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20/04/24
THE OSSUARY
CENTRO STORICO, VIA VITTORIO VENETO - LEVERANO (LE)
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La bellezza nasce dall'imperfezione. Al contrario dell'ideale estetico classico, secondo cui l'armonia e la simmetria creano una figura bella, la realizzazione delle proporzioni più gradevoli, l'esaltazione più grande della perfezione, ciò che rende un'opera sublime, risiede nell'atto sovversivo di un impercettibile particolare che infrange le regole. Quel neo unico che trasforma una figura fin troppo bilanciata in un capolavoro: la ruvidezza di una tela, le venature del marmo, la punta di colore che rende un iride leggermente diverso dall'altro.
Questa riflessione scaturisce spontaneamente all'ascolto di Nexus Polaris, seconda opera targata Covenant uscita nel 1998, disco che annovera tra i suoi realizzatori alcuni dei musicisti più dotati che abbiano mai presenziato nella scena estrema, facenti parte di nomi come Troll, Arcturus, Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, elementi provenienti da esperienze così diverse tra loro, eppure in grado di infondere in un solo disco tutto il proprio talento, dando vita ad un'opera unica nel proprio genere.
Il platter si apre con The Sulphur Feast, sinistra manifestazione delle entità soprannaturali che accompagneranno l'ascoltatore per la quarantina di minuti di riproduzione di Nexus Polaris:
Thirsting, waiting...I drank a sulphur feast. Then, silently...In an instant. Your flesh become me and I was forlorn.
Arpeggi cadenzati, harsh vocals al limite della recitazione, vocalizzi siderei di Sarah Jezebel Deva, il tutto condito dall'eclettica tastiera di Sverd, in un mix originale che spazia da riff più canonicamente black sinfonico a passaggi avantgarde, condito da magheggi progressive, lasciando intravedere la vena galattica che diventerà trademark della band in futuro. Dare un'etichetta univoca allo stile della band risulterebbe riduttivo, specialmente considerando l'eterogeneità degli otto brani che compongono il disco, eppure vi sono numerosi elementi che ritornano, non tanto nei singoli passaggi quanto più nell'approccio globale dei Covenant. La band non ha fretta, tralascia l'immediatezza e la schiettezza tipicamente black per muoversi all'interno delle composizioni come se fosse nel bel mezzo dell'esplorazione di una galassia: ecco allora comparire lunghe sezioni strumentali in cui emerge l'abilità al basso di Nagash, accompagnato da interludi pianistici e gorgheggi angelici (Bizarre Cosmic Industries); arpeggi cadenzati di chitarra che seguono accattivanti progressioni e creano parallelismi tra le tracce (The Last Of Dragon); ritmiche solide, cariche di groove ed intrise di elettronica (Chariots Of Thunder). Ma allo stesso tempo i nostri, nonostante si concedano tutto il tempo per sperimentare (e l'immensa varietà di suoni di Sverd e pattern ritmici di Hellhammer ne sono la prova), sanno quando è tempo di riprendere le redini e premere il piede sull'acceleratore (Planetarium), donando organicità alle composizioni senza perdere il contatto con l'ascoltatore. Se la scelta di un approccio così unico e particolare appare a prima vista deleteria alla rapida metabolizzazione del lavoro, ecco pronta Bringer Of The Sixth Sun, la traccia più lunga dell'ottetto, a contraddire le aspettative: non ci sono passaggi lasciati a se stessi e la continuità, favorita anche dal timbro neoclassico del riffing delle sei corde di Astennu e Blackheart, è ben percepibile, lasciando crescere il brano fino all'epico climax conclusivo. Non si possono trarre conclusioni affrettate, ma solo lasciarsi condurre dall'imprevedibile vena sperimentale di Nagash e soci, dopo un'iniziale spaesamento tutto assume una logica precisa, una volta accettato di relazionarsi con il linguaggio dei Covenant. Eloquente a questo proposito è la quartina di Dragonheart:
We demand a change of existence And who are you to defy? Ironic is the worlds dismay... We command and you obey!
Quando si mettono da parte le aspettative, la volontà di ingabbiare la creatività della band e la necessità di settorializzare, allora i tasselli iniziano ad andare al proprio posto senza bisogno di forzare le tappe, come tanti pianetini all'interno di un bizzarro cosmo. Il sestetto offre una guida galattica senza precedenti, consentendo di solcare le correnti astrali e lasciarsi abbagliare dalle cromie caleidoscopiche di nebulose interstellari, in preda alla meraviglia ed allo sbigottimento. Lo spazio non rispetta la geometria euclidea, si deforma e assume contorni mutevoli, esattamente come gli accompagnamenti in controtempo di Hellhammer (vedasi Planetary Black Elements), che in questa release offre una delle migliori prove della propria carriera.
Ora le imperfezioni, quei particolari che rendono unica questa uscita: la voce di Nagash, arcigno timbro che si muove ondeggiando irregolarmente tra scream e tonalità assurde, rasentando interpretazioni goblinesche; la produzione ruvida e percepibile, che non offusca i brani dietro una patina lucida, una produzione che esalta il suono d'insieme ed espande i confini dei brani; quel rassicurante senso di imprevedibilità che non permette di scrutare al di là della singola battuta che si sta ascoltando. Di fronte a molte opere formalmente perfette (e scientificamente standardizzate) Nexus Polaris sfigura come uno storpio accanto ad una modella appena tirata a lucido, per tutte le sue piccole devianze ed imprevedibili imperfezioni. Ma sono proprio questi piccoli difettucci a conferire unicità ad un lavoro che rappresenta un una tantum (e guai a tradurre erroneamente questa locuzione!) nella storia della musica estrema, un punto di singolarità dato dalla sovrapposizione di dimensioni così diverse tra loro, come tendono ad essere quella del black metal e della sperimentazione.
L'ostrica impiega anni a ricoprire di aragonite, materiale termodinamicamente instabile in condizioni ordinarie, le impurezze intrappolate all'interno del proprio guscio, sedimentando lentamente gli strati fino a rendere innocua la minaccia e continuando a crescere la perla, prodotto della propria difesa, fino a trasformarla in un capolavoro di layer concentrici. Allo stesso modo, a distanza di anni si possono ancora apprezzare i minuscoli particolari imperfetti che donano unicità a Nexus Polaris, lasciando che ogni granello sia avvolto dal ricoprimento effimero delle emozioni. Come l'aragonite non nasce se non in circostanze particolari, così un lavoro di spessore non può essere creato se non riunendo contemporaneamente delle personalità eccezionali e dei talentuosi artisti: quale miglior luogo se non questa uscita targata Covenant?
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@Bloody Karma: vale lo stesso per me. Riascoltato di recente, mi ha lasciato meno appagato rispetto all'epoca in cui è uscito. Resta un bel disco, ma oggi gli levo mezzo voto anche io. |
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17
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Gran bel disco davvero! |
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Che discone anche questo! Mamma che ricordi e che emozioni! |
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Mamma mia che ricordi questo disco mi sembra passato un secolo... ottimo album |
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12
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Anche io preferisco 'In Times before the light', meno studiato, più spontaneo e con quella magia evocativa che del resto si trova anche nel debut dei Troll, altra band Nagash come ben sapete. Però questo resta comunque un buon disco con atmosfere diverse e stranianti che funzionano bene. I problemi, per me, arrivano con la 'K'. Voto troppo alto ma bella recensione. |
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11
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Quoto parecchi dei commenti qui sotto, in particolare Max. Mi era piaciuto molto "In Times Before the Light" e questo lo avevo trovato strano con quei contenuti spaziali e astronomici. Poi mi era parso, anche dopo molti ascolti, musicalmente insipido. Se ho tempo, gli darò un ascolto, incuriosito dall'ottima recensione. Lets try, it hasn't a price. Au revoir. |
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10
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mah...devo dire che anche a me st'album non ha mai detto nulla dalla sua uscita ad oggi..nel suo genere ne ho apprezzati altri, ma questo no. Comunque sono gusti ci mancherebbe! |
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9
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Disco veramente bello, ma il mio preferito è ancor ail debut "In times before the light" (la prima versione, non la ristampa) con cui ho scoperto la band ai tempi... |
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8
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La dimostrazione che anche avendo una formazione da far impallidire i più non è detto che si crei un discone. All'epoca lo acquistai convinto da una miriade di recensioni entusiaste, lo trovai di una noia incredibile. Qualche tempo fa l'ho rimesso nello stereo e l'ho finito a stento, quindi in tanti anni la mia opinione non è cambiata di una virgola: lo trovo decisamente noioso. |
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7
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boh...quando usci ne ero iper-entusiasta, riascoltandolo oggi rimango piuttosto sconcertato...per carità 2-3 pezzi carini ci sono (Sulphur Feast, Bizzarre Cosmic Industries e Chariots Of Thunder) ma l'insieme non mi convince più come una volta... paradossalmente li preferisco nella reincarnazione dei The Kovenant |
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6
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non poteva scriverla nessun'altro se non tu.... hai donato vita ad un gioiello, Chapeau Gio! |
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5
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gran bel discone e ottima scelta, spero di vedere presto in questa sezione la recensione di un'altro grandissimo album black del periodo, Kali Yuga Bizarre degli Aborym.. |
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4
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Quoto Enry. Come ho scritto sul forum, per me potevano chiudere baracca con questo. |
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3
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Bel disco, peccato non si siano fermati qui...80. |
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2
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Questo disco è fantastico! |
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1
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Nagash voleva copiare gli Arcturus, ne assolda un paio, ma essendo una capra li scopiazza male. Capra capra capra. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Sulphur Feast 2. Bizarre Cosmic Industries 3. Planetarium 4. The Last Of Dragons 5. Bringer Of The Sixth Sun 6. Dragonheart 7. Planetary Black Elements 8. Chariots Of Thunder
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Line Up
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Nagash (Voce, Basso) Sarah Jezebel Deva (Voce) Astennu (Chitarre) Blackheart (Chitarre) Sverd (Tastiere) Hellhammer (Batteria)
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RECENSIONI |
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