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Chasma - Codex Constellatia
( 1219 letture )
Avere tra le mani il secondo album dei Chasma genera una fortissima curiosità: saranno riusciti i tre musicisti concittadini degli Agalloch a superare le lacune evidenziate nel precedente di The Declaration Of The Great Artificer, poco azzeccato tentativo di fondere raw black metal, post rock ed attitudine cascadiana, oppure questo Codex Constellatia si rivelerà un fallimento dalla difficile giustificazione? Avranno finalmente messo da parte i velenosi fumi della psichedelia mal evocata e gestita, per abbracciare un credo maturo dalle basi quantomeno solide e non eteree?

La risposta agli amletici dubbi, che uno dopo l’altro si affastellano nella mente del confuso recensore, è elargita da una serie di intensi ascolti, dominati da una crescente sorpresa: la band che abita il cd non sembra affatto l’insicuro fantasma smarrito nelle sue stesse composizioni il quale albergava lì fino a qualche mese fa! Le migliorie sono dannatamente evidenti, quasi ineffabili, tanto macroscopiche da far sembrare il precedente sforzo creativo uno scherzo di pessimo gusto: perché, se le potenzialità erano queste fin dall’esordio, innegabili, traboccanti, pulsanti, il gruppo americano non ha immediatamente dato sfogo alle palpitazione che pur, a parere del recensore, scuotevano il suo petto già precedentemente, invece di trattenerle, confinarle in un corpo non proprio, non conosciuto?
Il full-lenght di debutto tracciava un destino obbligato, nefasto ai nativi di Portland, così oscuro da indurre ad abbandonare il monitoraggio riguardo all’operato dell’act, il quale, inoltre ha cominciato ad attraversare gli Stati Uniti, toccando innanzitutto il nativo Oregon e la patria del grunge, Seattle, nello stato di Washington, per poi, secondo i programmi divulgati dai membri stessi attraverso le pagine dei social network, iniziare a pianificare l’approdo sulla costa Ovest, prodromo di un possibile assalto all’Europa (nel frattempo, hanno condiviso il palco con i 1349 al Nothwestern Black Circle Festival IV, dove c’erano pure i Marduk).
Codex Constellatia, al contrario, colpisce per la manifesta comprensione dei meccanismi di strutturazione delle tracce: da un ceppo black metal, del quale i Chasma hanno deciso di non privarsi, si diramano ramificazioni post-rock, space-ambient, shoegaze, senza che i confini che separano nettamente un sottogenere da un altro siano minimamente visibili. Notevole anche il grande balzo in avanti nel campo della tecnica strumentale: la batteria, già piuttosto solida l’anno scorso, martella ricorrendo ad un accompagnamento variegato, violento, delicato, soffocato a seconda della circostanza; le linee di chitarre sferzano la pelle e tagliano l’aria, intricate, avviluppate, impossibili da distinguere, configurando in tal modo un’esperienza musicale profondamente emozionante, mentre il basso, nel passato semplice presenza non pagante, rimbomba convinto, sostenendo uno stile vocale che non può non richiamare il primo Burzum, data l’agonia che si sprigiona dalle corde vocali dei due interpreti, Aaaron e Ryan.
A riprova che, forse, l’uscita del 2011 non era che un passo falso suggerito dalla volontà di presentarsi al pubblico evitando di attraversare l’infinita serie di demo/ split/EP - trafila sovente necessaria ed ineludibile in modo tale da affinare la proposta prima di lanciarla nell’universo telematico - Codex Constellatia offre, in aggiunta, un poderoso lavoro di post-scrittura e revisione, rivolte a colpire le debolezze del primo spunto, a smussare angoli troppo affilati, orientando il lavoro verso equilibri stabili, garantiti dalla spina dorsale costituita dagli scarni, ma efficaci (raramente quest’ultima definizione regge alla prova dei fatti come qui) arrangiamenti. Sorprendentemente le composizioni, specie considerata la passione per la dimensione elettro-cibernetica che sta caratterizzando la ricerca di molteplici progetti (Spektr, Blut Aus Nord), non ricorrono a campionamenti, sound-design, sperimentalismi sintetici, elementi che ci si sarebbe attesi di scorgere data l’ambientazione cosmica dell’album.
Mantenendo l’attenzione su come i brani sono costruiti non si è nella posizione di negare una discreta ripetitività che giova, sconfessando un dogma, all’assimilazione ed alla fruizione. Ciò che infatti è di frequente un tallone d’Achille, nei Chasma diventa colonna portante, essendo il binomio arpeggio sognante-sfuriata irrefrenabile, nella sua conclamata banalità (ma il cosiddetto ever-green, o “usato sicuro” se impiegato con cognizione di causa fa miracoli) uno stratagemma funzionale alla riuscita di Codex Constellatia quasi quanto la produzione lo-fi, tagliata su misura sulle idee del trio, particolarmente sensibile nei riguardi della trascendentalità (ricorrente è il loro definirsi, nell’atto di comporre, un “essere uno e trino”, oppure un “essere fuori dal tempo”), scansando le pesantezze designate come di successo da addetti al mastering che superficialmente non svelano il concept alla base del disco del quale stanno curando la parte ingegneristica.
Tuttavia, la sensazione di sbigottimento non s’è ancora placata, piuttosto, giunto per la terza volta al termine della catartica Reflections Of Bleeding Heaven, marchiata da un bridge avvolgente in cui serpeggianti arpeggi vengono contrappuntati da brillanti giri di batteria (la contrapposizione ricorda, fatte le dovute proporzioni, l’introduzione di Death Pierce Me degli svedesi Silencer), s’è amplificata al parossismo.

Non è semplice comprendere come una formazione data vicina ad episodi di pre-morte, ora abbia scoperto, (la copertina di The Declaration Of The Great Artificer era un presagio!) la via verso l’illuminazione. E come nel raggiungere l’obbiettivo, in un tempo tra l’altro brevissimo, sia riuscita a costruire un rituale in cinque tracce il quale abbacina prima di togliere il fiato in virtù della sua silenziosa maestosità. Ma, evidentemente, non tutto è spiegabile utilizzando quell’imperfetto mezzo che sono le parole della lingua dell’uomo. Sarebbe preferibile, o perlomeno consigliabile, connettersi per ricevere una delucidazione, accogliendo il linguaggio muto dell’empatia, con Burning Shapeless.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2013
Moribund Records
Black
Tracklist
1. The Burning Shapeless
2. Solarsin
3. Forbidden Symmetry
4. Wormwood Horizon
5. Reflections Of A Bleeding Heaven
Line Up
Ryan Whyte (voce, basso)
Aaaron Schomaker (voce, batteria)
Brandon Gordon (chitarre)
 
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