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19/04/24
DESPITE EXILE + LACERHATE + SLOWCHAMBER
BLOOM, VIA CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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( 4159 letture )
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L’ora più buia della notte sfocia violentemente nella luce abbacinante dell’alba, quando le lunghe ombre del precedente oblio si diradano, restituendo forme ai pensieri, mettendo in fuga profili minacciosi, spalancando le porte alla nuova vita. E’ un attimo di contrasti quello che precede lo sbocciare del fiore del giorno: una lotta silenziosa, sanguinosa, consumata mentre l’ignaro campo di battaglia, il tranquillo dormiente, è scosso nel subconscio dall’idea fastidiosa di dover presto abbandonare il caldo, comodo alveo per trascinarsi verso il luogo di lavoro o di studio. L’ultimo disco degli italiani Blaze Of Sorrow amplia quest’ultimo pensiero, incarnando una rappresentazione violenta della convivenza tra istinti primordiali, ferali, e riflessivi e rilassanti arpeggi di chitarra acustica, o elettrica suonata in pulito, sempre supportati dalla puntuale partecipazione dietro alle pelli del neo-entrato maestro di batteria N. Riprendendo il discorso interrotto con il precedente L’Eterno Tramonto, ulteriore esempio di quanto talento abbia la coppia e di come le frecce nella faretra del duo mantovano siano - senza desiderio di incensare oltremodo la giovane band - apparentemente infinite, se usate per difendere la propria posizione all’interno del settore folk-black metal, Echi mesmerizza l’ascoltatore tramite l’utilizzo sapiente di atmosfere ulveriane (Bergtatt sicuramente, ma anche, inaspettatamente, Kveldssanger), rimodernate filtrandole attraverso le esperienza degli Agalloch (la loro classica alternanza tra accelerazioni e stacchi morbidi e delicati sembra essere stata perfettamente assimilata) e degli Wolves In The Throne Room (sebbene l’influenza dei due fratelli Weaver sia una supposizione) la cui tensione verso l’infinito si sublima nelle vaste suite naturalistiche dello svedese Lustre (probabilmente nei pensieri della formazione lombarda), intrecciando nel già ricco arazzo le conoscenze del movimento neo-folk, di cui i Blaze Of Sorrow sono parte integrante (hanno aperto per i Sol Invictus). L’opener All’Ignoto corrisponde esattamente alla descrizione offerta poc’anzi, raffigurando ogni istante di un viaggio verso lande sconosciute. L’iniziale progressione di accordi arpeggiati esplode in un ordinata successione di riff piuttosto azzeccati, resi ancor più dinamici dall’ottima varietà del drumming, mai fossilizzato sul solo blast beat allorché le chitarre plettrano in sedicesimi, o sul semplice (efficace, in ogni caso) accompagnamento in ottavi durante le fasi melodiche, optando, al contrario, per un continuo adattamento delle percussioni al ritmo dettato dagli strumenti imbracciati da Peter. Ciò costituisce un punto di indubbia forza, creando continuamente orizzonti d’attesa, prontamente soddisfatti grazie ad un’ispirazione che non sembra conoscere passaggi a vuoto, pur avendo a che fare con un sottogenere di difficoltà oggettiva sicuramente elevata. Quanti, infatti, degli ascoltatori versati in questa tipologia di sonorità, sono oramai assuefatti alla poco originale successione “introduzione acustica-ripresa del riff da parte della strumentazione tutta-intervallo teso a rinsaldare le emozioni emerse nella prima parte-chiusura con rumori ambientali e accordi sgranati in lontananza”? Quanti dei fruitori non riescono più ad apprezzare un’uscita appartenente al black metal atmosferico a causa della sua spiccata natura derivativa? Ebbene, i Blaze Of Sorrow, assieme ad un esiguo numeri di altre realtà, riescono ad ottenere un inserimento nel gruppo dei “salvati” anziché dei “sommersi”.
In Memoria è un coinvolgente pezzo strumentale, venato da una pervasiva e permanente malinconia, non spezzata dall’inserimento di accordi maggiori. I cinque minuti dell’episodio evocano paesaggi montani, maestosità naturali, sperdute capanne ai limitari di misteriosi boschi, dove un tristo eremita conta i giorni che mancano al suo trapasso. Le sue memorie gli impediscono un ritorno alla civiltà umana, il rispetto verso il ciclo naturale di commettere atti violenti contro se stesso. La traccia acquarella la struggente contrapposizione: sequenze di note si muovono verso l’alto, profondi arpeggi contrappuntano la levità della melodia, prima che i due amanti si ricongiungano in un abbraccio mortale, suggellato dalle scariche di doppio pedale. Il Soffio Del Sole è un fiume che scorre placidamente, mantenendo la consueta essenza contraddittoria, sottolineata da anime antitetiche, ma complementari od addirittura inscindibili. Il dark-folk pulsa, esigendo uno spazio separato, mentre al tempo stesso il black metal tiene per sé la maggior parte della partitura, esacerbando i rapporti vigenti tra i due rivali, bilanciati subito dopo dalla breve composizione Alberi, totalmente concessa all’esoterico tocco vellutato delle acustiche. Sembra di avvertire sulla pelle le nodose dita degli abitanti dei boschi, intente ad abbracciare chi, in un mondo che non riconosce come suo, si sente smarrito, privo di speranza. La coppia in chiusura esalta una volta ancora la capacità di mantenere un precario equilibrio tra alba ed ultime, ritardatarie nubi scure, rammentando la centralità all’interno dell’economia dell’act tricolore della ricerca di un solido motivo sul quale costruire lo sviluppo seguente del brano. Ma Il Tempo Ricordò Il Mio Nome… potrebbe essere una figlia illegittima del doloroso The Mantle, dal quale, inconsapevolmente, mutua l’agrodolce sentimento il quale si insinua nella mente subito dopo la separazione dalla persona amata. Il terrore di restare completamente abbandonati e la possibilità di specchiarsi in un lago immoto sono i primi temi, suggeriti in aggiunta dal poetico testo, spiccano fin dal primo ascolto, in compagnia dell’immancabile e necessaria ambientazione autunnale (ulteriore punto in comune con The Mantle, il cui protagonista siede, nell’ultima The Desolation Song, solitario, davanti ad un fuoco che non scalda, assaporando l’amore, “the poison of life”). Degno commiato è, infine, Aspettando Il Mio Tempo, scarna traccia in cui il pneuma della movimento della Cascadia ha soffiato un caldo effluvio di vivacità, potenziato dagli echi prodotti da eterei synth, soavi voci da un’epoca distante, mitica. Pur essendo sprovvista di cantato, l’architettura dell’episodio protegge il viandante dalla noia, solleticando il suo interesse ricorrendo a cambi di ritmo, arpeggi rapidi, strumming in terzine.
Impossibile restare immuni al fascino semplice della gemma che completa il viaggio metafisico richiamato da Echi, un lavoro maturo, completo, quasi vicino alla consacrazione assoluta, esente da qualsiasi critica. In ultima istanza, il terzo passo verso l’empireo dei ragazzi di Mantova è la (ri)conferma di un gruppo giunto, in virtù anche e forse soprattutto della collaborazione di N., ad uno snodo cruciale della propria carriera, un crocicchio dal quale, si possono scorgere le luci di un Olimpo drammaticamente a portata di full-length.
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Echi è uno di quei rari dischi che riesce a fondersi con la tua vita. |
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Li ho visti live ieri sera al Pagan Storm Fest. Veramente fenomenali, mi hanno colpito nell'anima e casualmente, intenzionato a comprare qualsiasi disco, la copertina di questo disco mi ha colpito. Uno spettacolo. |
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Disco e band assolutamente eccellenti,da avere! |
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Non li conosco ma cercherò di riparare, mi avete incuriosito! |
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@Marduk puoi prenderlo contattando direttamente loro via email oppure anche attraverso la label (Sun & Moon Records) |
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dove si può trovare questo disco? |
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Ma il Vento Ricordò il Mio Nome, come titolo, è certamente preso da Only the Wind Remembers My Name di Estrangement dei Drudkh... L'ho risentito ancora ieri: album splendido. |
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Ottimo album, si lascia ascoltare piacevolmente, la produzione è particolarmente azzeccata, né troppo pulita né troppo sporca. Grane album per un viaggio. 85. |
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Sono alla fine del primo ascolto. Che gran disco. |
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Voilà, li avevo segnalati in un altro mio post. Se nei due precedenti L'Ultimo Respiro ed Eterno Tramonto mi sembravano ancora un po' acerbi, sopratutto perché il growl in Italiano suona un po' strano, qui hanno tirato fuori un assoluto capolavoro. Le parti strumentali e la musica in genere sono splendidi. Il cantato fa sempre un certo effetto ma qui è meno sorprendente. Album da avere assolutamente con un songwriting eccellente e nessun pezzo inferiore ad un altro. Tutti evocativi, tutti emozionanti. Un altro gioiello di un 2012 veramente ottimo. Congratulazioni anche per la bellissima recensione. Au revoir. |
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1
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Grandissimo album, la risposta italiana a Panopticon e Addaura |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. All’Ignoto 2. Empatia 3. In Memoria 4. Il Soffio Del Sole 5. Alberi 6. Echi 7. Ma Il Vento Ricordò Il Mio Nome 8. Aspettando Il Tempo
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Line Up
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Peter (tutti gli strumenti, voce) N. (batteria)
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