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MAXIMUM FESTIVAL 2024 (day 1)
ALTROQUANDO, VIA CORNIANI 32 - ZERO BRANCO (TV)

The Quireboys - Beautiful Curse
( 2550 letture )
C’è una bella tradizione nel rock inglese che va dai Rolling Stones ai Faces, ai Mott the Hoople, che parla un linguaggio fatto di strada, pubs fumosi ed equivoci, proto-glam, sesso, whisky e di un’epoca già rivoluzionaria eppure ingenua, pura e ancora libera, di quando tutto stava per esplodere, ma ancora non aveva preso una forma definitiva e irripetibile. Una musica ancora affine al blues, al rhythm’n’blues e al rock’n’roll, eppure irrimediabilmente contaminata da una sensibilità occidentale e pop, che ne avrebbe reinterpretato in maniera definitiva lo stile, rendendolo appetibile ad un pubblico bianco che cercava la propria musica ed i propri riti in contrapposizione al mondo degli adulti, ancora legato a concezioni ormai superate e irricevibili. Una linea che non si è mai interrotta e che mille altre band hanno cercato di portare avanti, con alterne fortune, come testimoniato dalla storia dei The Dogs D’Amour, ad esempio. Alla fine degli anni 80, un gruppo tra i tanti emerse con un album di debutto che, nell’epoca d’oro del glam metal, arrivò a creare scompiglio nelle classifiche di mezzo mondo. Parliamo naturalmente dei The Quireboys (inizialmente conosciuti come The London Quireboys) e del loro A Bif of What You Fancy, disco che li lanciò di botto nel dorato mondo del rock’n’roll con i numeri di vendita che contano. Poi, veloce come era arrivata, la fama decadde e il gruppo si sciolse, dopo un secondo album passato quasi inosservato. La reunion, arrivata dopo quasi dieci anni, trovò la band ancora in buona forma e anche se i fasti del passato erano ormai alle spalle e mai più raggiungibili, i Quireboys non si dimostrarono pentiti, assumendo un look coerente col passato, orientato però verso l’immagine di “gitani del rock”, con tanto di bandane e vestiti eccentrici e stazzonati e continuando tutt’oggi a proporre quella stessa magica ed eterna formula che dal rock’n’roll delle origini arriva fino al glam anni 70, per virare verso l’hard rock puro e vibrante degli anni 80. Niente di più e niente di meno.

La credibilità conquistata negli anni pone la band al di sopra di ogni polemica relativa ad uno stile compositivo superdatato e largamente derivativo, praticamente in ogni sua componente che, nel tempo, è diventato anche palesemente auto celebrativo e, infine, ripetitivo. Questi sono argomenti che con una band del genere è davvero inutile scomodare, dato che fin dall’inizio le coordinate erano talmente chiare e identificate da tacere ogni dubbio. In questi casi, quello che conta non è più l’originalità, ma solo ed esclusivamente l’ispirazione e la qualità del songwriting, unica variabile in grado di incidere sulla riuscita di un album. Messa da parte anche ogni pretesa relativa alle qualità tecniche dei musicisti, che non aspirano certo a diventare innovatori dello strumento, ma piuttosto a suonare concretamente e con feeling una musica codificata eppure proprio per questo sincera e che non può nascondersi dietro a cortine fumogene o stregonerie strumentali. Dopo tanti anni (sono ventinove dalla formazione della band) la voce di Spike è ancora graffiata e fumosa, carica di whisky e tabacco, sporca e lasciva, calda e ruvida e tanto basta per melodie sguaiate e appiccicose, anch’esse semplici e contagiose, senza fronzoli e dritte al punto. Romantiche e bohemien quando serve, ammiccanti e volgari quanto basta, sempre estremamente cantabili e perché no, quasi ballabili. Eppure, rispetto agli album precedenti, il nuovo Beatiful Curse, pur nella canonicità della proposta, ci mostra una maggiore inflessione melodica e romantica, che introduce numerosi passaggi e accompagnamenti acustici e di piano, accentuando il lato glam settantiano della musica, soventemente coniugata in termini di ballate. Niente di male, perché si tratta semplicemente di una maggiore enfasi su una caratteristica comunque tipica della band. Certo qualche rock più spinto e volgare alla Sex Party sarebbe stato gradito per stemperare un po’ l’atmosfera soffusa e malinconica del disco, ma poco male: è difficile attendersi l’album dell’anno da questa band e forse è la lunghezza dei dodici brani ad inficiare un po’ la sua godibilità, in assenza di composizioni che si elevino sopra la media. Le tracce migliori sono d’altra parte quelle più sanguigne, come la doppietta iniziale costituita dall’opener Too Much of a Good Thing, con una ritmica alla AC/DC indiavolata ed esaltata dal piano e la seguente Chain Smokin’. Già Talk of the Town, buonissimo rock semiacustico dal refrain vincente, si mostra più soffusa e sofferta e conduce alla bellissima ballad Mother Mary, interpretata alla grande da uno Spike al massimo delle proprie capacità; il brano, col seguente King of Fools, ci mostra l’anima più glam della band, tanto che non fosse per la voce del leader, potremmo pensare che provenissero entrambi dal disco di una qualche band sperduta dei primi anni 70. Homewreckers and Heartbreakers, classico anthem dal riff spezzato e For Crying Out Loud, rock’n’roll divertente e piacevole, reintroducono tempi sostenuti e più propriamente hard. Per quanto riguarda le ballad si segnalano ancora la titletrack e Twenty Seven Years, dalla bella melodia, mentre Don’t Fight It, soffre un po’ dell’eccessiva ripetizione del ritornello. Chiude con un tocco di soul I Died Laughing, non imprescindibile ma sempre condotta con quella felice leggiadria che una band di esperienza sa quando mettere in campo per tirare su le sorti di un brano.

Ormai il tempo è passato da quando i Quireboys saltavano sul treno dei vincenti, arrivando alle posizioni altissime delle classifiche inglesi e continentali e finendo per fare da gruppo di supporto ai Guns n’ Roses nel tour di Use Your Illusion. La proposta della band, così legata alla storia, così splendidamente interprete di una tradizione radicata e lontana nel tempo, non delude mai, confermando la credibilità dei cinque e il buon livello complessivo dei loro album. Beautiful Curse, prodotto da un ritrovato Chris Tsangarides, non è davvero il disco più bello rilasciato dalla band inglese ed anzi è forse il più debole sentito finora, eppure c’è del buono in esso, quel qualcosa di vero e puro che viene da un’epoca ormai lontana, ma ancora capace di parlare al cuore di chi ama il rock e che nelle confortanti note qui contenute, ritroverà il piacere di sonorità mai davvero superate. Questo non è forse il disco migliore da cui iniziare, se si vogliono conoscere i Quireboys, ma al tempo stesso si tratta di una conferma importante e di un ritorno gradito. Non sarà il disco dell’anno, ma non resterete delusi ed anche se con un po’ di mestiere e chiedendo ogni tanto clemenza alla Corte, è piacevole. Vale sempre la pena dare fiducia a questa band di onesti e competenti musicanti da strada.



VOTO RECENSORE
70
VOTO LETTORI
85 su 1 voti [ VOTA]
Galilee
Martedì 24 Settembre 2013, 16.47.06
4
Son tornati, era ora
Sambalzalzal
Martedì 24 Settembre 2013, 15.24.00
3
Non nascondo che quando si tratta di Quireboys sono di parte e l'album mi è piaciuto un casino. Lizard ha ragione nel dire che non è il migliore della loro carriera, questo è certo ma veramente il piacere che mi provoca è immenso proprio perché mi suona genuino e proveniente da un'altra epoca. E' come se in questi anni Spike e seguito fossero riusciti a rimanersene in qualche fumoso pub londinese degli 80' a comporre materiale, liberi da influenze esterne e da vani tentativi di ringiovanimento che tante, troppe bands della loro generazione hanno provato con esiti poi rivelatisi deleteri. Dopo 30 anni sono ancora qui intatti ed è questo quello che veramente conta! 85.
enri sixx
Martedì 24 Settembre 2013, 14.49.48
2
grandissimi quireboys , buon album voto 80
Raven
Martedì 24 Settembre 2013, 12.38.50
1
Gruppo che ho molto amato per motivi familiari. Devo sentirlo.
INFORMAZIONI
2013
Off Yer Rocka Recordings
Hard Rock
Tracklist
1. Too Much Of A Good Thing
2. Chain Smokin’
3. Talk of the Town
4. Mother Mary
5. King of Fools
6. Homewreckers and Heartbreakers
7. Diamonds and Dirty Stones
8. Beautiful Curse
9. Don’t Fight It
10. For Crying Out Loud
11. Twenty Seven Years
12. I Died Laughing
Line Up
Spike (Voce)
Guy Griffin (Chitarra, Basso, Cori)
Paul Guerin (Chitarra, Basso, Cori)
Keith Weir (Tastiera, Cori)

Musicista Ospite:
Simon Hanson (Batteria)
 
RECENSIONI
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12/11/2013
Live Report
THE QUIREBOYS + BACKSTAGE HEROES + SIXTY MILES AHEAD
Rock n’ Roll Arena, Romagnano Sesia (NO), 06/11/2013
 
 
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