Quattro anni sono passati da Nervous System Failure, di cui posseggo una personale copia acquistata da un negozio inglese su ebay giusto lo scorso autunno. "C’è sto gruppo italiano, in giro da parecchio, gli Infernal Poetry; c’entrano coi Dark Lunacy, vedi se ti interessano" – mi si disse. "Li ho sentiti al Gods del 2008! Dal vivo fan paura". – Commento dell’amico powerone che tutti hanno e per il quale Luca Turilli è una creatura che ha a che fare col divino. Mi convinco e mi metto subito all’ascolto. Inutile dirlo, fu subito amore incondizionato, tant’è che ho ascoltato tutte le loro produzioni nel giro di poco tempo. Che dire? Come gruppo non ha certo bisogno di presentazioni. In molti hanno menzionato Beholding The Unpure come termine di paragone per la maggior parte delle nove tracce di Paraphiliac. Io mi trovo invece più convinta nell’asserire che esso sia la logica conseguenza di Nervous System Failure e che Beholding The Unpure sia solo il prologo primitivo a tutto ciò che ne conseguirà. Al di là delle tematiche, mi riferisco proprio a ciò che concerne l’evoluzione e l’identità compositiva, concessa e rimarcata. Il che conferma l’assioma secondo cui dedicare il giusto tempo a una passione, a un’idea e destinarle una zelante sacralità dà certamente i suoi frutti. Le cose fatte con superficialità non garbano né a chi le fa, né a chi le riceve, in sostanza.
La release nel concreto si può descrivere così: nove tracce di malsano e irreprensibile death metal. Sono calci sulle gengive sin da Stumps. Appena l’ho ascoltata, ho dovuto premere il tasto "repeat", bestemmiando al rallentatore, facendo una faccia da ritardata. Non poteva esserci una genesi migliore di questa. Il refrain del brano è un’alleanza apocalittica tra la base ritmica, così fluida, ossessiva e cocciuta, e la combinazione delle linee melodiche partorite dalle chitarre di Christian e Daniele. Il tutto continua con In Glorious Orgy, con un mid-break virtuosissimo e d’impatto. Abbiamo poi Hypertrophic Jellyfish che, assieme alla successiva, Stumps, Cartilages e Paraphilias, forma la punta di diamante di Paraphiliac. Anche se effettivamente non c’è una traccia che si è desiderosi di saltare, che annoi, che si ripeta, che smorzi i toni. I cinque marchigiani si destreggiano tra tutti quei perigli come groove sincopati o ritmiche implacabili e prepotenti, fade out, riff in scale che sembrano accordate in eastern tune. E’ un album che più si ascolta più si apprezza. All’inizio è lo smacco, successivamente è puro godimento. E poi ce lo si studia, senza annoiarsi mai.
Ma tiriamo le somme. La domanda principale che io mi pongo sublimando il giudizio in due cifre non ve la sto certo a dire. No beh, non è una domanda, ce ne sono una dozzina almeno. Fatto sta che per meritare un punteggio sufficiente, basta ben poco, ma per starci almeno quattro spanne sopra, direi di no. Vanno premiate l’inventiva, l’esecuzione, il fatto che sia variegato, l’andatura generale, la capacità tecnica dei singoli e dell’insieme. Gli Infernal Poetry sono un gruppo lodabile sotto diversi aspetti e la loro opera ultima meriterebbe anche di essere spacciata nei parchetti. Comprate, diffondete e supportate. Che anche se il Bel Paese raschia il fondo, l’arte in tutte le sue pure forme e manifestazioni ci unisce e ci rende fieri di ciò che è stato creato e che ci viene donato, nonostante tutto.
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