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Deafheaven - Sunbather
( 9324 letture )
Un paio di anni fa Roads to Judah fu un fulmine a ciel sereno: perfino in pieno periodo "blackgaze" (non userò mai più questo termine), quando le band si sprecavano e le sonorità tendevano ad essere un po' tutte simili. Eppure i Deafheaven avevano qualcosa di particolare, forse il modo personale e arioso di fare post-rock per poi riversarlo lentamente all'interno del black metal più furioso. In quel momento tutte le sonorità rumoristiche delle chitarre finivano in un gorgo di urla e blast-beat e la componente "dreamy" lasciava davvero spazio allo shoegaze, quello confusionario, quello caotico, non quello fatto esclusivamente di tremoli e delay semi-acustici.
Sunbather diventa un album ancora più solare (i colori dell'artwork dovrebbero ricordare le tonalità che si percepiscono stringendo l'occhio mentre si guardano i raggi solari), nonostante ciò la furia delle pelli è sempre pressante e spesso straziante, ma in questo tormento non si superano le capacità umane e la produzione non raggiunge quegli squilibri meccanici e triggerati; anzi, il tutto è davvero sensibile e tangibile.
Sunbather è un album davvero concreto ed in grado di raggiungere gli estremi degli stessi soggetti; è come se gli Explosions in the Sky si incontrassero con In the Nightside Eclipse degli Emperor (questo è il bel paragone usato su Pitchfork) ed effettivamente, fra le note e le melodie dell'album si toccano i punti di contatto fra queste soluzioni. Quando l'oscuro cielo emperoriano comincia a tingersi della rosea alba, allora è possibile immaginare gli odierni Deafheaven.
La paradigmatica Dream House contiene corposi riff, soprattutto di matrice post-hardcore e screamo, che si mutano in arpeggi e vanno a giacere sotto violentissime martellate e urla filtrate; eppure si parla davvero di emo-core e lo si capisce leggendo i testi e le esperienze di George:

"I'm dying."
- "Is it blissful ?" -
"It's like a dream."
- "I want to dream."


Irresistible è una dolcissima strumentale folk-acustica mentre con la successiva titletrack si ha la netta sensazione di vedere gli stessi territori e gli stessi paesaggi degli Envy, dei Thursday e degli Heaven in Her Arms. Analogo è il modo di tirare fuori le fresche melodie dai riff, simile è l'approccio alla batteria, spesso ossessiva sui tom e sui tamburi. I vortici arrivano all'orecchio dell'ascoltatore in maniera diretta e i blast-beat sembrano alimentare questa potente luce che trasuda l'album. È incredibile come certe emozioni possano essere evocate in maniera così costrastante rispetto all'assetto stilistico; è incredibile come con un approccio decisamente black metal, con il drumming più caotico ed ossessivo e coi riff più corposi e violenti, si possano creare questi paesaggi di candida immaginazione.
Una straniante sensazione di svegliarsi in una mattina d'aprile, spalancare la finestra per venire irrorati dalla luce mattutina e dai profumi primaverili. Anche qui ci sono chitarre acustiche e quelle tipiche melodie in delay con il tremolo ma, a differenza di band come gli Alcest, qui vengono giusto accennate.
A proposito di Alcest: fra le armonie riprodotte in backward, si può sentire Stéphane Paut che recita degli spezzoni tratti dall'Insostenibile Leggerezza dell'Essere di Kundera. Poi le chitarre diventano di vetro, graffiano e rumoreggiano in un'esplosione noise che si calma con dei bellissimi accordi folk acustici.
Anche la scelta di intervallare ogni brano massiccio e lungo con soluzioni più brevi e sperimentali giova all'assimilazione del disco.
Semplicemente da lacrime sono le chitarre solista di Vertigo: Kerry è un grandissimo fan di Johnny Marr e degli Smiths e riesce a creare qualcosa di simile ma, ovviamente, in tonalità più oscure e all'interno di una cornice ben diversa. Windows prepara la chiusura dell'album con un intermezzo neoclassical e quasi darkwave mentre The Pecan Tree spara le cartucce più violente del disco. Sembra davvero di udire la versione a riverbero e ad eco di Towards the Pantheon o Into the Infinity of thoughts e, sul finale, si può udire l'ipotetico lato oscuro dei Mogwai e dei Mono; i ritmi si serrano sopra il rullante, le melodie si aprono sempre di più evocando barlumi di Insomniatic Doze o di Paraselene. Pianoforte e intrecci di chitarre acustiche tessono le più trasognanti composizioni di Sunbather finchè i potenti riff heavy e le urla filtrate trasfigurano il brano lasciando l'ascoltatore in un incredibile stato di malinconia:

I am my father’s son.
I am no one.
I cannot love.
It’s in my blood.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
85.1 su 50 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Venerdì 9 Aprile 2021, 13.49.05
15
Album secondo Me da "bianco o nero".. E' caotico ma nell'insieme funziona alla perfezione.. Le parti più quiete danno un po' di respiro all'ascoltatore, ma non attenuano l'intensità delle composizioni.. Mi ricordano anche il progetto Panopticon...
MinchiAtomica
Domenica 19 Agosto 2018, 18.07.08
14
Bellissimo album, gruppo fantastico. Ma non andrei mai ad un loro concerto
clandestine81
Giovedì 6 Ottobre 2016, 15.57.55
13
Gruppo e disco indigesti come pochi.
Macca
Venerdì 11 Marzo 2016, 11.11.40
12
Molto bello, voto giusto e forse anche qualche punticino in più. In questo perido mi sto facendo in vena di doom e di queste sonorità black eteree (post black, blackgaze, chiamatele come vi pare). Insieme ad Alcest e Harakiri For The Sky la migliore realtà per queste sonorità. Voto 81
Galilee
Domenica 13 Aprile 2014, 23.45.57
11
Ho appena recuperato il disco in questione e devo dire che ne è valsa la pena. Mi manda fuori di testa. Musicalmente non c'entra un cazzo, ma armonicamente mi ha ricordato Wish i could dream it again dei Grandissimi Novembre. Per il momento concordo con la recensione e butto un 85, poi chissà.
Cesare.
Sabato 4 Gennaio 2014, 11.06.55
10
Forse tra i migliori 5 dischi dell'anno.
Enrico
Sabato 4 Gennaio 2014, 10.54.28
9
Piccolo gioiellino. 80 forse un po stretto comunque ottima recensione.
Kryptos
Lunedì 8 Luglio 2013, 19.46.56
8
Uno dei dischi dell'anno, per il momento solo l'ultimo degli Altar Of Plagues lo supera. Minimo 90, per me.
Max
Venerdì 5 Luglio 2013, 16.01.57
7
Io preferivoil primo, questo è sì bello ma personalmente mi dice poco... forse mi sono già stufato di ascoltare gruppi dove c'è la parola "post"... torno alle buon vecchi "zanzariere"
Max
Venerdì 5 Luglio 2013, 16.01.57
6
Io preferivoil primo, questo è sì bello ma personalmente mi dice poco... forse mi sono già stufato di ascoltare gruppi dove c'è la parola "post"... torno alle buon vecchi "zanzariere"
Gasta
Giovedì 4 Luglio 2013, 23.18.12
5
Devo ancora ascoltarlo come si deve, ma Roads to Judah mi era piaciuto parecchio, quindi - anche leggendo i commenti qui - credo mi piacerà anche questo. Come al solito il voto lettori ha numeri a cazzo (ora è a 53.8), ormai ci ho fatto il callo
Punto Omega (ex piggod)
Giovedì 4 Luglio 2013, 18.24.51
4
Bravi, bravi, bravi. Un deciso passo in avanti da Roads to Judah, che sarà stato sorprendente (anche perché nessuno se lo poteva aspettare), ma in termini di gusto compositivo è decsiamente inferiore a quest'ultimo lavoro. Poi, se avete occasione di vederli dal vivo, fiondatevi, non ne rimarrete delusi, anzi!
Moro
Giovedì 4 Luglio 2013, 17.58.00
3
Roads to Judah era un po' più sorprendente. Ma questo è incredibilmente melodico per quanto casinaro. Molto molto Envy.
Mickey
Giovedì 4 Luglio 2013, 17.08.59
2
I testi poi mi sono piuttosto originali, soprattutto quello di Dream House.
Mickey
Giovedì 4 Luglio 2013, 17.07.10
1
Wow non mi aspettavo una recensione su di loro, tantomeno da Moro Concordo con te su tutto: il disco, anche se decisamente atipico, si dimostra un esperimento riuscito bene. Personalmente a me è piaciuto di più Roads To Judah, ma concordo sul voto.
INFORMAZIONI
2013
Deathwish
Black
Tracklist
1. Dream House
2. Irresistible
3. Sunbather
4. Please Remember
5. Vertigo
6. Windows
7. The Pecan Tree
Line Up
Kerry McCoy (chitarre, basso)
George Clarke (voce)
Daniel Tracy (batteria)
 
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