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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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( 1975 letture )
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Pubblicizzati come “una heavy melodic band dedita ad una musica che passa dal power al progressive metal, con un’inconfondibile piega verso il classic rock che rende il loro sound senza tempo”, i Forcentury sono una di quelle formazioni da cui guardarsi bene se per caso la si scorge tra gli scaffali di un negozio, al fianco di nomi ben più blasonati, o se si hanno dei soldi da spendere e si viene attratti semplicemente dal monicker o dalla copertina più o meno evocativa. Provenienti dalla Danimarca e con all’attivo un solo studio album (Vanguard, del 2009), i Nostri sembrano essere musicisti tutt’altro che timidi di fronte al proprio strumento, ma ancora freddi e distanti da un tipo di proposta che possa attirare sul serio l’orecchio distratto dell’ascoltatore medio. Con un cantante che sembra sforzarsi di rendere interessanti le liriche, riuscendo però solamente a produrre delle linee vocali piatte e prive di personalità, le due chitarre che macinano riff su riff, cercando anche loro di vivacizzare il tutto con stop e ripartenze, cambi di stile e ovviamente assoli (che però, come vedremo, risulteranno anch’essi poco azzeccati), e la sezione ritmica che tenta davvero di far traslare ogni canzone dal power, col doppio pedale spinto al massimo delle sue possibilità, al prog, con cambi di tempo che però sembrano inseriti un po’ a casaccio, i cinque danesi appaiono ancora lontani dal poter essere considerati una realtà valida all’interno del panorama metallico mondiale. Ma ovviamente non mancano i buoni spunti, anche se molto rarefatti, quindi non facciamoci abbattere dallo sconforto ed andiamo ad analizzare da vicino l’operato dei Forcentury.
L’album prende il via con Seal of the Sinner, canzone che fa istantaneamente gridare al miracolo per il solo fatto che non è preceduta da alcuna intro. I primi tre minuti procedono a velocità folli, spezzati da un assolo altrettanto veloce di cui però non si intuisce il vero scopo; si arriva a metà del quarto minuto per sentire delle parti sinfoniche di tastiera che sembrano prese in pieno da un qualunque album dei Cradle of Filth; la canzone sembrerebbe concludersi qui, ma ecco che riparte per protendersi fino quasi a sette minuti ripetendo praticamente tutta la parte iniziale. Con Outcast ed Ashen non è che vada meglio: tanti tecnicismi, poca concretezza. E si capisce presto che non ci si deve porre una grande aspettativa per le canzoni che seguiranno. È The Shroud a farci in parte riprendere uno spiraglio di fiducia dopo la delusione iniziale, proponendoci dei toni già più epici ed allettanti, e dei cambi di tempo non forzati, ma presenti al momento giusto. Ciò che ancora non convince appieno è la voce di Johnn Thunder, sfarzosa, ma non nella maniera più consona al contesto. Ottima invece la prestazione di Jonas Landt dietro le pelli, il quale tra sfiancanti cavalcate e poderose sferzate di doppio pedale, riesce anche a dimostrare una certa fantasia compositiva. C’è comunque da dire che almeno due minuti in questa canzone sono di troppo, se fosse terminata dopo il quinto sarebbe sicuramente stato un ulteriore incentivo all’ascolto. Si conclude la prima metà del disco (sono finora trascorsi ben trentaquattro minuti) con Repercussions of Terror, brano di cui avremmo volentieri fatto a meno. Parte introduttiva a parte, la maggior parte del pezzo risulta un puzzle di generi mal fatto e sicuramente non finito, e i nove minuti di durata non ci vengono affatto in aiuto. Anche qui è la voce l’elemento meno positivo, piatta come non mai, addirittura durante gli acuti. E dato che stiamo parlando di heavy/power c’è qualcosa che non va. La seconda metà del platter si apre con un altro brano mediocre: Beyond Recognition, in cui si intravede qualche spiraglio di buona musica, perlopiù data dalla potenza tipica del power, qui riportata secondo i canoni del genere. Safe Haven è tutt’altra cosa, e ci delizia grazie all’inserimento del piano e ad un utilizzo della voce che si accosta molto gradevolmente alle note prodotte dalle due chitarre (finalmente ottimo l’assolo) ed al basso di Kristian Iversen; non è comunque un brano da pelle d’oca, ma almeno si attesta ben al di sopra della sufficienza. Il trittico finale è invece quanto di peggio ci si potesse aspettare e la noia ora si percepisce in tutta la sua essenza. Non bastano le velocità spropositate per star dietro a questi pezzi, la voglia di arrivare a conclusione vi farà rimangiare qualunque buona parola spesa in precedenza.
Revelant dei Forcentury è un disco che si può così riassumere in breve: alcune buone idee, tanta voglia di strafare, poca lucidità sul percorso da seguire. Il risultato è un album con un retrogusto amaro, che sarebbe potuto essere una buona uscita, ma che è un passo falso compiuto da una band che per fortuna si può ancora permettere di avere dei dubbi sulla reale strada da intraprendere. Il tempo è dalla loro parte, ma la nostra pazienza?
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Seal of the Sinner 2. Outcast 3. Ashen 4. The Shroud 5. Repercussions of Terror 6. Beyond Recognition 7. Safe Haven 8. The Lust, the Desire and the Temptation 9. The Reductionist 10. Changing Ways
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Line Up
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Johnn Thunder (Voce) Marc Masters (Chitarra) Christian “JaCK” Kijne (Chitarra) Kristian “Iver” Iversen (Basso) Jonas Landt (Batteria)
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RECENSIONI |
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