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Cronian - Erathems
( 2025 letture )
Chi ancora vede il black metal come un genere adatto esclusivamente a occultisti e abituali frequentatori di messe nere nei boschi, potrebbe iniziare a cambiare idea partendo proprio dai Cronian.

Quando a inizio millennio Vintersorg divenne la voce ufficiale dei Borknagar, non gli ci volle molto tempo per capire che le sue idee in materia di musica erano molto simili a quelle del chitarrista del gruppo, Øystein G. Brun. Da qui la nascita del progetto Cronian che, dopo qualche anno di preparativi e vari intoppi che rallentarono molto le cose, vide nel 2006 il suo debutto intitolato Terra, da molti (e dal sottoscritto) ritenuto il loro miglior lavoro. Due anni dopo tornarono alla ribalta con Enterprise, che proseguì a grandi linee il percorso tracciato dall’esordio riscuotendo, anche in questo caso, ampi consensi sia di pubblico che di critica.
A distanza di cinque anni, Erathems continua a sua volta la strada intrapresa dai predecessori, distaccandosi però da certi stilemi. La prima traccia, Cold Wave Eruption, presenta molto chiaramente queste novità, puntando verso un impianto maggiormente epico e solenne e diminuendo notevolmente quelle sperimentazioni atmosferiche cui eravamo abituati; facendo scomparire quasi del tutto quei momenti folk molto presenti in Terra e preferendo un timbro più scorrevole e meno elitario. Il songwriting è sempre di altissimo livello: tanti elementi, influenze e strumenti s’intersecano tra di loro alla perfezione costituendo brani solidissimi e compatti, senza mai registrare cali d’intensità. Ecocracy ricerca invece atmosfere marziali, più simili in certi passaggi a quanto abbiamo visto nel precedente Enterprise, riuscendo a essere una traccia sicuramente di buona fattura che però decolla con un po’ troppa fatica specialmente sul finale.
La successiva Drifting Station dilata e rallenta il tempo regalandoci uno dei punti di maggior spicco nell’album: un drumming serratissimo a contrasto con le strofe centrali che, addolcite sia nel cantato sia nelle chitarre, creano un effetto molto semplice ma di grande impatto, facendoci entrare nel vivo dell’album. Alla numero quattro, con Monuments and Monuments, si va a tastare territori quasi cinematografici. Ascoltandola, ci si rende conto che in fondo non stonerebbe affatto in un film di genere ambientato nella corte inglese di Enrico VIII. Ma a parte queste declinazioni cinematografiche, la resa del brano, nella sua diversità dalle altre, riesce a creare una giusta alternanza tra i vari registri smussando un po’ l’effetto monolitico generale. A seguire, Blackwater Horizon torna a picchiare duro in toni prettamente black, mantenendo una costante aura luminosa e positiva e discostandosi dalla devozione ai toni oscuri e depressivi come s’intende originalmente il genere. Arrivati dunque all’ultima parte dell’album le cose subiscono un’impennata imprevista, regalandoci alcuni dei momenti migliori di tutta la carriera del duo scandinavo.
Core Resilency si rivela essere un brano molto incalzante grazie alla varietà tra tempi lenti e veloci, crescenti e decrescenti, accompagnati come solito da un’orchestrazione strumentale enfatica, molto trascinante. Ma è la penultima traccia, Chemical Dawn, che si rivela la più insolita e per questo anche la più interessante sotto diversi aspetti: una struttura compositiva di livelli davvero fuori dal comune e la sperimentazione tra i diversi strumenti raggiungono qui un assortimento così vario e così ben funzionante per cui è impossibile rimanere impassibili. In gergo, potremmo definire questa canzone come un "hook", ossia quel brano all’interno di un album che riesce a colpire l’ascoltatore invogliandolo a riascoltare quella data traccia. Semplicemente un momento di pura musica, se non uno dei brani migliori di tutta la loro carriera. Per finire, come al solito, troviamo la terza parte completamente strumentale di End(durance), diventata ormai un marchio di fabbrica posto in chiusura di ogni album che va a terminare onestamente un’opera di ottima fattura, breve, essenziale e concisa.

Tirando le somme, il risultato di questa nuova fatica dei Cronian convince a pieno. Erathems, pur non essendo un capolavoro del genere, è un flusso viscerale di musica che percorre speditamente i suoi cinquanta minuti di durata, senza strizzare l’occhio a nessun genere di riferimento, ma continuando a esplorare territori sempre diversi proseguendo indipendentemente per la sua strada. Se siete fan dei Cronian o se volevate semplicemente una buona ragione per approcciarvi a un genere diverso dal solito, Erathems potrebbe girare davvero a lungo nel vostro stereo.



VOTO RECENSORE
79
VOTO LETTORI
85 su 1 voti [ VOTA]
M.V.F.
Giovedì 19 Ottobre 2017, 12.00.43
2
Splendido, davvero splendido. Lo senti che viene da quei due geni assoluti (due musicisti che venero), potrebbe esser benissimo un album Borknagar, ma quello che conta è che la qualità come da copione è sempre sempre altissima!
Andy '71 vecchio
Mercoledì 13 Novembre 2013, 13.08.01
1
Adoro questa band,"Terra"è il mio preferito,un disco fantastico,ma anche col secondo mi son piaciuti parecchio,certo non ha i picchi del disco d'esordio ma è molto bello,ormai penso che questa band non mi deluderà mai,Vintersorg è un genio, oltre avere una voce strepitosa compone anche alla stragrande,penso che questa terza uscita la comprerò a scatola chiusa.Grandi!
INFORMAZIONI
2013
Season of Mist
Advanced Metal
Tracklist
1. Cold Wave Eruption
2. Ecocracy
3. Drifting Station
4. Moments and Monuments
5. Bkackwater Horizon
6. Core Resilency
7. Chemical Dawn
8. End(durance) – Part III
Line Up
Andreas "Vintersorg" Hedlund (Voce, Basso, Programmazione)
Øystein G. Brun (Chitarra, Tastiere)
 
RECENSIONI
80
 
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