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THE CAGE, VIA DEL VECCHIO LAZZERETTO 20 - LIVORNO

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KARMA
CENTRALE ROCK PUB, VIA CASCINA CALIFORNIA - ERBA (CO)

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ALAIN JOHANNES + THE DEVILS + ANANDA MIDA feat. CONNY OCHS
RAINDOGS HOUSE, P.ZZA REBAGLIATI 1 - SAVONA

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TRAUMA hc
HEADBANGERS PUB, VIA TITO LIVIO 33A - MILANO

Heritage - Remorse Code
( 1376 letture )
Dite la verità: non avete mai neanche immaginato che esistesse una band dal nome Heritage che nel 1982 produsse questa unica testimonianza della propria esistenza, vero? Preceduto dal 7” Strange Place to Be, in effetti questo Remorse Code è la sola uscita discografica realizzata dalla band dei due fratelli Johnson: Steve alla chitarra, poi negli Statetrooper di Gary Barden e Paul al basso, noto anche come Fasker, nei Saxon ai tempi di Rock the Nations e Destiny e poi negli USI, nuovamente assieme al fratello. Gli Heritage non ebbero gran fortuna, né una vita lunga, dato che nel 1983 nonostante qualche data di supporto a Def Leppard e Magnum, la loro storia era già conclusa, senza ritorno. Apparentemente, una delle tante band nate in Inghilterra all’inizio degli anni 80 e poi altrettanto rapidamente sparite nel nulla, con poca gloria e nessun riconoscimento, se non dai critici della stampa all’epoca, per poi essere dimenticate da tutti, salvo qualche sparuto appassionato. Perché allora andare a risvegliare antichi ricordi e storie dolorose? Il motivo è semplice: perché Remorse Code, nonostante questa infelice premessa, è davvero un bel dischetto. Suonato ben più che discretamente e forte di un pregevole connubio di hard roboante e heavy d’assalto, l’album è infatti in tutto e per tutto figlio della sua epoca, tanto nella scelta dei riff, quanto nella produzione, quanto soprattutto nella cifra stilistica espressa dalla band.

Thin Lizzy in primis, Tygers of Pan Tang, Praying Mantis, Angel Witch, Def Leppard, Samson, tutti nomi facilmente accostabili alla musica degli Heritage, i quali non si distinguono in realtà neanche da un punto di vista produttivo, con una registrazione chiaramente in diretta, con chitarre in primissimo piano specialmente in fase solista, una batteria registrata orrendamente, schiacciata da suoni ovattati e compressi che eliminano ogni brillantezza a favore di un suono inscatolato e così dannatamente anni 80 da risultare non replicabile e una voce dalla timbrica che più british non si può, neanche a cercarla. Eppure, i Nostri se non proprio degli assi, nella manica qualche punto ce l’avevano: un chitarrista solista degno di questo nome, scintillante ed esuberante, una qualità compositiva non proprio comune, sebbene pregna dei cliché e dei criteri imposti da altri (anche se poi guardando la biografia vediamo che il gruppo si formò nel 1980) e un certo gusto per delle melodie non di immediata presa, ma spesso giocate su armonie e doppiature particolari, che potrebbero rimandare ai già citati Thin Lizzy (basti ascoltare in merito la titletrack o Change Your Mood, in tutto e per tutto brani che potevano essere stati scritti da Phil Lynott) e Praying Mantis. Inoltre, il gruppo si rivela particolarmente abile nel rimescolare le diverse facce della NWOBHM, andando a solleticare l’appetito tanto dei fan della parte più melodica, tanto quello dei novelli metallari o quello dei doomsters in erba, sempre con una propria capacità di scrivere brani che a primo impatto non sembrano neanche poi così particolari, salvo rivelare poi un gusto e una qualità tecnica non comuni. Certo, la voce di Darryl Cheswick avrebbe avuto bisogno di una maggiore disciplina e probabilmente qualche intreccio vocale non è proprio riuscitissimo e finisce anzi per rivelarsi perfino fastidioso e poco fruibile, ma nel complesso il cantante fa del suo meglio e certo non sfigura se rapportato alla media dei singer offerti dalla NWOBHM, nella quale i fenomeni erano davvero pochi, se si va a vedere. Le cartucce migliori, come detto, le sparano tutte i due fratelli Johnson e in particolare il buon Steve, il quale offre una prestazione degna di palcoscenici ben superiori a quelli calcati dalla band, come dimostra già la titletrack posta in apertura, per non parlare poi del break di Attack – Attack, di Need You Today o Strange Place to Be o ancora della seguente Slipping Away. Ma tutto il disco ribolle del talento dell’axeman, stranamente poi così poco ricordato e sfruttato nel corso della carriera. Siamo senza dubbio su livelli non lontani potenzialmente dal coevo John Sykes, seppure con uno stile ancora da sgrezzare. Indubbio insomma che seppur con diversi angoli da smussare, la band inglese avesse un suo perché e avrebbe meritato un riscontro maggiore di quello ottenuto. Ma la storia ha voluto diversamente e di questi pionieri dell’heavy metal più puro è rimasto a malapena il ricordo.

Remorse Code è uno di quei dischi che, per sua sfortuna, non spiccano in modo particolare in mezzo ai grandi classici dell’epoca e finisce per essere un episodio di un’epopea gloriosa su cui non ci si è soffermati abbastanza; probabilmente perché accecati da tanta abbondanza e da tanta qualità, che hanno finito per premiare solo chi brillava davvero per personalità e capacità proprie o, magari, chi aveva la tenacia e la fortuna di insistere e ottenere un riscontro maggiore. Gli Heritage, arrivati al debutto nel momento di massimo splendore della NWOBHM si sarebbero comunque trovati presto a rivaleggiare ad armi impari rispetto ad un mondo musicale che cambiava molto velocemente e che avrebbe necessitato di ben altre qualità di songwriting per superare band che già stavano alzando il livello del salto troppo in alto quasi per chiunque. Non sapremo mai se il gruppo avrebbe avuto la forza e il talento per elevarsi oltre le strette barriere del classico sound inglese per competere a livello globale. Certo è che ascoltato in questo appena iniziato 2013, Remorse Code si rivela piacevolissimo e malinconicamente ancorato a un’epoca ineguagliabile, nella quale l’heavy primigenio bruciava nelle vene di una generazione intera. Non imperdibile, sicuramente una seconda linea anche all’epoca, eppure dal valore indubbio e innegabile che merita ancora oggi ben più che un ascolto.



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
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The Nightcomer
Mercoledì 24 Aprile 2013, 15.31.15
1
Assieme ai Witchfynde ed al debutto dei Gaskin, questo Remorse Code è imho la release più significativa prodotta dalla piccola label Rondelet Records. Sicuramente con l'orecchio di oggi l'album appare grezzo e mal prodotto, però trovo giusto mettere in rilievo le innegabili doti del chitarrista, che emergono prepotentemente sin dalle prime note. Musicalmente li trovo validi, direi in linea con molte altre ottime releases (per la maggior parte sconosciute) appartenenti a quel periodo, che tanta abbondanza ha prodotto nonostante la sua relativa brevità. Peccato per la voce, non sempre convincente, anche se a tratti affascinante. Voto 76
INFORMAZIONI
1982
Rondelet Records
Heavy
Tracklist
1. Remorse Code
2. Attack – Attack
3. Endless Flight
4. For Good or For Bad
5. Need You Today
6. Strange Place to Be
7. Slipping Away
8. Change Your Mood
9. Rudy and the Zipps
10. A Fighting Chance
Line Up
Darryl Cheswick (Voce)
Steve Johnson (Chitarra)
Jeff Birkby (Chitarra)
Paul ‘Fasker’ Johnson (Basso)
Phil Gilbert (Batteria)
 
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