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Staind - Live from Mohegan Sun
( 2089 letture )
C’erano una volta gli Staind; non uso questa frase in apertura per celebrare una sorta di funerale della band di Aaron Lewis, ma per voler sottolineare come il loro nome, dopo un inizio estremamente promettente, sia lentamente caduto nel dimenticatoio: vuoi per il cambiamento della moda in fatto di musica metal, vuoi per il loro ammorbidimento rispetto alla furia grezza di album come Dysfunction, i ragazzoni di Springfield sono stati bollati come ennesima band di matrice alternative/nu metal che si è svenduta alle logiche di MTV e del successo facile e per questo condannati a damnatio memoriae. Seppur ci sia certamente del vero in questa affermazione, bisogna anche dire che è comunque ingiusta nei confronti di un gruppo valido, forse non fra i primi in assoluto del genere, ma ciò nondimeno degno di rispetto e di attenzione, come del resto ha dimostrato il loro recente, omonimo ultimo album in studio, un gradito ritorno alle sonorità di inizio carriera. E’ chiaro che ci sarà sempre un po’ di polemica attorno a loro, come del resto c’è da sempre per molti combo venuti fuori negli anni 90 e legati ad un certo tipo di immagine e musica. Del resto, bene o male, purché se ne parli, no?

Ma c’è un modo, da sempre, per testare realmente le qualità di un gruppo, un modo infallibile che testimonia inequivocabilmente l’attitudine dei musicisti e la presa dei loro brani, al di là dell’ovvio limite rappresentato dai gusti personali di ciascuno. Esatto, questo modo si chiama live. Lo hanno capito perfettamente gli stessi Staind, che hanno rilasciato questo loro primo live album, intitolato Live from Mohegan Sun, non solo per lasciare una tangibile prova delle proprie esecuzioni dal vivo, ma molto probabilmente proprio per testare la loro rinnovata energia e la loro ritrovata ispirazione, nonché per meglio presentare ai fan il batterista Sal Giancarelli, sostituto del drummer di lunga data Jon Wysocki. L’album, registrato alla Mohegan Sun Arena di Uncasville, in Connecticut, è ovviamente incentrato proprio sull’ultima fatica in studio dei nostri, tanto che, delle prime quattro tracce, ben tre sono estratte da essa: l’apertura non può che essere affidata ad Eyes Wide Open, con il corposo basso di Johnny April in evidenza nei primi istanti; successivamente i due chitarristi si affiancano al bassista ed Aaron Lewis può dar sfogo a tutta la sua ugola, che, seppur meno rispetto al passato, riesce ancora a regalare emozioni: su questa traccia, in particolare, il suo registro di chiara ispirazione laynestaleyana cede maggiormente il passo ad un growl rabbioso, inedito per il nostro ed efficace fino ad un certo punto; si prosegue con Falling, tratta da Chapter V e più vicina agli stilemi classici della band di Springfield, così come del resto la voce del cantante, che si muove nuovamente su un terreno a lui più noto e congeniale, fra melodia e momenti più strascicati e cupi. Right Here continua il breve filotto di brani tratti da Chapter V, risalente al 2005 ed è un brano più lento e malinconico di quelli ascoltati finora. Ancora una volta, la sua bontà è dovuta in buona parte alla voce di Aaron Lewis; non che i suoi compagni di band suonino male, beninteso, ma è innegabile che, senza la voce ricca di pathos del cantante, la musica in sottofondo potrebbe esser stata scritta da un qualunque buon gruppo alternative metal. Come ho detto, forse non sarà l’Aaron Lewis dei tempi migliori (e la piccola stecca sul finale di Right Here lo conferma), ma il suo carisma è sostanzialmente rimasto intatto fin dai lontani esordi di Tormented. Si torna a Staind con Throwing It All Way, forse il meno brillante dei brani finora proposti, come conferma anche la scarsa partecipazione del pubblico, ma comunque sostanzialmente gradevole. La rapida rullata di Sal Giacomelli, finora impeccabile, ha il compito di risvegliare i fan dal torpore ed introdurli a Spleen, primo estratto di questo concerto dal tanto amato Dysfunction, su cui Lewis sfodera nuovamente il suo growl alternandolo al timbro per cui è celebre; la scaletta prosegue con la cupa e bella Fade, tratto da quella macchina macina-singoli che risponde al nome di Break the Cycle e poi con Failing, altro brano dell’ultimo album, accolto però in maniera migliore rispetto a Throwing It All Way (seppure a mio giudizio non sia poi tanto più riuscito); va registrata qui una piccola nota di demerito per Lewis, dato che il suo growl in questo caso è tutto tranne che impeccabile. Va molto meglio, in tutti i sensi, con la bella So Far Away, estratta da 14 Shades of Grey e su cui il pubblico, per la verità un po’ apatico in generale, viene invitato a partecipare direttamente dalla voce del singer. Crawl restituisce pesantezza al concerto dopo la parentesi melodica del brano precedente e rimarca nuovamente la differenza di durezza sonora degli esordi della band rispetto ai lavori successivi, per quanto abbiamo già evidenziato come il nuovo album tenti di riavvicinarsi proprio a quel tipo di stile; del resto va detto che, per quanto Staind sia indubbiamente ben riuscito, il passato resta il passato ed anche la splendida For You lo conferma. Naturalmente non si può costantemente vivere nel passato, ma è ovvio che, pur ammirandola costanza e la passione degli Staind e continuando a seguirli, indubbiamente certi tempi non torneranno più; ne è cosciente anche il pubblico, che finalmente canta a squarciagola e da l’impressione di star assistendo ad un concerto e non ad una funzione religiosa. Peccato che i nostri trovino subito il modo di smontare questo anelito partecipativo dei fan inserendo un altro estratto da Staind, che, pur essendo un ottimo brano a dispetto di qualche sbavatura di Lewis sul solito growl, non riceve certo quel che si dice un entusiastico feedback. Si torna alla melodia con le due belle ballad Outside e It’s Been a While, accolte con un boato dal pubblico (specie la prima), intervallate da Not Again, pesante singolo di Staind dove il growl di Aaron Lewis è migliore rispetto alle tracce precedentemente prese in esamr. Siamo ormai vicini alla conclusione e possiamo notare come la band non abbia inserito in scaletta neppure uno straccio di brano da The Illusion of Progress, penultimo lavoro in studio risalente solo al 2008; se non è un ripudio di quello che è probabilmente il peggior lavoro del gruppo, poco ci manca. La conclusione di Live from Mohegan Sun non può che essere affidata al classico dei classici degli Staind, Mudshovel e poi all’ultimo estratto dal più recente dei loro album, la bella ballad Something to Remind You: Si tratta di un ottimo modo per concludere un buon album, anche se probabilmente, visto lo stato di semi-lobotomia dei fan per buona parte della durata dello show, sarebbe stato più saggio chiudere con una fra Outside e It’s been a While e suonare prima Something to Remind You.

In conclusione, Live from Mohegan Sun è un buon album dal vivo, che cattura con sufficiente efficacia la potenza ed il pathos dal vivo degli Staind; non si tratta di un capolavoro per il semplice fatto che è ovviamente troppo incentrato solo sull’ultimo disco prodotto dalla band, ma anche perché, come abbiamo visto, qui e là la voce di Aaron Lewis ha qualche momento meno brillante di altri. Tutto sommato, però, la prestazione dello stesso singer e dei suoi compagni di band nell’intera durata dello spettacolo è più che soddisfacente e lascia ben sperare anche per il futuro della band, che ci appare in ripresa dopo la delusione di The Illusion of Progress; la prestazione di Mike Mushok e degli altri ci consente altresì di alzare di qualche punto il voto di questo live, fermo restando che non può e non dev’essere il voto numerico l’unica sintesi di una recensione che si rispetti. Dal canto mio, spero di avervi fornito un’analisi che sia il più possibile indicativa del perché io sia giunto, alla fine, a partorire quel numero.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
87 su 5 voti [ VOTA]
Nu Metal Head
Lunedì 3 Dicembre 2012, 18.10.10
2
beh ai tempi di break the cycle erano davvero forti... peccato che in questo live mancano come minimo 2 canzoni di quel fortunato album, epiphany e open your eyes... lo avrebbero reso ancor più appetibile.
Daniele
Domenica 2 Dicembre 2012, 22.30.13
1
Recensione molto dettagliata complimenti e devo dire che non mi dispiace affatto,che molte canzoni del live,siano dell'ultimo album,che ho letteralmente consumato. Adesso vedrò di procurarmi assolutamente questo live.
INFORMAZIONI
2012
Eagle Rock Records
Alternative Metal
Tracklist
01. Eyes Wide Open
02. Falling
03. Right Here
04. Throwing It All Way
05. Spleen
06. Fade
07. Failing
08. So Far Away
09. Crawl
10. For You
11. Paper Wings
12. Outside
13. Not Again
14. It’s Been Awhile
15. Mudshovel
16. Something To Remind You
Line Up
Aaron Lewis (Voce, Chitarra)
Mike Mushok (Chitarra)
Johnny April (Basso)
Sal Giancarelli (Batteria)
 
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