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19/04/24
GOATBURNER + ACROSS THE SWARM
BAHNHOF LIVE, VIA SANT\'ANTONIO ABATE 34 - MONTAGNANA (PD)
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Armored Saint - Revelation
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( 3831 letture )
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Uno dei tanti problemi a cui le cult band vanno incontro, nel caso in cui riescano comunque ad avere una carriera lunga e soddisfacente, è quello di dover sempre dare soddisfazione ad una platea di fans non enorme, ma molto affezionata e fedele che, per queste sue caratteristiche, pretende anche molto. Alle cult non è consentito quasi mai di fallire un album, né di stravolgere troppo quello che è il loro trademark, magari nella speranza di guadagnare un pezzetto di sole in più o anche solo perché gli anni passano e non è detto che la vena compositiva resti sempre la stessa. Insomma, quei piccoli cali inevitabili o magari le decisioni drastiche e ardite o, ancora, le puntate commerciali e ruffiane che pure vengono spesso perdonate ai big, per le cult band spesso si traducono nella debacle definitiva o quasi. Non c’è un perché oggettivo che spieghi questo stato di cose, se non appunto il fatto che il seguito di queste band ha delle aspettative molto alte, che richiedono una grande coerenza con la propria storia e la capacità di restare se stessi rinnovando il meno possibile senza però apparire autocitazionisti. Come dire, camminare sul filo con destrezza rinnovando lo spettacolo senza tradire mai le aspettative e, ovviamente, senza cadere.
Quando alle orecchie del popolo metallico giunse la notizia che gli Armored Saint si sarebbero riformati, la curiosità fu in realtà molto forte. Vuoi perché la tragica scomparsa di Dave Earl Pritchard aveva toccato un po’ tutti i fans del puro metal statunitense, vuoi perché Symbol of Salvation era stato davvero un gran disco di commiato, vuoi perché con la chiusura degli anni 90 e con la nuova decade, il ritorno di una band così valida e importante, fiera portatrice di un heavy mai domo e mai snaturato faceva davvero piacere soprattutto a chi davvero non ne poteva più di power defenders gonfi di happy metal; vuoi, infine, per quel forte desiderio di lieto fine che tutti, in fondo in fondo, ci portiamo dentro. Non fosse altro per quell’aspirazione alla giustizia suprema che dovrebbe dare un senso al nostro vagare per il mondo. Fatto sta che il ritorno di John Bush all’ovile, in parallelo alla sempre meno esaltante esperienza negli Anthrax, sembrava anche un modo per recuperare questo grande cantante e sentirlo nuovamente ruggire nelle vesti che più gli erano e sono consone. Revelation si presentò al mercato carico di aspettative e con il preciso dovere di non fallire e bissare, se non altro a livello qualitativo, un capolavoro come Symbol of Salvation. Ma qui subentra il rischio di cui si parlava in apertura. La verità è che quando il singolo After Me, The Flood, aprì le danze, l’entusiasmo subì un primo grosso smorzamento. Il gruppo era quello, nessun dubbio. Bush era il solito mattatore, uno di quei cantanti che quando si muovono nel loro territorio non lasciano strada a nessuno. Le sezioni soliste fluenti erano quelle che avevano decretato, tra le altre cose, il fascino del disco precedente e in anni nei quali sentire un assolo in un disco sembrava un mezzo miracolo. Eppure, la musica non era proprio quella che ci si aspettava. Cos’era successo? La prima risposta ovvia è che Pritchard, a conti fatti il principale compositore del gruppo, non c’era più e non c’erano più le canzoni che aveva lasciato praticamente pronte e solo da registrare come era successo su Symbol of Salvation (le sole provate con lui prima della sua morte sono Creepy Feelings e What’s Your Pleasure, mentre The Pillar era stata composta per la colonna sonora di Hellraiser III); la seconda risposta, anch’essa ovvia, è che gli anni passano per tutti e dallo split del gruppo ne erano passati quasi dieci e non dieci anni qualsiasi, ma quelli dell’avanzata dell’alternative e dell’esplosione del numetal; la terza e più significativa risposta la si trova guardando di conseguenza i credits dell’album e notando quanto peso specifico avesse guadagnato Joey Vera, bassista della band qui anche in veste di produttore, il quale figura assieme a Bush come autore di tutti i brani del disco, sei dei quali composti in autonomia a livello musicale. Ecco qui il motivo di un cambiamento non drastico e in niente mortificante rispetto al passato del gruppo o snaturante la sua identità, ma comunque facilmente intuibile e molto evidente nell’ascolto del full length.
Revelation, rispetto ai dischi che lo avevano preceduto, risente indubbiamente dell’impronta compositiva che Vera e Bush diedero ai brani. Sempre di heavy si parla e sempre di una fortissima componente di US Power, ma di fatto il gioco compositivo si sposta decisamente sul groove e su riff circolari e potenti, che si aprono alle classiche cavalcate e agli assolo incrociati delle chitarre, rimembranti la storia del gruppo, ma con una natura leggermente diversa. Una nuova dimensione alla quale comunque anche gli altri compositori del gruppo, i fratelli Sandoval e Jeff Duncan, si adattano alla perfezione nelle tracce che portano la loro firma. Non si può infatti dire che Revelation sia un disco frammentario o confuso, tutt’altro. I brani si susseguono mantenendo sempre una identità comune e un livello decisamente alto. Non ci sono filler, né canzoni evitabili: si ascolta tutto e si prende il blocco, consapevoli che le qualità compositive della band sono tali da differenziare le dodici tracce che compongono l’album in maniera da renderle indipendenti l’una dall’altra e ciascuna con una propria identità. Quante band possono dire di saper fare altrettanto? Sin dall’opener Pay Dirt, caratterizzata da un riff-motosega e dalla melodia di Bush, si intuisce che qualcosa è cambiato e che l’enfasi ritmica ha preso il sopravvento sulla cavalcata tipica dell’heavy/thrash del gruppo, rinchiudendo un po’ le chitarre in uno schema più quadrato e lasciandole pronte per esplodere nelle sezioni soliste, con Vera in grandissimo spolvero che si esibisce in un bello slap centrale. La canzone va via che è una bellezza, senza essere superlativa, annunciando che il meglio deve arrivare. Primo pezzo più complesso, studiato e decisamente più esaltante è invece la seguente The Pillar, canzone che va ascoltata più volte per essere apprezzata e che ci regala il primo profluvio chitarristico in chiusura. Spazio al singolo After Me, the Flood e al suo riff stoppato e circolare che prende velocità all’altezza del refrain per rilasciare poi un ritornellone di tipica marca Armored Saint che lascia il segno; famoso il finale che va rallentando, per poi spegnersi. Ma è con Tension (ancora Vera e il suo basso in evidenza in apertura) e soprattutto con le successive Creepy Feelings e Damaged che l’album decolla davvero, proponendo tre brani di ottima fattura e assolutamente degni di entrare nella storia della band per intensità e qualità di scrittura. Il livello non si abbassa neanche con le successive Den of Thieves e Control Issues, seppure meno immediate: in particolare la seconda si fregia di una melodia piuttosto tipica della band e di un riffing heavy/thrash vecchia scuola, anche se forse resta la sensazione che il freno a meno resti tirato un po’ troppo nelle strofe. Altra grossa sorpresa è invece No Me Digas, cantata da Bush in spagnolo, la quale offre uno scenario mexicali inedito e particolarissimo, che nel suo essere naive ha comunque un certo fascino. Il finale del disco presenta tre brani molto diversi tra loro che volendo riassumono tutta l'identità di Revelation: canzoni piuttosto articolate, riffing grooveggiante che si sposa al passato (rappresentato da What’s My Pleasure, firmata da Pritchard e griffata dal suo songwriting riconoscibile tra mille), tra le quali spicca senz’altro l’ottima chiusura di Upon My Departure, canzone molto particolare che merita una riscoperta nella riscoperta generale che spetterebbe all’intero Revelation.
Stiamo nel complesso parlando infatti di un gran bel disco, splendidamente suonato e realizzato, nel quale gli Armored Saint si ripresentavano dopo una lunga pausa con una identità credibile e legata a doppio filo al proprio passato ma con la volontà di stabilire un nuovo standard per sé stessi. Un cambiamento inevitabile, legato tanto agli anni trascorsi quanto alla mancanza del compositore principale che aveva caratterizzato indelebilmente i primi dischi. Vera e Bush prendono per la mano una band che comunque conferma di possedere degli strumentisti di primo valore e dei secondi compositori di tutto rispetto, e tirano fuori un album che si rivela degnissimo compare dei suoi predecessori e in niente inferiore ad essi, non fosse che la musica è un po’ cambiata e questo, come detto in apertura, ad una cult band non è concesso. Difatti l’entusiasmo calò immediatamente e l’impossibilità per la band di compiere un vero e proprio tour a seguito della pubblicazione dell’album ne minò definitivamente la presa sul pubblico. Poco dopo Bush rientrerà negli Anthrax ma anche lì il feeling si rivelò logoro e le premesse iniziali ormai venute meno. Revelation restò così nel limbo, album decisamente non cassabile, ma poco amato e probabilmente per questo ancor meno approfondito, pur a fronte della sua solidità e di canzoni che meritano tuttora una gran bella rispolverata. Per assurdo, avrà molto più riscontro il successivo Nod to the Old School, raccolta di demotape, versioni live, b-sides, con qualche inedito, che uscirà l’anno dopo a ribadire la nostalgia per il passato della band. Un passato, notare bene, al quale il gruppo è affezionatissimo, ma che all’epoca non gli aveva fruttato chissà quali riconoscimenti. Resta il fatto che Revelation è proprio uno di quei dischi da rispolverare, non fosse altro per il piacere di riscoprirne il valore intatto e per dare una piccola soddisfazione a quel bisogno inesausto di un lieto fine, che ancora manca nella storia di questa grande e sfortunata band.
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10
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Gran disco,altro che storie....chi non l'ha mai sentito faccia uno sforzo e non se ne pentirà. |
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9
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Riascoltato oggi. Se non è un capolavoro, poco ci manca. Album passato fin troppo inosservato alla sua uscita, ma che non sfigura a fianco ai suoi predecessori. Certo, è una versione 2.0 degli Armored Saint: non si sono snaturati, sono sempre loro, riconoscibili per determinati elementi/caratteristiche del loro stile, allo stesso tempo non avendo fatto finta che nei 9 anni passati da Symbol of Salvation non fosse successo niente nel mondo del metal. A parte un paio di pezzi, il resto è una goduria. Den Of Thieves, Creepy Feelings, After Me The Flood le mie preferite. Voto 87 |
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8
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Mi ascolto bene Il nuovo, e poi seguirò il tuo consiglio |
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7
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@Entropy si forse hai ragione, ora si trova in giro e a bassissimo prezzo, però ricordo che tanti anni fa lo cercai ovunque per diverso tempo prima di farlo mio. Forse era fuori catalogo in quel periodo... ti consiglio comunque di dargli una rispolverata, è bellissimo. |
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6
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perchè di difficile reperibilità? lo si trova facilmente a meno di 10 euro! (se ti riferisci al cd). Buon album , ma ricordo non mi fece impazzire. |
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5
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Album ignorato da tutti e di difficilissima reperibilità, eppure è magnifico come al solito. Qui siamo a livelli altissimi ragazzi, un mezzo capolavoro. Amo questa band |
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4
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Cioè si sta criticando La Raza? E' un album favoloso di una band che si è messa in gioco evolvendosi senza perdere un grammo di personalità. E per una volta gli è andata bene visto che l'album è stato un relatico successo, ben 40mila copie vendute. |
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3
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Questa era una band come dice Undercover in formissima; anche La Raza mi è piaciuto ma questo disco che non sarà un capolavoro come March of the saints è un mezzo capolavoro. Ottima rece Lizard! |
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2
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concordo con Undercover..grande album!!1 peccato sia stato praticamente ignorato da tutti!!! ce ne fossero di album cosi... |
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1
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Io me ne sono innamorato sin da subito, non è il loro album migliore, ma era una band in formissima altro che quella del nuovo "La Raza", questi erano ancora gli Armored Saint. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Pay Dirt 2. The Pillar 3. After Me, The Flood 4. Tension 5. Creepy Feelings 6. Damaged 7. Control Issues 8. Den of Thieves 9. No Me Digas 10. Deep Rooted Anger 11. What’s Your Pleasure 12. Upon My Departure
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Line Up
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John Bush (Voce) Jeff Duncan (Chitarra) Phil Sandoval (Chitarra) Joey Vera (Basso) Gonzo Sandoval (Batteria)
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