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Lynyrd Skynyrd - Last of a Dyin’ Breed
( 4311 letture )
I Lynyrd Skynyrd di oggi hanno poco o nulla a che fare con la stupenda band che portava lo stesso nome negli anni 70. La cosa è inevitabile, visto che l’unico superstite di quel gruppo ormai entrato nella leggenda è il sig. Gary Rossington, di professione chitarrista, con preferenza per la slide. Altri si sono affiancati a lui nel songwriting e se è vero che uno di loro porta ancora il cognome Van Zant e l’altro ha fatto parte di una primordiale formazione del gruppo, di fatto, la musica non è, e non poteva essere, la stessa. Tanto era ribelle ed anticonformista la prima incarnazione degli Skynyrds, tanto appare oggi conservatrice e reazionaria quella attuale, con il tripudio di Dio, Patria, Famiglia, Fucili, Birra e Macchine, con il quale hanno infarcito tutti i dischi dal 1991 ad oggi, conservando l’attitudine “ribelle” solo in relazione al proprio essere Figli del Sud e quindi legati a valori del tutto diversi da quelli che oggi paiono guidare i comportamenti e le regole anche della politica. Tanto erano legati al folk, al blues ed al rock rovente e primigenio allora, tanto sembrano oggi duettare con hard rock ed AOR, mantenendo sì un legame col genere che hanno contribuito a creare, ma di fatto spingendo il proprio bacino di ispirazione verso sonorità ben più mainstream e radiofoniche. Eppure, a dispetto della retorica e di tante censurabili cadute di ispirazione, la band che rilascia oggi questo Last of a Dyin’ Breed, sembra tutt’altro che morta e se questo glorioso monicker pare un po’ stretto e sbiadito addosso a questi musicisti, non si può negare che faccia ancora un certo effetto vederlo sventolare in copertina, accompagnando queste canzoni. Certo, la ciurmaglia sudista che ammicca nelle foto è oggi composta da volti non sempre così familiari, ma rivedere l’espressione di un Johnny Van Zant ottimamente recuperato, a fianco di Gary Rossington e Ricky Medlocke, fa comunque piacere. Novità vere in formazione in realtà non se ne registrano, almeno per quanto riguarda le registrazioni di studio, dato che solo dopo la band ha formalizzato l’ingresso di Johnny Colt (ex-Black Crowes) al basso.

Il disco si compone di undici tracce originali, alle quali si aggiungono quattro bonus tracks nell’edizione speciale, che vi consiglio di procurarvi, data la qualità delle stesse. L’album, come detto, non si fa problemi ad alternare momenti più tendenti all’hard rock ed altri più spudoratamente radiofonici, a partire proprio dalla controversa Homegrown, indubbiamente la canzone più debole dell’intero platter. Il livello compositivo appare sempre comunque piuttosto elevato e coeso e, nel complesso, si può dire che Last of a Dyin’ Breed si propone come uno dei migliori album rilasciati nel nuovo corso del gruppo. Certo si può questionare sul fatto che c’è molto mestiere dietro alle canzoni della band, ma a voler essere onesti fino in fondo, non si può certo pretendere chissà quale livello di originalità da questo gruppo. Non resta quindi che concentrarsi su episodi riusciti come l’opener e titletrack dell’album, la successiva One Day at a Time, la divertente e prossima highlight dal vivo Mississippi Blood, Good Teacher scritta da Johnny assieme al fratello Donnie (38 Special) e le due conclusive Honey Hole e Start Livin’ Life Again. Molto buone le ballad presentate, con una menzione a Ready to Fly, forse nell’idea “figlia” della storica Freebird, anche se musicalmente siamo ben lontani da quel volo turbinoso ed indimenticabile. Forse ad una band famosa un tempo per il proprio micidiale triplo attacco chitarristico, si può rimproverare di usare con troppa parsimonia questa risorsa, mentre il tastierista Peter Keys fa senz’altro il suo lavoro, senza mai impressionare e senza regalarci purtroppo i leggendari assolo a cui Billy Powell ci aveva un tempo abituati. Siamo al cospetto quindi di un album bilanciato ed ottimamente realizzato, con canzoni tutto sommato semplici e coinvolgenti, che non chiedono altro che essere suonate con un buon volume ed ascoltate in allegria, senza aspettarsi sorprese o capolavori ormai fuori dalla portata, ma neanche cali di tensione o episodi scialbi. Purtroppo, la versione odierna dei Lynyrd Skynyrd appare decisamente più normalizzata rispetto ad un tempo e questo è un dato al quale dobbiamo necessariamente uniformarci. Fa piuttosto piacere sentire che Johnny ha assolutamente recuperato la propria voce, fornendo su questo disco una delle sue prove migliori per ispirazione e calore, tanto che per stavolta Ricky Medlocke rinuncia in toto ai proprio interventi, concentrandosi sul lavoro alla chitarra. Per quanto riguarda le bonus tracks, come detto si tratta senza dubbio di brani di valore, in niente meno interessanti di quanto poi finito sulla versione “ufficiale” del disco ed anzi, si può dire addirittura che si tratti di brani di livello superiore, in qualche caso.

Il tempo passa per tutti e, senza quasi che ce ne accorgessimo, anche per la nuova incarnazione dei Lynyrd Skynyrd il traguardo dei vent’anni è stato infranto da tempo ed indulgere ancora sulla dicotomia tra passato e presente finisce per non rendere giustizia a quanto fatto dal gruppo finora. Raccogliere e tramandare una leggenda è compito difficile e se è vero che il rimpianto per ciò che fu resta fortissimo ed incolmabile, non si può negare che anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un album solido e ben più che piacevole, interpretato da musicisti di valore, con l’attitudine giusta e un lotto di canzoni degne del nome in copertina. La magia è finita per sempre, ma ciò non toglie nulla al valore di questo Last of a Dyin’ Breed. Buon ascolto e bentornati a casa, Lynyrd Skynyrd.



VOTO RECENSORE
74
VOTO LETTORI
86.6 su 5 voti [ VOTA]
Fabio Rasta
Sabato 28 Ottobre 2017, 11.11.44
5
Dopo l'ispiratissimo God & Guns era difficilissimo ripetersi. Così è stato. LP dignitoso ma di normale amministrazione. Credo che se avessero dato + spazio al pianoforte, il risultato sarebbe stato molto migliore. Così le canzoni sono buone, ma, a parte la title track (anch'essa abbastanza canonica, seppur evocativa), non lasciano il segno. Ovviamente parere mio; ma anche dalla recensione...
Slow
Sabato 29 Settembre 2012, 15.52.54
4
Di più, è in streaming (ancora per poco immagino) su un noto portale USA... ma tanto lo saprai già Ok, fne OT, lasciamo spazio agli Skynyrd
Lizard
Sabato 29 Settembre 2012, 0.33.26
3
Senza Hughie Thomasson??? O_O non lo sapevo, ma non so se esserne felice! Comunque, avendoli visti entrambi da poco, devo dire che attualmente i Molly Hatchet dal vivo hanno una marcia piu' di tutti.
Slow
Venerdì 28 Settembre 2012, 23.37.43
2
Quoto in tutto ANDREASTARK e, di conseguenza, Lizard. Il disco convince e piace, forse un pelo meno del precedente ma stiamo cercando proprio col lanternino e, forse, è solo una questione soggettiva. A chi mi ha preceduto nei commenti rammento comunque anche l'uscita proprio in questi giorni degli Outlaws....
ANDREASTARK
Venerdì 28 Settembre 2012, 17.25.38
1
Il succo della tua recensione Lizard è nell'ultimo paragrafo e cioè che è orami totalmente inutile parlare del dualismo con la formazione originale in primis perchè quella formazione veniva da un'epoca di fortissimo fermento creativo e sociale e tutto ciò aveva creato quella fenomenale miscela incendiaria e ribelle che contraddistinse tutti i dischi pre-tragedia in seconda battuta perchè questa gente che oggi porta orgogliosamente e più che dignitosamente il nome Lynyrd Skynyrd è comunque gente che è in giro da 40 anni (non solo Rossington, ma anche Johnny e soprattutto Ricky Medlocke....) e non si può pretendere da loro una rivoluzione musicale. Chi, come me nel 2012 compra un disco degli Skynyrd non vuole far altro che sentire un bel disco fatto da gente con le palle e che sa cosa vuol dire fare belle canzoni che molti altri non sanno fare....in questo senso da 1991 in poi nessun disco mi ha deluso e sono secondo me stati raggiunti picchi notevoli con The Last Rebel, Twenty, Vicious Cycle e God & Guns....in fin dei conti cosa vogliamo pretendere di più se non di sentire del grande rock? non uscirà un altro Street Survivors ma di certo non ci propineranno un Lulu di merda......e perciò continuerò a comprare ogni disco degli Skynyrd come lo farò con i Molly Hatchet e con la Allman Brothers Band ed ogni volta che li mettero su un grasso sorriso mi si dipingerà sul volto....
INFORMAZIONI
2012
Roadrunner Records / Loud and Proud Records
Hard Rock
Tracklist
1. Last of a Dyin’ Breed
2. One Day at a Time
3. Homegrown
4. Ready to Fly
5. Mississippi Blood
6. Good Teacher
7. Something to Live For
8. Life’s Twisted
9. Nothing Comes Easy
10. Honey Hole
11. Start Livin’ Life Again
Line Up
Johnny Van Zant (Voce)
Gary Rossington (Chitarra)
Ricky Medlocke (Chitarra)
Mark Matejka (Chitarra)
Peter Keys (Tastiera)
Johnny Colt (Basso)
Michael Cartellone (Batteria)
Dale Krantz-Rossington (Cori)
Carol Chase (Cori)

Musicista Ospite
John 5 (Chitarra)
 
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