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Creed - My Own Prison
( 5001 letture )
Si sente tanto parlare degli Alter Bridge al giorno d’oggi –meritevolmente, si intende–, che spesso si tende a dimenticare un’altra band, altrettanto importante, cui gli autori di Blackbird devono la loro stessa esistenza: stiamo naturalmente parlando dei Creed, l’ensemble post-grunge di cui facevano e fanno tutt’ora parte, in seguito all’immancabile reunion risalente al 2009, i tre membri degli Alter Bridge Mark Tremonti, Brian Marshall e Scott Phillips; la band in questione, oltre al non trascurabile risultato di aver venduto oltre 40 milioni di album in tutto il mondo, è ancora oggi una delle più amate dal pubblico statunitense in ambito rock, per merito della sua miscela di sonorità rock/metal e tematiche liriche fortemente intimiste, frutto della penna del cantante Scott Stapp; inoltre ha in qualche modo svezzato i musicisti che ne fanno parte, anticipando alcune future soluzioni musicali sperimentate dagli altrettanto amati Alter Bridge, che non a caso agli esordi –seppur in modo sicuramente superficiale– furono definiti Creed con un nuovo cantante. Non vi pare che queste caratteristiche rendano i Creed quantomeno meritevoli di un ascolto e di un’analisi della loro opera?

E’ proprio per questo che ci troviamo a riscoprire l’album d’esordio del gruppo, quel My Own Prison che, trascinato dai singoli Torn, One, My Own Prison e What’s This Life For, ha venduto 6 milioni di copie nei soli Stati Uniti, a dispetto di un sound in alcune circostanze ancora un po’ troppo grezzo e sintomo dell’inesperienza dei quattro. Tuttavia è abbastanza semplice intuire come mai l’album abbia conosciuto un successo tanto notevole nonostante i succitati difetti, se si ascolta già il primo brano dell’album, Torn: ci troviamo di fronte ad una canzone influenzata in modo molto marcato dal grunge targato Seattle, soprattutto nei punti più duri e nella voce di Stapp, simile in modo impressionante a quella di Eddie Vedder, ma che combina tali influenze con un sottofondo melodico gradevole e ben strutturato e testi del tipo,

Peace is what they tell me
Love am I unholy
Lies are what they tell me
Despise you that control me

The peace is dead in my soul
I have blamed the reasons for
My intentions poor
Yes I'm the one who
The only one who
Would carry on this far

Torn, I'm filthy
Born in my own misery
Stole all that you gave me
Control you claim you save me


Al di là di ciò che si possa pensare di liriche del genere, è innegabile che certe sensazioni negative siano state provate da tutti noi almeno una volta nella vita; è proprio questo che rende i Creed, se non poetici o particolarmente raffinati, quantomeno molto sinceri ed è una delle ragioni chiave se si vuole comprendere il loro successo; tutto questo sempre tenendo considerato il fatto che, come detto, l’allora giovane di belle speranze Mark Tremonti tesse un sottofondo chitarristico assai interessante. Dopo Torn i nostri calcano ulteriormente il piede sull’acceleratore con Ode, che inserisce nel sound della band alcune sporadiche influenze nu metal per ciò che concerne la graniticità del ritmo e del riff, ma si torna presto alla melodia melanconica con la già citata title-track, una composizione dal pathos estremamente vivido e dalla musica ammaliante. Il difetto più grande che si possa imputare a questi ragazzi statunitensi, oltre alla già citata inesperienza ed al sound grezzo in alcuni punti, è certamente la staticità di fondo di alcune linee vocali e melodie, notabile in particolare nelle tre tracce successive alla title-track ma, per fortuna, questi difetti vengono sufficientemente controbilanciati dalle qualità positive su elencate. I Creed, poi, tengono il meglio per ultimo e, dopo aver offerto le belle Torn e My Own Prison, piazzano prima due interessanti brani come Unforgiven e Sister, anch’essi dei buoni concentrati di melodia e pesantezza e, infine, le splendide What’s This Life For e One, tutt’ora immancabili in qualunque show dal vivo della band.

In sostanza, come detto prima, ci troviamo di fronte ad un buon lavoro d’esordio, dotato di un sufficiente bilanciamento fra melodia e pesantezza e che esplora nell’intimo le sensazioni che l’animo umano può provare; forse, anzi sicuramente non si tratta del più grande lavoro post-grunge o rock in generale degli anni ’90, anche in virtù di quanto già ampiamente detto sui suoi difetti, ma sarebbe ingiusto sottovalutare l’importanza di My Own Prison ed il significativo impatto da esso avuto non solo sul prosieguo della carriera dei Creed, ma sul rock in generale.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
81.33 su 9 voti [ VOTA]
Manuel
Giovedì 13 Gennaio 2022, 14.58.52
11
Porca vacca,"grandissimo e inarrivabile capolavoro" Human Clay!..Ten e Dirt spostatevi vero?
Awake
Sabato 22 Ottobre 2016, 21.18.31
10
Scott Stapp da brividi. A quando una rece di quel grandissimo e inarrivabile capolavoro che prende il nome di Human Clay? Ah, dimenticavo, salutatemi gli Alter Bridge...
gianmarco
Lunedì 17 Dicembre 2012, 20.13.07
9
ops sambalzalzal
gianmarco
Lunedì 17 Dicembre 2012, 20.12.25
8
vorrei ringraziare sambalzal sti takaida son bravi give into me è fantastica,
freedom
Domenica 16 Dicembre 2012, 16.41.45
7
Disco carino come anche il successivo, ma pescano a piene mani da Pearl Jam, Alice In Chains e tutta quella roba li...personalità zero.
Sambalzalzal
Domenica 16 Dicembre 2012, 16.01.56
6
Molto meglio i Takida di loro!
Undercover
Domenica 16 Dicembre 2012, 15.49.06
5
A me in certi momenti sembravano la copia metallizzata e brutta dei Pearl Jam, non so perché ma mi han fatto quest'effetto.
lux chaos
Domenica 16 Dicembre 2012, 15.47.04
4
Quoto fabryz, mai apprezzati i creed, solo qualche pezzo quà e là, gli Alterbridge a mio gusto 3 km sopra
vascomistaisulcazzo
Domenica 16 Dicembre 2012, 0.54.18
3
io la penso esattamente al contrario, gli Alter Bridge saranno sempre e solo i Creed con un altro cantante e non per mettere a confronto le voci dei 2 che sono piuttosto diverse, musicalmente gli Alter non potranno mai fare qualcosa che in 3 album i Creed non abbiano già fatto. Mi ha sempre fatto ridere il confronto tra le voci di Stapp e Vedder, certo vi è una lontana somiglianza ma finisce lì, anche perchè Eddie non deve e non può stare nella stessa frase con nessuno! E' un pezzo che non ascolto questo album perciò gli darò una ripassata prima di mettere il voto, il mio preferito resta comunque il successivo "Human Clay"
FABRYZ
Sabato 15 Dicembre 2012, 18.11.30
2
faccio fatica a capire come mai i creed che sono assolutamente banali hanno venduto milioni di copie e gli alter bridge che fanno cd stupendi no, considerando che 3/4 della formazione e' la stessa ma qui c'e' myles kennedy con la sua voce intensa e emozionante che richiama si il cornell migliore ma anche il grande jeff buckley mentre invece scott stapp non si puo' sentire dai,e' un paracarro fotocopia di eddie vedder e non trasmette niente...forse la domanda da porsi veramente e' come mai il songwriting sia migliore negli alter bridge..
Daniele
Sabato 15 Dicembre 2012, 18.04.39
1
Bella recensione complimenti,devo dire che sono un grande fan degli Alter Bridge e che questo è l'unico album dei Creed,che mi piace dall'inizio alla fine. Già da qui ,il nostro Mark dimostrava grande talento ed è proprio quel suono grezzo,citato nella recensione,che mi fa piacere questo cd.
INFORMAZIONI
1997
Wind-up Records
Post Grunge
Tracklist
1. Torn
2. Ode
3. My Own Prision
4. Pity For A Dime
5. In America
6. Illusion
7. Unforgiven
8. Sister
9. What's This Life For
10. One
Line Up
Scott Stapp (Voce)
Mark Tremonti (Chitarre)
Brian Marshall (Basso)
Scott Phillips (Batteria)
 
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