho praticamente tutti gli album ed anche alcuni dvd dei sui concerti. E' un'artista che oggigiorno non è molto conosciuto ma comunque stimato ed apprezzato da quei pochi. Ha scritto ed interpretato a mio parere alcuni dei migliori pezzi rock/blues. L'unico rimpianto (visto la mia giovane età) è non essere riuscito a vederlo in uno dei suoi live dove lui e la sua Fender si fondevano insieme per diventare un uragano e tempestare di emozioni ogni singolo ascoltatore.
LORIN
Mercoledì 9 Maggio 2012, 22.12.13
4
Ottima questa recensione. A me e' sempre piaciuto Rory ed ho apprezzato tutti i suoi lavori (compresi i Taste) acquistandoli tutti e li ascolto molto di frequente tutt'oggi.
fabio II
Mercoledì 9 Maggio 2012, 14.14.20
3
No! questa rece di Lizard non mi era ancora capitata tra le mani, cavolo Rory e Alvin Lee, Page e Beck a parte, sono i miei chitarristi preferiti della scena superblues del periodo in Europa. PS: amico warrior63 lascia perdere.. vecchia storia
Lizard
Mercoledì 9 Maggio 2012, 14.11.54
2
Non te la prendere: la mamma dei bischeri è sempre incinta.
warrior63
Mercoledì 9 Maggio 2012, 14.01.58
1
se non conoscete l'artista NON votate a c::...
INFORMAZIONI
1971
Polydor Records
Rock/blues
Tracklist
1. Laundromat
2. Just the Smile
3. Fall Apart
4. Wave Myself Goodbye
5. Hands Up
6. Sinner Boy
7. For the Last Time
8. It’s You
9. I’m Not Surprised
10. Can’t Believe It’s True

Bonus Tracks:
11. Gypsy Woman
12. It Takes Time
Line Up
Rory Gallagher (Voce, Chitarra, Sax, Piano)
Gerry McAvoy (Basso)
Wilgar Campbell (Batteria, Percussioni)
 
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