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Laurasia Awaits Us - Apathy Remains Victorious
( 891 letture )
Duecento milioni di anni fa la zona dove oggi sorge Helsinki non era altro che una deserta e polare area, abitata, forse, da qualche brontosauro e dai primi esemplari conosciuti di uccelli.
Come dimostrato circa un secolo fa dal geologo berlinese Alfred Lothar Wegener tramite la sua teoria della “deriva dei continenti”, quel territorio si trovava entro la più grande regione della Laurasia, un enorme agglomerato di terre il quale comprendeva tutti quei continenti oggi presenti nell’emisfero boreale della terra, ed ai quali ha, successivamente, dato vita: il Nordamerica, l’Europa e l’Asia nord-occidentale.
Tale supercontinente era, assieme al Gondwana, uno fra i due blocchi di superfici terrestri che si formarono dalla scissione della più grande Pangea, quell’unico supercontinente che, si ritiene, fosse l’amalgama di tutte le terre emerse della terra durante il paleozoico, circondata dal superoceano Panthalassa.
In un inesorabile e distopico ciclo della vita, fra trecento milioni di anni, un nuovo, quinto supercontinente si formerà dall’unione di tutte le terre oggi esistenti (in quanto la Pangea non era altro se non la quarta reiterazione del fenomeno già accertata dai geologi), e quella regione dove oggi è situata la capitale finlandese tornerà ad essere una rigida e fredda area sulla superficie terrestre, senza sbocco sul mare, forse disabitata, forse senza vita.
Nel frattempo, mentre la natura e l’universo fanno il loro corso, l’homo sapiens sapiens vive.
Oggi, a distanza di duecento milioni di anni da quella scissione, Helsinki è una bellissima città che si affaccia sul mar Baltico, peculiare grazie al suo caratteristico mercato del pesce, un elegante ed incantevole cimitero e due cattedrali, l’una ortodossa e l’altra luterana, che dominano la città. E’, inoltre, casa natale di molti compositori classici contemporanei e diverse metal band odierne, fra le quali, da un anno a questa parte, possiamo annoverare i Laurasia Awaits Us.

Dopo numerosi cambi di line-up ed un periodo di stallo che durava dal 2009, gli unici due mastermind rimasti dietro a questo progetto, i finlandesi Lauri Santeri Lohi e Joona Laine, riescono, nell’aprile 2013, a regalare alle stampe Apathy Remains Victorious, sotto la Domestic Genocide.
I nostri mostrano certamente mire ambiziose con questo full-length, cercando di perfezionare un sound che, almeno nei loro intenti, possa rompere con strette etichette di genere ed irrompere nella scena metal come qualcosa di veramente innovativo, entrando a far parte di quel grande e generico calderone chiamato post-black, il quale, come il gruppo dimostra, significa un po’ tutto, ed un po’ niente.
I Laurasia Awaits Us, infatti, stilisticamente cercano di unire un’anima black/doom, la quale ricorda i nostrani Arcana Coelestia, pur non emulando i finlandesi, nemmeno lontanamente, la potenza e la maestosità sonora del duo sardo, con sfumature ed accenni post-rock e shoegaze, il tutto sintetizzato ed affinato entro il mixaggio di Joona Laine, il quale si dimostra il vero punto di forza di questa release.
L’album si compone di sei tracce per una durata totale di circa 45 minuti di spesso inefficace ma a tratti toccante musica.

La prima del lotto è l'eccessivamente lunga Stillborn Motivation, la quale mette subito in mostra tutti i tratti distintivi della band. Sin dai primissimi secondi d'ascolto viene infatti creata una spessa coltre sonora ad opera dei synth, la quale non sfumerà mai per tutta la durata del lavoro; gli strumenti a corde risultano notevolmente distorti, con la melodia del brano sviluppata dalla prima chitarra suonata, in modo mai veramente coinvolgente, da Joona Laine, anche a causa dell’esiguo numero di note che emette (per tutta la durata dell’album sarà difficile udire giri di chitarra con più di sei o sette note senza che gli stessi tornino poi immediatamente al lineare tema principale), al tempo stesso pesantemente compresse da pedali flanger e considerevolmente diluite nel tempo, ad ogni plettrata, tramite delay; le linee vocali di Lauri Santeri Lohi non si dimostrano mai particolarmente eclettiche o appassionanti, perdendosi in un growl come tanti altri già sentiti nella medesima scena, settato in un qualche punto intermedio tra i colpi di grancassa della drum-machine in primo piano ed il lavoro dei synth in background. I primi otto minuti della traccia scivolano, un po’ anonimamente, via grazie a queste atmosfere doom, giri di chitarra post-black e suoni artificiali dei synth che affrescano colpi di tuono e melancoliche piogge scroscianti in sottofondo. Gli ultimi due minuti sono lasciati alla sperimentazione: gli echi della chitarra, realizzati grazie ad effetti digitali, leslie e all’utilizzo di un delay, vengono esasperati mentre lo strumento ripete la medesima melodia della traccia, accompagnata da effetti sintetici “space”, quasi da musica ambient. L’outro è lasciato ad una fitta ed incessante pioggia battente.
When this is over segue lo stesso pattern della precedente, ma si rivela, al contempo, una traccia più varia grazie soprattutto alla maggiormente eclettica fase ritmica creata dal basso, suonato in sedicesimi, ed alle linee vocali di Lohi, le quali alle volte si perdono in abbozzati scream. Un piovigginoso interludio centrale lascia il posto al finale dominato dalla solita strumentazione distorta, al growl di Lohi ed al charleston chiuso della drum-machine.
Il terzo brano è Seclusion, il quale, nei suoi tre minuti abbondanti, stilisticamente poco o nulla aggiunge a quanto detto fino ad ora, mentre la successiva Forget Everything si rivela una traccia intrigante, con delle semplici e lineari, ma accattivanti, linee di basso accompagnate dai synth. Dopo un altro interludio simil-ambient (il quale lascia un po’ interdetti), il brano torna a navigare a vele spiegate verso malevoli lidi black metal tramite semplici giri di chitarra e, per quanto possibile, pesanti percussioni della drum-machine, fino al suo epilogo un po’ incolore.
La quinta traccia è Nothing Left to Accomplish, sicuramente l’episodio maggiormente degno di nota di questo Apathy Remains Victorious, l’unico brano veramente riuscito a firma Laurasia Awaits Us. L’intro è avvolgente e suggestivo, creato dal rumore del mare in sottofondo mentre una chitarra classica suona pochi ma toccanti accordi in primo piano (il passaggio ricorda Mitt Annexia degli straordinari Lifelover), subito raggiunta dalla buona prova della chitarra ritmica semi-acustica e dal quattro corde, il quale suona solo poche note (per lo più, solo al forte e al mezzoforte di ogni battuta) ma di grande spessore artistico ed espressivo. Il resto della traccia ruota sempre intorno a questo tema principale, il giro di chitarra riprende specularmente quello suonato dalla classica nell’intro, Lohi svolge una buona prestazione al microfono, la drum-machine porta avanti adeguatamente il suo grigio copione ritmico, mentre l’onnipresente tappeto dei synth crea atmosfere e suoni sicuramente sopra la media rispetto al resto della strumentazione. L’unica pecca del brano è l'incomprensibile scelta artistica di affidare gli ultimi trenta secondi della traccia ai synth, i quali, in solitaria, suonano nuovamente il tema della melodia.
Si resta basiti per la seconda volta.
Per altro, non c’è due senza tre, in quanto la conclusiva Passage altro non è che il precedente refrain (a questo punto, suonato per la quarta volta in dieci minuti con diversi arrangiamenti) ripetuto per due minuti abbondanti da una chitarra elettrica che più effettata da tecnologia digitale non si potrebbe. E anche quando l’ultima traccia sembrava proprio essere finita, e con lei l'album, si viene nuovamente colti alla sprovvista, nell’ultimo minuto del disco, da alcune note artificiali ancora realizzate dai synth che, con tonalità vagamente simili a quello di uno xilofono, suonano ancora la stessa identica melodia delle due precedenti tracce.
L’album si chiude così, e, inevitabilmente, un sorrisetto un po’ comico non potrebbe che increspare il volto dell'ascoltatore.

Tutto ciò considerato, al di là di alcune scelte artistiche discutibili evidenziate, il problema vero di questa release è la troppa monotonia ed inespressività delle linee strumentali, le quali, oltre a comportare un'eccessiva ripetizione di melodie, riff ed una conseguente (a volte veramente stancante) prolissità dei brani, causa nell’ascoltatore sensazioni che preparati musicisti dovrebbero evitare come Icaro il Sole: noia ed insofferenza.
D’altro canto, va evidenziato che la scialba prova tecnica della sezione strumentale, sicuramente al di sotto della sufficienza, viene sapientemente affinata ed arricchita dai suoni artificiali dei sintetizzatori, dall’esperto utilizzo del programming ed effetti digitali da parte di Laine, e dalla post-produzione finale, la quale regala ad Apathy Remains Victorious un suono chiaro, pulito, dove tutti gli strumenti sono bene udibili e abilmente bilanciati fra di loro.
Certo, parlare di un efficace utilizzo della effettistica digitale a fronte di una difettosa e scarsa esibizione tecnica da parte dei due musicisti in un album di musica metal equivale un po’ ad ammettere che il contorno dell’opera è gradevole, ma manca la sostanza della stessa, e che, del resto, per suonare post-black non sono sufficienti poche linee strumentali rabberciate, atmosfere d'ambiente malinconiche ed un cantato in growl.
Eppure, considerando che Apathy Remains Victorious è il primo lavoro dei Laurasia Awaits Us, che l’impegno vocale di Lohi a tratti risulta quanto basta convincente, che almeno un brano ben riuscito ed ispirato è presente nell’album (Nothing Left to Accomplish), e che il lavoro di Laine ai PC si è rivelato più che sufficiente, l'agognata sufficienza, soprattutto come incentivo a far di meglio con la seconda release, è ottenuta.
Ma tenendo presente che, citando Sant’Agostino, “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.



VOTO RECENSORE
60
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INFORMAZIONI
2013
Domestic Genocide
Black/Doom
Tracklist
1. Stillborn Motivation
2. When This Is Over
3. Seclusion
4. Forget Everything
5. Nothing Left To Accomplish
6. Passage
Line Up
Lauri Santeri Lohi (Voce, composizione)
Joona Laine (Chitarre, basso, programming)
 
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