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Mad Max - Interceptor
( 1587 letture )
Monicker e titolo dal riferimento esplicito per una band che gioca tutte le sue carte sul filo della nostalgia. I Mad Max, come i rockers d’annata ricorderanno, sono una storica band tedesca con alle spalle una lunghissima carriera. Fondato nel 1981 e giunto al debutto l’anno successivo, il gruppo tedesco ha sempre ruotato attorno alla figura di Michael Voss, carismatico singer e valente chitarrista solista, realizzando quattro dischi prima di sciogliersi nel 1989. Riformati una prima volta nel 1999, gli irriducibili bavaresi hanno fatto il loro ritorno definitivo nel 2006 rilasciando da allora nuovi album con una certa cadenza, il che rende il presente Interceptor il decimo della loro ormai ultratrentennale carriera. Siamo in buona sostanza al cospetto di una band di esperienza infinita, che sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo e che non si sforza nemmeno di apparire al passo coi tempi, preferendo continuare la propria onesta strada fatta di hard rock imbastardito con trame heavy, nella migliore tradizione germanica, che fa degli Scorpions i propri capostipite e inevitabile pietra di paragone, assieme al Michael Schenker Group. Era d’altra parte abbastanza superfluo attendersi qualcosa di diverso da una band che porta avanti un certo modo di suonare coerentemente col proprio passato e con sé stessa. A questo punto, non resta che valutare piuttosto lo stato dell’Arte e l’effettiva vena compositiva del gruppo dopo tutti questi anni sulla strada.

Volendo entrare da subito nel vivo del discorso, è difficile non notare come la band giochi sul velluto con un hard rock abbastanza muscolare e riottoso al cedere le armi, levigato sì, ma comunque potente e dannatamente live nella resa globale. Difficile non immaginare la band mentre suona queste canzoni in studio piuttosto che su un palco e, da questo punto di vista, risulta assolutamente encomiabile l’energia e l’ottima forma dimostrata da questi ultracinquantenni. Pochi compromessi sono stati fatti tanto a livello compositivo quanto a livello di suoni, assolutamente sinceri e schietti, con le chitarre in bella vista, sferraglianti e taglienti e la quadrata sezione ritmica a tenere su il tutto, con qualche concessione dinamica e un uso moderato e funzionale del doppio pedale. Il tutto, suona così dannatamente anni 80 e in maniera così facile e sincera che è impossibile non cogliere i rimandi a band contemporanee ai Mad Max, come Def Leppard, Motley Crue, piuttosto che Dokken o White Lion. La voce di Michael Voss sembra esente da un qualunque invecchiamento e il suo timbro squillante resta miracolosamente immutato e capace ancora di intrigare. Le melodie sono chiaramente il giusto contraltare del dinamismo strumentale e in questo caso non mancano cori e armonie così maledettamente retrò da risultare pacchiane in mano a qualunque band al di sotto dei trent’anni, ma perfettamente centrate considerando il pedigree di questi musicisti. Come detto, non è certo l’energia a mancare, ma quello che si nota subito e che rimanda alla tradizione ottantiana è proprio la capacità di inserire nel contesto di un brano momenti e atmosfere diverse, pur rimanendo ancorati ad uno stilema compositivo tutto sommato semplice e lineare, molto snello e facilmente memorizzabile. Eppure, è difficile avvertire quella sensazione di unidirezionalità che troppo spesso caratterizza le produzioni odierne: qua i pezzi respirano, c’è una evoluzione, ci sono parti diverse che vanno a comporre il brano. Il che permette, pur all’interno di una scaletta comunque di poco superiore ai quaranta minuti, di assaporare sensazioni diverse e di passare da chitarre elettriche a chitarre acustiche, da riff aggressivi e spigolosi a ritornelli aperti e ariosi, senza per questo sovrabbondare di ballad (in realtà nel disco non ce ne sono) e senza un inutile sfoggio di watt fini a se stessi. E’ quasi inutile scendere nel dettaglio dei brani, ma se vogliamo, è proprio compiendo un passo dal quadro generale ed entrando in quello specifico, che si capisce meglio il valore di questo disco. Interceptor infatti è piacevole e ben suonato, strutturato in maniera intelligente per coinvolgere senza pretendere troppo dall’ascoltatore, pur con qualche momento di maggior profondità, ma tolto il comodo appiglio dell’ultraprofessionalità che è giusto dare per scontata in una band di questa esperienza, lascia ben poco. Brani brutti non ce ne sono, questo è bene dirlo, ma se vogliamo cercare un pezzo da ricordare, si fa una gran fatica e alla fine resta un solo candidato. Si tratta di Five Minute Warning, brano drammatico nel quale l’influenza dei Def Leppard è ben più che evidente (ricorderà a molti Bringing on the Heartbreak, pur non essendo una ballad), come nella precedente Rokker Your Life, il quale grazie alla tensione accumulata e alla ottima interpretazione di Voss costituisce senza dubbio un brano meritevole di attenzione. Tutto il resto, pur restando sempre nell’alveo del piacevole e ben fatto, non affonda e non colpisce e si ferma molto in superficie. Discorso a parte per Show No Mercy, di fatto il pezzo più duro e oscuro, che si rivela però anche il vero buco nell’acqua del disco: a fronte di un gran bel riff d’introduzione, abbiamo infatti delle scelte melodiche a dir poco infelici, che sciupano totalmente lo sviluppo del brano risultando anche quasi fastidiose, così come l’interpretazione di Voss inutilmente carica e fin troppo sopra le righe; lo stesso Voss chiude in clamorosa debacle la canzone, cercando un solfeggio drammatico con la chitarra che si rivela poi essere una involontaria (?) citazione della famosa aria del Rigoletto di Giuseppe Verdi, Bella figlia dell’Amore, con corollario di umorismo (questo sì involontario) per chi non potrà fare a meno di collegarvi la famosissima e clamorosa scena del “Coro dei Cinque Madrigalisti Moderni” dal film “Amici Miei – Atto II”. Il resto del disco oscilla tra il discreto (Bring on the Night e Revolution) e l’anonimo (le prime tre tracce, che non lasciano davvero ricordo di sé), con la chiusura affidata come da tradizione in casa Mad Max ad una cover degli Sweet, l’irresistibile Turn It Down.

E’ bello sapere che band come questa esistono ancora e continuano a rockeggiare nonostante gli anni e le mode che passano. E’ bello che ci sia chi suona un sano, robusto, muscolare hard rock con cori stellari e assoli fiammeggianti di chitarra uniti a riff abrasivi e taglienti. Chi non conosce o non apprezza queste cose, perde davvero qualcosa di bello e importante della musica dura. I Mad Max non sono mai stati un gruppo di riferimento del genere e anche trent’anni fa viaggiavano nel semianonimato più severo al di fuori della Germania, quindi non staremo oggi a rivendere la favola che i loro dischi e questo Interceptor siano poi fondamentali nella storia dell’hard’n’heavy. Probabilmente, se non li ascolterete mai, la vostra vita rimarrà la stessa. Ma il punto non è neanche questo: attendersi da un gruppo del genere il capolavoro o il disco epocale dopo tutto questo tempo, non avrebbe davvero alcun senso. Molto più importante segnalare che Interceptor è un disco onesto, ben suonato, composto con passione e competenza da una band di ottimi professionisti guidata da un vocalist e chitarrista di spessore che dopo trent’anni ha ancora voglia e capacità di dire la propria, senza snaturarsi, senza cedere alle lusinghe del mercato, senza pretendere altro che essere se stessa. Bentornati dunque e se proprio Interceptor non sarà il disco dell’anno, almeno non deluderà neanche chi avrà voglia di ascoltarlo per puro piacere, senza altre pretese.



VOTO RECENSORE
63
VOTO LETTORI
65 su 1 voti [ VOTA]
Travis Bickle
Giovedì 5 Dicembre 2013, 19.11.53
1
Peccato!Pensavo ci fosse Mel Gibson nella formazione...
INFORMAZIONI
2013
SPV/Steamhammer
Hard Rock
Tracklist
1. Save Me
2. Godzilla
3. Sons of Anarchy
4. Rokker Your Life
5. Five Minute Warning
6. Bring on the Night
7. Streets of Tokyo
8. Show No Mercy
9. Revolution
10. Turn It Down
Line Up
Michael Voss (Voce, Chitarra)
Juergen Breforth (Chitarra)
Roland Bergmann (Basso, Cori)
Axel Kruse (Batteria)
 
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