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Kamelot - Siege Perilous
( 3498 letture )
Poetry for the Poisoned (2010) rappresenta uno degli ultimi album davvero sinfonici, dagli arran-giamenti fastosi e coinvolgenti, che mi sia capitato di ascoltare: efficace mix di raffinatezza e potenza, sospeso tra il cavernoso growl di Bjorn Strid (Soilwork) e le muliebri melodie di Simone Simons (Epica), e pur sempre intriso di potenza lirica, l’ultimo disco con il thai-landese/norvegese Roy Khan alla voce trova tuttora spazio nel mio lettore, complice una produ-zione sontuosa che toglie il fiato e ne esalta ogni volta l’ascolto, come Empire dei Queensryche. E’ in virtù di questo presupposto che ho accolto con interesse la possibilità di ascoltare confrontare e recensire Siege Perilous, terzo album dei Kamelot e primo con Khan alla voce e Grillo alla batteria.

Le prime note di Providence sembrano cogliere appieno quel misto di malinconia e nervosa reatti-vità caratteristico della produzione più recente, confermando tutto il fascino di questo particolare mood: la band americana propone un incedere greve e cadenzato, sviluppando un racconto sinistro con frasi appena sussurrate ed agguati gregoriani, con squarci di luce (i suoni brillanti del ride, gli assoli di chitarra, le virate delle tastiere verso note più alte) che rendono ancora più piacevole tornare a sprofondare nelle oscurità della saga. I colori pallidi sono tra gli strumenti più interessanti utilizzati dalla band della Florida, capace di rendere con sensibilità cinematografica una sensazione di pericolo costante, di redenzione mai completa, di suggestione ambigua e minacciosa (Irea e la strumentale Siege). Il racconto è sempre complicato e sofferente, sadicamente incompiuto, l’apertura melodica solare ma non troppo, quasi a voler tenere l’ascoltatore a metà del guado, a sprofondare lentamente nel fango guardando il lieto fine che si dissolve tra le nebbie. Grazie a questa caratteristica i Kamelot propongono un’interpretazione oscura e sfuggente dell’epico, rassegnata ed allo stesso tempo potente, storicamente anche più convincente per le violenze che sceglie di non tacere. Sempre pronto a sorprendere per la varietà degli innesti, il gruppo americano si inventa così un approccio non privo di elementi di novità: la composizione dei brani non appare mai costretta dalla necessità di rientrare in un genere ben preciso, l’ascolto è accessibile ma mai ruffiano, gli elementi progressive inseriti con gusto fanno tanto “qualità” e compiacciono l’ascoltatore alla ricerca di un elemento che sappia spingersi oltre il solito power. La produzione non delude, ma certamente non esalta come nelle uscite successive: la voce di Roy sembra spesso in secondo piano rispetto al resto, quasi timida ed incapace di imporsi, soffocata da tastiere poco ispirate dalla mano di un Pavlicko in partenza ed autrice di linee melodiche immature, come graziate da luce riflessa. I suoni sono puliti ma non brillantissimi, e la dinamica è compromessa da parti diverse che tendono ad accavallarsi rubandosi spazio a vicenda. Il meccanismo crea una tensione a suo modo verosimile, ma l’impressione resa da Siege Perilous (il Posto Pericoloso sul quale si sarebbe seduto il cavaliere della Tavola Rotonda che avrebbe trovato il Santo Graal) rimane quella di un disco prodotto professionalmente a strati, nel quale la bontà delle idee tende ad annacquarsi ad ogni aggiunta successiva. Le costruzioni ritmiche di chitarre e batteria sono probabilmente tra gli elementi prima pensati e meglio riusciti: Millennium propone ad esempio una bella cavalcata, inesorabile nella velocità e preziosa negli inserti di tastiere, mentre il cantato si vede costretto ad un dolce accompagnamento -solo a tratti corale- che certo non stride ma nemmeno definisce. King’s Eyes sembra confermare la tendenza, presentando una base sontuosa e non priva di elaborati elementi progressive (che ritroveremo in Rhydin), eppure vittima della propria malinconia perché destinata a rimanere crisalide: la mancata amalgama tra gli ingredienti fa in modo che la canzone, come l’intero disco, si ascolti con piacere ma senza suscitare emozione né coinvolgimento, senza commuovere né scalfire per un’unicità di intenti che non risulta pervenuta. Tra gli episodi più riusciti, in qualche modo indice della qualità che sarebbe seguita, segnalo invece Once a Dream, una ballad che riesce finalmente a porre l’interpretazione di Khan nel giusto risalto: i ruoli di cantato e ritmica sono ribaltati, con la seconda a supporto della prima e non viceversa, melodie a formare un intreccio solido, teso, ed un chorus che si manda a memoria senza sforzo. Personalità è quanto manca per avvicinare Siege Perilous ai Kamelot che ricordavo (ed in attesa di ascoltare il recente Silverthorn con Tommy Karevik alla voce): se in Poetry for the Poisoned la band era riuscita ad ergersi maestosa, sicura dei propri mezzi e di una chimica liquida che sembra trasudare dalle casse ad ogni rispolvero, le dieci tracce proposte nel 1998 paiono piuttosto una dignitosa prova generale che raramente sembra riuscire a vincere una generale sensazione di sottotono.

Ritmiche varie, costruzioni sinfoniche e l’innegabile professionalità di Khan danno vita ad un insieme di momenti più disimpegnati di quanto si vorrebbe, alla peripatetica ricerca di se stessi (Expedition), avvicinandoli a proposte di qualità media che oggi riconosciamo ancor più inadeguata per il nome della band stampato sull’evocativa copertina. Quello dei Kamelot è un terzo disco anomalo, nel senso che non si propone di confermare la qualità delle prime uscite: al contrario, Siege Perilous si rivela per certi versi una sorta di reboot ed una piacevole transizione, grazie all’innesto di due elementi che ne avrebbero in futuro contribuito alle fortune. Nei cinquanta minuti di musica si scorgono qualità e varietà ed un’idea ambiziosa alla quale sembrano mancare le ore in sala prove per realizzarsi compiutamente: nonostante questo, il disco si rivela ascoltabile in ogni momento, rappresentando un acquisto consigliato per completare una collezione e ricostruire le tappe di un invidiabile percorso.



VOTO RECENSORE
68
VOTO LETTORI
75 su 15 voti [ VOTA]
Salvatore
Lunedì 29 Maggio 2017, 19.32.54
11
Hai ragione anche tu (Francesco.R) sulla produzione dell'album,infatti, una migliore qualita ',avrebbe senz'altro reso Siege...ai livelli molto migliori! Sicuro!...x quanto riguarda Antonio Metal, non giudico ne lui ne nessun'altra sul personale, mi limito a dare una opinione,esclusivamente discografica,anche ×che non lo conosco personalmente e non mi permetto!
JC
Domenica 21 Maggio 2017, 8.14.03
10
Mi era piaciuto. Buon disco power di un'epoca ormai passata. I Kamelot li ho seguiti fino ad Epica (il mio preferito é The Fourth Legacy): il genere che hanno impostato successivamente, e che li ha portati al successo, non mi ha mai preso.
Francesco R.
Domenica 21 Maggio 2017, 3.16.53
9
Salvatore in effetti il disco, produzione a parte, non è per niente male anche se personalmente preferisco la fase Black Halo - Ghost Opera oltre ovviamente ai dischi successivi.Però lascia stare quello che dice Antonio: se è veramente lui è un totale psicopatico!Lo avevo conosciuto perchè anni fa bazzicava spesso l'MMI di Reggio e Modena ed è fuori di testa, ha teorie demenziali sul metal (ricordo che all'epoca farneticava di golden metal, genere che sembrava volesse essere il portabandiera) e sparava cazzate megagalattiche sul fatto che sarebbe stato l'erede di Roy Khan nei Kamelot dando per sicuro il suo ingresso nel gruppo.Meglio prendere le distanze da certi casi umani disperati.
Salvatore
Domenica 21 Maggio 2017, 2.11.34
8
Pienamente d'accordo con te Antonio metal,lavoro sottovalutato,e forse il migliore Dell era Roy Khan,tutte le influenze sono ben equilibrate ,senza che nessuna,prevarichi sull' altra: caleidoscopio di power/prog/epic nel senso metal del termine! Non come i Dream Theater che si spingono anche al di fuori del nostro genere musicalecon eccessivi barocchismi , cambi di tempo ,suite infinite al limite del 'palloso'!....ottimo album (io gli darei anche un 80!)
Antonio Metal
Martedì 18 Dicembre 2012, 16.05.27
7
Album assai sottovalutato. Purtroppo ha dalla sua un mix davvero pessimo di Tommy Newton,un ottimo producer(i due Keepers,i Conception,gli Ark,gli Elegy,i suoi Victory etc),ma che quando lavora su"commissione"(a detta di Roy)non s'impegna al massimo. Però le canzoni sono valide. Se usate l'immaginazione non per quello che è ma per quello che poteva essere quest'album con una produzione firmata Paeth/Miro vi accorgerete che sarebbe stato un grande album,il migliore del periodo "Epic-Prog"(la trilogia "Epica"con "Eternity"&"Dominion").Io fossi in Youngblood l'avrei come minimo remixato e al max ri-registrato.
enry
Domenica 2 Dicembre 2012, 9.20.59
6
Mi manca ma non andrò certo a recuperarmelo, anche perchè di 'sta band mi piace un disco e mezzo: The Fourth Legacy e qualcosa di Epica. Ma da non amante del power faccio poco testo.
bring antonio giorgio to the slaughter...
Domenica 2 Dicembre 2012, 5.09.19
5
il lavoro peggiore dei kamelot,sconsigliatissimo a chi voglia farsi un'idea delle potenzialità del gruppo,lontano anni luce da quello che produrranno da lì a poco.gli unici pezzi che ritengo salvabili sono millennium e expedition
untilkingdomcome
Sabato 1 Dicembre 2012, 23.08.55
4
IMHO Ghost Opera è il migliore, pezzi come Mourning star e Anthem sono veramente magistrali e ipnotici.
Painkiller
Sabato 1 Dicembre 2012, 22.55.22
3
Disco davvero di transizione, poco convinto e poco convincente, nel quale sembra che la band di the fourth legacy non abbia ancora la consapevolezza dei propri mezzi, un po' come un adolescente con brufoli ed apparecchio per i denti. No, non è possibile nemmeno considerarlo il "bozzolo" dal quale nascerà la farfalla, talmente é distante dal grandioso futuro che la band si costruirà, quasi non fosse composta dagli stessi elementi. Non bastano pochi bagliori di luce a elevare questo disco fino alla sufficienza. 55.
Radamanthis
Sabato 1 Dicembre 2012, 18.11.38
2
Il flop della dicografia della band!
Undercover
Sabato 1 Dicembre 2012, 14.01.23
1
In questo disco c'è l'unico pezzo dei Kamelot che ho ascoltato a ripetizione "King's Eyes" e ancora me ne domando il perché...
INFORMAZIONI
1998
Noise Records
Power
Tracklist
1. Providence
2. Millennium
3. King’s Eyes
4. Expedition
5. Where I Reign
6. Parting Visions
7. Once a Dream
8. Rhydin
9. Irea
10. Siege
Line Up
Roy Khan (Voce)
Thomas Youngblood (Chitarra)
David Pavlicko (Tastiere)
Glenn Barry (Basso)
Casey Grillo (Batteria)
 
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