Ventun anni di death metal, e non sentirli: l'undicesimo studio album dei danesi Illdisposed, provenienti da Aarhus, é un disco di spessore, capace di coniugare potenza, velocità, tecnica e, se vogliamo, melodia, nonostante l'avanzare degli anni. Una carriera rispettabile, quella dei cinque nordeuropei, che non saranno mai giunti a livelli olimpici ma che hanno saputo sfornare un buon numero di album significativi: il debut Four Depressive Seasons (1993), il ben considerato There's Something Rotten in the State of Denmark (1996) o i più recenti The Prestige (2008) e To Those Who Walk Behind Us, tanto per citare quelli più celebrati dal web. Il qui presente Sense the Darkness giunge a solo un anno dall'ultimo There Is Light (But It's Not for Me), che era stato valutato di qualche gradino inferiore rispetto a certi predecessori: l'ultima fatica dei Nostri convince e cresce sulla lunga distanza, mantenendo vivo sul mercato il moniker in questione. Quello dell'act scandinavo é un death metal moderno e di ottima fattura tecnica, compattato sotto un suono glaciale ed intimidatorio: il vocione growl primordiale di Bo Sommer affianca i riff dei due chitarristi, Jakob "Batten" Hansen e Smukke Ken, prestanti come badilate, mentre una potenza stentorea viene ribadita in atmosfere soffocanti e velenose. Una proposta del genere, ovviamente, é di ostica assimilazione, in quanto priva di linee vocali vagamente orecchiabili e lontane dalla classica struttura composta da strofe e ritornelli; come é ovvio che sia, il drummer Thomas Jensen si rende protagonista di una prova imponente, mentre le chitarre vengono utilizzate come chirurgici strumenti da macello. Ad un primo ascolto, l'eccessiva violenza di certi pezzi e la tendenza a rallentare in corposi cadenzamenti centrali potrebbe rendere ancora più tosto questo lavoro, soprattutto ai fruitori meno avvezzi a sonorità estreme: la statica monodirezionalità della voce non aiuterà di certo chi vuole avvicinarsi a produzioni più dure della media. Allo stesso tempo, sussiste il rischio concreto di faticare a distinguere i vari pezzi: ci si muove in una scaletta omogenea, ricca di strutture ben articolate, ma certamente costituita da brani stilisticamente speculari, che difficilmente presentano variazioni eclatanti o spunti talmente memorabili da restare impressi e permettere di differenziare facilmente brano da brano. Nonostante questa postilla, il disco e le sue canzoni restano appetibili e ben concepite, anche travolgenti dopo qualche ascolto più che attento: accelerazioni e ripartenze sono all'ordine del giorno, e la band danese non si risparmia di certo quando c'é da sfoggiare una tecnica di ottimo livello, esibendo architetture in movimento continuo e ripetuti cambi di registro, pur prediligendo in maniera naturale l'assalto frontale. Che poi, diciamocelo chiaramente, é la soluzione più gradita e azzeccata, assolutamente coinvolgente quando si tratta di scatenare rabbia ed energia in scarnificanti scorribande ritmiche, una manna per gli adepti più incalliti del metal estremo.
La titletrack, Sense the Darkness, é un ottimo pezzo d'apertura, appoggiato su un riff possente e su una struttura valida e articolata; un brano veloce e devastante, impreziosito da un raggelante solo melodico. Eyes Popping Out e Never Compromise suonano ancora più inscalfibili e spesse a livello vocale: inoltre, pongono l'accento su una continua alternanza tra lento e veloce, risultando convincenti almeno quanto l'opener; Time to Dominate é più cadenzata, possiede un profilo ossessivo e terrificante, ma sfocia in una sezione centrale di tutto rispetto, con una flebile ed inquietante melodia di chitarra, mentre Stop Running é un assalto poderoso, scandito da ritmiche thrashy: un vero esercizio di sottomissione sonora, abbellito da un assolo di pregevole bellezza melodica. A seguito di riff pesanti come autocarri, I Am Possessed e Too Blind to See innestano ritmiche frastornanti e frammenti solisti intrisi di inquietudine, essendo due episodi tellurici, ideali per esaltare il drumworking di Jensen; The Poison, invece, possiede un riffato moderno e mette in luce, una volta di più, il colorito contrasto tra strofe senza compromessi ed emozionanti lampi solisti. Cercando di discostarsi leggermente dal tema portante del platter, la band piazza a questo punto una zampata cadenzata e opprimente quale Another Kingdom Dead, slow tempo senza accelerazioni né attimi di respiro: un diversivo isolato perché, quasi per contrasto, giungono immediatamente due bordate come She's Undressed e We Do This Alone a riportare scompiglio. Queste due canzoni sono delle fucilate tiratissime e sfrenate, gonfie di adrenalina quasi thrash-oriented; in particolare, proprio We Do This Alone colpisce per i suoi riff tonanti ed eccitati, oltre che per l'interessante stratificazione presente nella parte centrale. Le due bonus tracks War e Desire, la prima più ritmata e la seconda con più spiccato gusto melodico, sono meno violente nelle linee globali, ma comunque gradevoli e dotate degli immancabili ed intensissimi guitar-solos. Queste due canzoni, presenti nell'edizione digitale del disco, mostrano il fianco a qualche leggera critica, essendo lievemente meno convicenti delle altre: ma, trattandosi di bonus tracks, possiamo ampiamente perdonare alla formazione nordica tale calo finale (peraltro neanche così evidente), vista la qualità ed il valore delle altre composizioni.
E' un disco nella media, Sense the Darkness, ma infine la normalità é sempre stata la cifra artistica di questa band, perennemente collocata nel suo limbo stilistico. La validità costante che caratterizza tutte le tracce rende impossibile l'individuazione di eventuali picchi qualitativi, dato che nessun brano spicca sugli altri per efficacia, né ci tramanda momenti di eccellenza più evidenti. Non sono composizioni destinate a imprimersi nella memoria o da canticchiarsi sotto la doccia, un po' per l'intransigenza della proposta e un po' perché non é affatto semplice, oggigiorno, scrivere delle canzoni death metal abbastanza stupefacenti da elevarsi dalla media e pretendere un posticino speciale nei cuori degli headbangers. Ancora una volta é da elogiare la relazione stretta e morbosa tra atmosfere sature, catramose, e solismi melodici fluidi e struggenti, una peculiarità che va a rappresentare la maggiore qualità del disco in oggetto. Forse gli Illdisposed non sono mai usciti dalla nicchia, non hanno mai raggiunto i vertici del death metal internazionale, ma continuare a sfornare dischi di buon livello come Sense the Darkness a tanti anni dal debutto é in ogni caso un traguardo ammirevole, che certi colossi del genere faticano a raggiungere. Insomma, poche chiacchiere, lontano dalle luci dai riflettori, zero fuochi d'artificio, ma un risultato più che soddisfacente.
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