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19/02/21
THE DEAD DAISIES
LIVE CLUB - TREZZO SULL'ADDA (MI)
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Paradise Lost - Shades of God
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( 5865 letture )
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Sadness lives after we die The pains of life increased outright Contest my sins priorities Crushed my spirit to its knees
La tristezza dura per sempre. Non possiamo opporci e non possiamo in nessun modo sfuggirle. Prima o poi nel corso della nostra breve esistenza dovremo trovarci faccia a faccia anche con lei e già sappiamo che le conseguenze saranno pesanti ed alienanti. In fondo però è anche questo a renderci così umani, a temprare il nostro carattere fortificandoci contro tutte le difficoltà che affollano questo vasto mondo e permettendoci di tirare avanti fino al momento della nostra morte (o “durante” se preferite). Questo sentimento tanto primordiale quanto fondamentale può però essere esorcizzato, rappresentandolo artisticamente e sfruttando così quel processo di catarsi che gli antichi conoscevano molto bene. Estrapoliamo questa tristezza, la mettiamo – ad esempio – in musica, ed ecco che tutto acquista senso. Ci sentiamo come liberati da questo peso sullo stomaco, e mentre la ascoltiamo non possiamo fare altro che relazionarci con essa, ne siamo attratti fino al punto di non riuscire più a farne a meno: ironicamente ora ci nutriamo di questa angoscia e non abbiamo più nessuna intenzione di smettere. Ecco, ci sono dei ragazzi di Halifax (oggi un po' meno ragazzi di allora) che sono sempre riusciti a mettere il loro sconforto in musica, e l'hanno (quasi) sempre fatto dannatamente bene. Dal grezzo esordio al meraviglioso Gothic, passando per una fase di transizione – a cui appartiene questo Shades of God – che li ha portati fino al capolavoro Draconian Times. I Paradise Lost hanno sulle spalle un intero genere musicale, forgiato e modificato durante una lunga e fondamentale carriera, durante la quale non hanno solo plasmato il gothic e contribuito in maniera imprescindibile alla commistione di doom e death, ma hanno anche ispirato decine di band creando a tutti gli effetti un movimento florido ed affascinante. La genialità di artisti come Nick Holmes e Greg Mackintosh li ha portati a comporre alcune delle pagine più belle della musica che tanto amiamo e in un certo senso Shades of God non fa eccezione, pur in minima parte sfigurando se messo a confronto con lavori oggettivamente più riusciti.
Riff malati (partoriti sopratutto dalla mente di Mackintosh) vengono sviscerati dall'ascia di Aaron Aedy che li sviluppa in una sequenza intricata e mai banale, creando da solo una parte fondamentale dell'impianto ritmico con power chords graffianti e per nulla ripetitivi; senza però dimenticarci anche degli sporadici ma efficaci momenti acustici ad accordi pieni arpeggiati. Proprio sui citati power chords si innesta Greg che - come da suo marchio di fabbrica - si prodiga in solismi costanti che scandiscono l'andamento di tutte le canzoni, tracciando una linea melodica fondamentale ed armonizzandosi ora con la voce di Nick e ora con i non banali passaggi degli altri strumenti. La sezione ritmica in senso stretto è di alto livello grazie al drumming deciso ma sobrio di Matthew Archer, che riesce a costruire ogni volta dei filler interessanti giocando con tutti i tom e timpani a disposizione pur senza risultare estremo o esageratamente violento. Non è da meno il buon Stephen Edmondson che - ben evidenziato dal mixaggio - con il suo quattro corde dal suono denso e medioso accompagna come si confà ad un bassista efficace le parti più tirate, liberandosi però ogni volta che può dal compito di tenere la tonica in ottavi per lanciarsi in passaggi un po' più articolati (per quanto lenti) che garantiscono una maggiore profondità a canzoni (i momenti tutti suoi in As I Die ne sono un valido esempio). Resta solo da parlare della voce di Nick, qui in una fase di transizione tra il growl più marcato delle origini e quello che sarà poi lo stile di canto ruvido, graffiante e sofferto che farà la sua fortuna insieme al buon pulito di cui è dotato (qui ancora non sfruttato); ad una prima superficiale analisi si potrebbe notare come Holmes non proponga sostanzialmente nulla di tecnicamente complesso o intricato con il suo modo di cantare, ma è l'interpretazione a renderlo fenomenale, il sentimento con cui si immerge in ogni singolo passaggio facendolo trasudare di sofferenza e disagio: questo è essenzialmente quello che rimarrà sempre uno dei punti di forza dei britannici.
Parlarvi dei brani? Difficile farlo senza prolungare troppo la recensione, però, per quanto possa suonare banale penso che i due pezzi fondamentali siano i celeberrimi Pity the Sadness e As I Die (ancora portati molto spesso in sede live). Il primo grazie alla sua ritmica tirata e coinvolgente che arriva quasi inaspettata a quel punto del disco, meno raffinato forse ma comunque annichilente ed aggressivo al punto giusto. Il secondo penso che sia persino inutile descrivervelo considerando l'importanza e la diffusione che ha raggiunto, uno dei brani fondamentali della discografia dei Paradise Lost, dotato di una carica emotiva eccezionale.
Vorrei dire anche qualcosa di preciso sulla produzione ma sono parecchio combattuto. Per meri motivi anagrafici sono cresciuto in un periodo di produzioni patinate e perfette, dove si sente tutto in maniera cristallina e definita, e – andando forse in controtendenza - non ho mai considerato la cosa un difetto, pur rispettando gli amanti delle produzioni più grezze ed old school. Per questi motivi potrei ora partire per la tangente e sputare fuori l'elenco dei difetti di produzione di Shades of God, ma non lo farò. Come in ogni cosa anche in musica il contesto è fondamentale: un disco uscito nel 1992 volenti o nolenti non potrebbe mai suonare come una produzione odierna (e sto pensando a quella perfetta di Tragic Idol ad esempio). Sono convinto che anche con i mezzi dell'epoca qualcosa in più si sarebbe potuto fare, ma in fin dei conti anche questa produzione ha un suo perché e - pur nel suo essere grezza e ruvida come la voce di Nick - ha lo stesso i giusti bilanciamenti che permettono di godere appieno del lavoro di ogni singolo musicista e tanto basta.
Shades of God è un passaggio fondamentale nella discografia dei Paradise Lost, un disco di ottima fattura che non raggiunge un voto di eccellenza esclusivamente perché inferiore a tante altre piccole gemme che la band di Halifax aveva già prodotto o ha concepito in seguito. Non è però possibile comprendere fino in fondo il processo di crescita dei britannici prescindendo dal presente cd, ragion per cui nel caso l'aveste (colpevolmente) ignorato siete caldamente invitati a riscoprirlo!
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Bella recensione! Forse qualche punto in più ci poteva stare, ma è tutto ben motivato e ragionato. |
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Album bellissimo, voto bugiardo del recensore |
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un album molto atmosferico e sperimentale con un songwriting particolare! gran disco |
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Rileggendo il mio vecchio commento devo dire che il succo era giusto..almeno per i miei gusti. Ma col voto mi ero sbagliato, forse li avevo pensati invertiti...almeno 8,5. Gioiello. |
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Ragazzi, con il massimo rispetto e senza voler fare polemiche, la scaletta dei voti ai dischi dei P.L. la trovo davvero fuorviante, soprattutto per chi non conosce le origini del gruppo. I vecchi fan, ne sono sicuro anche leggendo i post prcedenti, rabbrividiscono di fronte ai voti dati ai primi 4 album, rispetto alle opere che universalmente sono considerate "minori". Tutte le band partoriscono capolavori nei primi anni di vita, compresi mostri sacri come Iron Maiden, Black Sabbath, Metallica, Megadeth. Unica eccezione, a mio avviso, i Death, che hanno dato il meglio di sè negli ultimi 3 dischi. La forza dirompente dei primi anni è ineguagliabile e nessuno metterebbe 10 a Book of Souls e 8 a Powerslave... Fai bene, Gianluca, ad evitare di parlare della produzione, avresti rischiato il linciaggio! ahahah Hai presente come nei primi '90 gli Ulver registravano in un bosco, i Dark Throne in un garage, i Burzum nel cesso di casa, e questo divenne un "canone" del genere? Non c'entra nulla, con i P.L., ma era un bel ricordo. Ciao! |
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Claustrofobico. D'ora in avanti arriva l'eccellenza |
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Un gran disco metal,che va ascoltato bene per essere metabolizzato. |
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95. Pity the Sadness è una canzone immensa, come mortals watch the day e crying for eternity. Ma tutto l'album deve essere ascoltato, anche se molto sottovalutato da molte persone.. |
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20
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Forse il mio preferito targato PL. Non c'è un solo brano scadente o filler, sono tutti stupendi, in particolare Mortals Watch the Day, Pity the Sadness e As I Die. Capolavoro. |
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19
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Per quanto mi riguarda un ottimo disco, quoto Undercover ed Enry. Mi trovo d'accordo anche con messer Satanasso, vedere Draconians times con un 83 e Icon con un 81 mi lascia piuttosto basito. |
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18
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degno predecessore del capolavoro Icon. Per questo ritengo corretto un voto di 80-85, per Icon qualsiasi voto meno di 100 è inappropiato |
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17
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L'edizione in vinile dell'epoca non includeva "As I Die", presente invece nel mini lp omonimo (uscito in seguito) quale brano di apertura. Premesso questo, concordo sul fatto che si tratti di un album transitorio, ideale ponte d'unione tra lo stile di Gothic e del successivo Icon. Forse questa caratteristica può essere interpretata in modi diversi, ma a mio parere non pregiudica affatto la qualità della proposta musicale, che trovo ottima ed ispirata. Questo album appartiene all'epoca d'oro dei Paradisa Lost senza ombra di dubbio, a prescindere da ulteriori considerazioni su produzioni o altri aspetti, che comunque è bene portare all'attenzione al fine di valutare a 360° il lavoro in oggetto. Sul voto mi sarei tenuto più alto, ma la recensione rende comunque giustizia al valore dell'opera. Ah, un'ultima cosa: Pity The Sadness dal vivo è davvero esaltante!  |
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16
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quoto undercover ed enry.....il motivo per cui questa band sia così sottovalutata su queste pagine è davvero misterioso... |
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15
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mi è scappato un "che" di troppo nel primo inciso! |
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@LIF: Come li valutiamo? mmmm ... ah ma è facile!! si ascoltano (o ri-ascoltano se già come in questo caso si conoscevano da tempo), si approfondiscono, si inseriscono nel contesto della della discografia della band (che come può darsi tu sappia che è abbastanza ampia... può darsi eh!) e alla fine si mette un numerino!! Ah mi piace anche la musica classica!! Solo che non la valuto di solito, sai com'è, non essendo nato nel 1700 (a differenza dei grandi critici moderni) non potrei valutarla correttamente!!! |
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12
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ah beh, ma questo ascolta epica e rhapsody, scusami non sapevo fossi ritardato! |
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11
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Ridicoli questi recensori pischelli che valutano meno i capisaldi del genere rispetto agli imitatori che arrivano 20 anni dopo... ma come li valutate i dischi? |
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10
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Malice@ a me piace moltissimo ma se hai in mente le cose fatte da loro prima non c'entra assolutamente nulla! |
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9
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è un disco carino belive in nothing sperimentale..prendilo potrebbe piacerti..ma nn spendere più di 10 euri..nn ne varrebbe la pena  |
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8
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believe in nothing come? sta in offerta che faccio lo prendo? c'è qualcuno che me lo consiglia e un bel disco si o no? grazie anticipatamente. |
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7
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Concordo in toto con il post di enry e non aggiungo altro. |
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6
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..Il paradiso perduto procede nella sua operazione di SGREZZAMENTO nella'attesa del prossimo capolavoro Icon....Buon album davvero con brani come Mortals watch the day, As i Die e Pity the sadness afare la voce grossa...Una delle tappe molto importanti del gothic / doom primi anni 90. Voto 78 confermatissimo |
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5
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Un disco un po' sottovalutato probabilmente perchè considerato di 'transizione', in realtà parliamo di un discone e per me vale qualcosa di più di 78. Senza polemica, ma trovo i voti ai dischi dei PL un po' sballati, 85 a In Requiem e 83 a Draconian Times è quantomeno bizzarro, anche se i recensori sono diversi. Poco male, tornando al disco posso dire che è uno dei miei preferiti dei PL, transizione o meno. |
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4
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a quando one second, host, believe in nothing , symbol of life ? |
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3
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Quando si parla di Paradise Lost non credo personalmente si possa parlare di cali di livello qualitativo o mancanza di originalità. Ricordo bene la prima volta che ascoltai questo album e rimasi letteralmente folgorato ed ancora mi vengono i brividi quando ascolto As I Die. Giustamente come ben nota Gianluca@ la produzione potrebbe portare qualche nuovo orecchio cresciuto a pane e Nightwish a chiudersi ma secondo me proprio in quella produzione così ruvida e "cantinesca" risiede uno dei motivi che hanno portato questo album ad essere quello che è. Un capolavoro! |
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2
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Una delle tre perle di questo gruppo! (anche quattro per me considerando Lost Paradise..) |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Mortals Watch the Day 2. Crying for Eternity 3. Embraced 4. Daylight Torn 5. Pity the Sadness 6. No Forgiveness 7. Your Hand in Mine 8. The Word Made Flesh 9. As I Die
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Line Up
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Nick Holmes (Voce) Gregor Mackintosh (Chitarra Solista) Aaron Aedy (Chitarra Ritmica) Stephen Edmondson (Basso) Matthew Archer (Batteria)
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RECENSIONI |
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