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The Gathering - Disclosure
( 6020 letture )
Quest’anno combinazione vuole che praticamente quasi tutte le band che negli anni novanta hanno forgiato un genere complesso e variegato, talvolta incompreso, come il gothic metal siano tornate (o stiano per ritornare) con delle nuove uscite. Alcune sono state accolte con favore o addirittura acclamazione, altre con moderata partecipazione, altre ancora con disappunto, ma non c’è dubbio che questa sia un’annata caratterizzata da un certo retrogusto nostalgico, specie per chi ha assistito personalmente ai primi vagiti di quel genere e non ha smesso di seguire (a volte con un pizzico di disorientamento) l’evoluzione dei suoi gruppi più rappresentativi. Non solo, ma ad ogni nuova uscita si rinnova quella curiosità quasi morbosa di scoprire cosa intendono ai giorni nostri offrire band che, checché se ne dica, hanno ormai definitivamente scolpito il loro nome sulla roccia, hanno già raggiunto traguardi importanti, hanno ormai consolidato una significativa maturità artistica, ma evidentemente hanno quegli stimoli e quella passione che li spinge ogni volta a rimettersi in gioco, con quel entusiasmo e quel pizzico di incoscienza che ancora li accompagna dopo diversi anni di onorata carriera. Ed in questo caso di anni dal primo album ufficiale ne sono passati la bellezza di venti "suonati" (in tutti i sensi), mentre quello proposto quest’anno è il decimo full-length nella storia degli olandesi.

Sgombriamo da subito il campo da eventuali false attese, perché di certo non si tratta di un ritorno a quel glorioso passato, non che ci fossero particolari aspettative in tal senso, a dire il vero. C’è chi addirittura ha smesso di seguire gli olandesi dai tempi degli esordi doom death, anche se probabilmente si tratta di una sparuta minoranza. Altri, invece, sono rimasti talmente delusi dal passaggio da lavori monumentali come Mandylion e Nighttime Birds alle pulsioni trip-rock di How To Measure a Planet? da aver deciso di non seguirne gli ulteriori sviluppi. Perfino la Century Media allora storse il naso per quella uscita che, ironia del destino, ad oggi è da alcuni considerata come l’ennesimo capolavoro di una band coraggiosa che non si piegò alle logiche degli schemi precostituiti.
Da allora, la parola metal uscì gradualmente dal vocabolario dei The Gathering, che invece preferirono proseguire sul loro percorso del tutto personale, per certi versi simile a quello sperimentato parallelamente dai britannici Anathema, seppur con i dovuti distinguo. Tanto più è vero ai giorni nostri dato che, a dispetto del precedente The West Pole, con questa nuova uscita la componente chitarristica viene nuovamente affievolita a favore di un rock ancor più atmosferico e sperimentale. Disclosure, difatti, sembra in qualche modo voler riprendere il discorso lasciato in sospeso da Souvenirs, puntando più sull’elettronica e su suoni sintetici, accentuando quelle componenti oniriche e melanconiche che da tempo ormai permeano più o meno profondamente i lavori del gruppo olandese.

Trame più aeree dunque, suoni più lievi: se questo per qualcuno fosse un elemento di delusione, ciò sarebbe per certi versi comprensibile, ma chi ha continuato, nonostante tutto, a seguire gli orange di una cosa probabilmente sarà consapevole, cioè del fatto che raramente la qualità delle proposte ha subìto significative flessioni. Forse questo album non sarà al livello di Home, che reputo, dal punto di vista compositivo, la loro migliore uscita dai tempi di How To Measure a Planet?; forse non si tratterà di un ritorno al metal ma, se mi è consentito, chi se ne importa! I tempi cambiano, le vesti si rinnovano, però la classe rimane e loro, a mio avviso, ne hanno ancora da vendere.
Lungi dal seguire mode e forti dell’autonomia che viene dal totale controllo del processo di produzione e distribuzione del loro lavoro (grazie al fatto che ancora una volta esso esce sotto l’egida della Psychonaut Records, etichetta di cui sono proprietari), gli olandesi seguono semplicemente i propri istinti, la propria vocazione, le convinzioni e le inclinazioni ormai maturate dopo una così lunga esperienza. Fanno quello che si sentono di fare, ci mettono l’anima e questo si sente, trasuda dalle composizioni e, ancora una volta, mettono in mostra abilità e doti tecniche indubbie che fanno di questo lavoro l’ennesimo disco degno di attenzione.

Fatte queste premesse, andiamo a constatare più da vicino di cosa si tratta, iniziando dalla voce solista. Non cadrò nella tentazione di fare confronti con chi l’ha preceduta, dato che Silje Wergeland ha già dato prova di essere all’altezza del ruolo, è già al suo secondo album con i The Gathering dopo aver lasciato gli Octavia Sperati (o semplicemente Octavia, come si facevano chiamare agli esordi). Ricordo che già quando ascoltai per la prima volta la sua voce nei fugaci ma commoventi minuti del brano Solicitude (ormai risalente a quasi una decina di anni or sono) rimasi molto colpito dal suo timbro, particolarmente dolce, sensuale e dalla sua capacità di infondere con eleganza sensazioni acutamente nostalgiche. Anche questa volta, Silje riesce a dare il suo tocco indispensabile nell’economia dei brani; la sua interpretazione si mantiene spesso abbastanza dimessa, solo occasionalmente protesa verso significative variazioni di tono o slanci particolarmente energici. Del resto deve adattarsi al taglio scelto per il disco, che, come già accennato, sembra compiere un ulteriore passo nella direzione di un allontanamento anche dalle ormai seppur minime reminiscenze gothic metal del passato, verso uno stile ancor più vicino all’atmospheric rock, la cui principale ispirazione rimane quella di riuscire a creare un’atmosfera eterea e melliflua in cui lasciar librare delicatamente i tenui suoni emessi da un’ugola femminile, che pian piano ci stiamo abituando ad identificare con quella della vocalist norvegese.

L’ossatura è costituita da un’andatura talvolta anche abbastanza esuberante delle percussioni e soprattutto di un basso quasi sempre in bella mostra, suonato con estro e vivacità da una Marjolein Kooijman in gran spolvero, mentre ad ordire trame soffici ma al contempo elaborate ed imprevedibili ci pensano gli effetti creati dalle tastiere, i tappeti talvolta indecifrabili di suoni sintetici che ricolmano i brani della loro incessante presenza. A venire parzialmente sacrificate, di contro, sono le chitarre, spesso impiegate solo per emanare suoni elettrici leggeri o raffinati accenni acustici, ma non mancano di certo sporadiche incursioni verso sonorità distorte e maggiormente decise ed incisive. In un simile contesto, tutti gli strumenti acquisiscono pari dignità, concorrendo a rendere la struttura dei brani mai scontata e banale, ad infarcirli di momenti più introspettivi ma anche, a volte, di porzioni significativamente più cariche.
Da segnalare come esempio, a tal proposito, il brano I Can See Four Miles che, a parte i primi tre minuti, è quasi del tutto strumentale; in esso dominano sperimentazione e psichedelia, gli effetti acustici dei vari strumenti si combinano e si impastano a meraviglia divenendo quasi indistinguibili tra di loro, creando un impatto sonoro energico e quasi frastornante.
Qui e altrove, come in The West Pole, si ritagliano il loro spazio anche deliziosi arrangiamenti al piano ed agli archi, i quali, è inutile dirlo, contribuiscono a conferire armonia e ricercatezza alle composizioni, specie nei momenti di maggiore distensione. Quando poi i suoni sintetici iniziano a farsi più liquidi ed indefiniti, si arricchiscono altresì degli struggenti passaggi alla tromba di Noel Hoffman, dal suono sempre leggero e fluente, mai invadente né ruffiano; è questa, se vogliamo, una delle principali novità di questo album rispetto al passato e, a mio avviso, anche uno degli aspetti che contribuiscono a renderlo ancor più attraente.
Insieme ad esso, non si può fare a meno di notare la presenza di una accesa componente alternative rock, particolarmente evidente, ad esempio, nell’attacco di Meltdown, che mi ricorda lo stile dei Sonic Youth, sia per il riffing sostenuto, distorto ed effettato, sia per il cantato maschile incalzante di Frank Boeijen. Sì, avete capito bene, dopo diversi anni si spezza anche una sorta di tabù, ed una voce maschile torna a sovrapporsi alle note degli olandesi, in una sorta di dialogo, di botta e risposta con la frontwoman.

Una menzione d’onore merita poi il brano più duraturo del platter, Heroes For Ghosts, uscito già come singolo alcuni mesi prima, che da solo vale già il prezzo del biglietto; è nel corso dei suoi oltre dieci minuti che si incamerano le emozioni più profonde, di quelle che si sentono dapprima sulla pelle e poi dritto in fondo all’anima. Può darsi che sia per via della sua struttura alquanto articolata o per le sue atmosfere sognanti; ma a condurre c’è sempre lei, la vocalist, che riesce ad interpretare questo tipo di sound con il piglio giusto ed una innegabile personalità, per non parlare del trasporto con cui decanta quei versi che dimostra di sentire profondamente suoi; del resto, è stata lei stessa a comporli ed è probabile che abbiano un significato particolare per lei.
Da un punto di vista strettamente personale, non faccio fatica a collocare Heroes For Ghosts nel novero dei più toccanti brani composti ed eseguiti dai The Gathering nel nuovo millennio, assieme a Saturnine, Souvenirs, Forgotten e The West Pole, solo per citarne uno per ogni album.
Infine meritano senz’altro un cenno le due tracce "gemelle" (passatemi il gioco di parole), vale a dire Gemini I e, soprattutto Gemini II, che ne rappresenta una sorta di versione acustica, cantata con tono più alto e caratterizzata da suoni più tenui e da una più spiccata passionalità.

Un prodotto costruito a tavolino per stimolare emozioni negli animi più sensibili? Di certo qualcuno la penserà così, non sarebbe questo il primo caso e, come per alcuni lavori recenti in qualche modo riconducibili a questo, simili punti di vista (assolutamente rispettabili) saranno prospettati. Personalmente, ritengo questo lavoro l’ennesima prova convincente degli olandesi e mi spingo anche oltre, osando affermare che qui si tratta di un disco in grado di polverizzare decine di stereotipate e sonnecchianti riproposizioni di gruppi female-fronted assolutamente privi di originalità ed attrattiva. Chi in questi anni ha ignorato i The Gathering probabilmente continuerà a farlo, ma chi, invece, non ha mai smesso di seguirne le orme, a mio parere non potrà non apprezzare anche Disclosure.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
73 su 40 voti [ VOTA]
Rob Fleming
Lunedì 19 Febbraio 2024, 15.41.38
13
Buona conferma, come dice chi mi ha preceduto, cambia la cantante, ma la qualità delle composizioni non ne risente in particolar modo. Heroes for ghosts è a dir poco fantastica e I Can See Four Miles non è da meno. Meltdown con il duetto è molto intrigante, ma è tutto l\'album a reggere benissimo. 77
Diego75
Domenica 18 Settembre 2022, 20.55.35
12
Non importa con quale cantante... ma loro sono e rimangono una band solida fatta di ottimi musicisti!....voto 85
stonefox
Giovedì 13 Aprile 2017, 11.24.40
11
Io direi questa cantante non riceve mai abbastanza elogi. Ha avuto l'arduo compito di sostituire Anneke, che comunque pur non essendo il mostro di bravura che ci vogliono far credere aveva creato qualcosa di unico e originale coi TG... e Silje si è dimostrata ben più che all'altezza. Vocalmente è molto più preparata di Anneke, live è più precisa, poi i gusti sono gusti. A me quest'album piace moltissimo
Faher Picard
Giovedì 13 Aprile 2017, 7.20.21
10
Questa band non riceve mai abbastanza elogio. E questo album, grandissimo, non viene ancora valutato quanto merita, a 5 anni di distanza. Voto 90
Green Man
Lunedì 23 Maggio 2016, 9.14.35
9
ennesimo, grandissimo album 72,5 media lettori? ma siete fuori?
Luxifer
Venerdì 5 Ottobre 2012, 10.23.54
8
Vizioassurdo, le mie preferite sono le due Gemini, Paralyzed e Missing Seasons!
Vizioassurdo
Giovedì 4 Ottobre 2012, 12.10.36
7
La più inaspettata sorpresa del 2012. E' delizioso, cresce di intensità ad ogni ascolto. Fin'ora 80 ma non escludo il voto possa salire. Vostre preferite? Io adoro Heroes e le due Gemini, ma nell'album non si avverte alcun calo d'intensità. E dire che ero uno della scuola "senza Anneke non diranno più nulla". Bello essere smentiti!
Luxifer
Martedì 2 Ottobre 2012, 20.47.44
6
Uno dei migliori album del 2012 #adoro
Pobop
Martedì 2 Ottobre 2012, 16.38.26
5
Ma quale prodotto costruito a tavolino? Questa è arte. Lavoro sublime.
Daniele
Sabato 29 Settembre 2012, 22.42.29
4
Veramente ottima recensione,mi ha invogliato molto ad ascoltare questo nuovo lavoro dei Gathering,senza la mia adorata Anneke.
Straisand
Sabato 29 Settembre 2012, 16.17.07
3
Capolavoro.
Metal3K
Sabato 29 Settembre 2012, 15.02.38
2
@ Bloody Karma: poi se ti va mi fai sapere se tra questi piccoli capolavori metteresti, come me, anche e soprattutto Heroes for Ghosts...
Bloody Karma
Sabato 29 Settembre 2012, 12.58.17
1
disco particolare che ho appena iniziato ad assimilare...la voce di Silje mi sembra più personale rispetto a the west pole, anche se lo spettro di anneke è sempre presente...da questi primi ascolti il disco mi sembra più concreto e compatto di the west pole ed ho già individuato un paio di piccoli capolavori...premesse positive ci sono tutte...tra qualche settimana posterò i miei giudizi...
INFORMAZIONI
2012
Psychonaut Records
Alternative Rock
Tracklist
1. Paper Waves
2. Meltdown
3. Paralyzed
4. Heroes for Ghosts
5. Gemini I
6. Missing Seasons
7. I Can See Four Miles
8. Gemini II
Line Up
Silje Wergeland (Vocals)
René Rutten (Guitars)
Marjolein Kooijman (Bass)
Hans Rutten (Drums)
Frank Boeijen (Keyboards, Vocals on ‘Meltdown’)

Guests
Jos van den Dungen (Violin, Viola)
Noel Hofman (Trumpet)
 
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