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19/09/24
GIANCANE
ARCI BELLEZZA - MILANO
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L‘ARCHIVIO DELLA ‘ZINE - # 41 - Avatar, Blaze Bayley, Chat Pile, Maurizio Solieri, Heidevolk e altri scheletri nell'armadio da spolverare....
02/06/2024 (1038 letture)
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Quando si aprono le porte di un Archivio, non si può fare a meno dall’essere colti da un certo senso di inquietudine: dove cercare? Cosa? A cosa dare precedenza e quali le conoscenze conservate che rischiamo di non trovare? Nel freddo e umido scantinato di Metallized, ormai, le stanze dell’Archivio della ‘Zine straripano di album recuperati e segnalati, in attesa che qualcuno apra la fatidica porta e scopra quanto di prezioso si celi al loro interno. Nel frattempo, i nostri Archivisti continuano la loro opera, moderni scrivani in continua ricerca di album preziosi da strappare all’oblio del tempo, in un mondo eternamente proiettato verso il futuro e che a malapena riesce a sbocconcellare il presente, già passato prima ancora di essere pienamente vissuto. A voi il frutto di questo lavoro, di questo tentativo di eternare il momento passato e renderlo ancora vivo, attraverso parole e musica….
SLUDGE Chat Pile - God's Country Difficile rimanere impassibili di fronte alla primordiale richiesta d’aiuto dei Chat Pile; si sente tutta l’esigenza della band di sfogare la propria frustrazione in musica, attraverso racconti dolorosi. Il sound viene adattato alle storie narrate, ne consegue un’opera prima coesa, rude, che senza alcun compromesso getta il marciume dell’umanità in pasto agli ascoltatori.
DOOM Oak - Disintegrate Di solito quando ci si trova di fronte a composizioni così mastodontiche si dice che siano necessari molteplici ascolti per metabolizzare appieno quello che si sta ascoltando, ma in questo caso non è necessario sentire il brano più volte per capirci qualcosa. Semmai serve risentirlo più che altro per riuscire a configurarsi tutto nella sua interezza, sezione per sezione, ma di per sè la modalità di arrangiamento rende il tutto abbastanza intuitivo. Il tentativo altamente spettacolare degli Oak di portare la loro versione di apocalisse in musica è pienamente riuscito ed in modo davvero efficace
Ocean of Grief - Pale Existence Gli Ocean of Grief sono attivi da quasi dieci anni, affermandosi all’interno della scena con un doom molto leggero, melodic potrebbe definirlo qualche aspirante suicida, e che presta particolarmente attenzione al virtuosismo chitarristico. Una formula sonora che rimanda più agli scandinavi Insomnium e October Tide oppure ai connazionali On Thorns I Lay. Il loro primo album risale al 2018 con Nightfall’s Lament, uscito due anni dopo il loro debutto con l’EP Fortress of My Dark Self, che già dava modo di poter saggiare le capacità dei nostri.
The Devil’s Trade - Vidékek vannak idebenn Vidékek vannak idebenn, è il lavoro più ambizioso finora di Dávid Makò, e la scelta di cantare più brani in lingua ungherese è una scelta sicuramente ragionata e azzeccata. La sensazione che ne deriva è infatti un senso magico e di sospensione che sembra trasportare al di là dello spazio e del tempo. Inoltre, la trasformazione musicale è stupefacente, da un canonico cantautorato, seppur oscuro, Makò è riuscito a tirare fuori dal cilindro un ibrido di dark folk e doom metal fortemente atmosferico ed evocativo, rivolgendosi a suggestioni musicali europee.
The Answer Lies in the Black Void - Thou Shalt Sempre sotto l’egida della Burning World Records, Thou Shalt prosegue nel solco scavato da Forlon, introducendo alcune pregevoli novità che lo differenziano a sufficienza dal predecessore, senza tuttavia stravolgerne la natura e la poetica di base. Il doom rimane il genere dominante, seppur sotto diverse e mutevoli incarnazioni, ma viene costantemente tinto di rimandi e tonalità goticheggianti che ne smussano le spigolosità, rivestendo di velluto il freddo granito sottostante. Mai come in questo secondo full length emerge inequivocabile l’influenza dei The Gathering del periodo Mandylion e Nighttime Birds
MELODIC DEATH Avatar – Dance Devil Dance Dance Devil Dance risulta un lavoro molto meno stilisticamente quadrato rispetto al precedente, che prova a spezzare le barriere di certi crismi musicali favorendo una maggiore permeabilità di molteplici influenze, i cui risultati hanno fortuna alterna. Un lavoro che farà storcere il naso ai difensori di un certo metal puro e crudo, sarà un curioso passaggio per chi non è spaventato dalle sperimentazioni, anche quelle più discutibili.
Memories of a Lost Soul - Redefining Nothingness Un brandello di nord Europa nel profondo sud d'Italia. Questa, in estrema sintesi, la descrizione dei Memories of a Lost Soul. Attivi dal 1995, fedeli al verbo del melodic death di stampo nordeuropeo (appunto) e capitanati dall'inossidabile Buzz arrivano con Redefining Nothingness al loro quinto album. Sempre fedeli alla linea, per così dire
FOLK METAL Heidevolk - Wederkeer I lontani tempi di De Strijdlust Is Geboren, di Walhalla Wacht, che affondavano le radici nel folk/viking più classico sono scomparsi, per lasciare via via più spazio a una maggiore componente pagan, ed un ammorbidimento del sound. Seppure fosse presente un'ossatura di carattere più heavy, ricollegabile comunque a un'atmosfera folk e molti intermezzi acustici con strumenti caratteristici, erano frequenti riff e partiture in tremolo e ritmiche black metal. Ma con il tempo sono passati dal power, fino ad approdare a un metal praticamente di matrice classica, con una semplificazione dei riff e cosa più importante, a una ancora maggiore enfasi sulle voci, abbandonando sempre più la voce in scream. Da sempre la particolarità è stata un connubio di voci e coralità maschili, che però pian piano si è spostata su una maggiore ricerca di melodia ed armonia, in cui viene approfondita la componente pagan.
Russkaja - Turbo Polka Party In questo ultimo album la componente metal si fa più presente, rispetto ai lavori precedenti caratterizzati da una ritmica punk/ska più canonica. Un'ulteriore novità è rappresentata da delle collaborazioni molto interessanti: Micha Rein dei medieval folk metaller tedeschi In Extremo, Benji Webbe della band alternative/reggae gallese Skindred e un'eccentrica band di Amburgo che suona un concentrato di diversi generi musicali, i Le Fly, che danno sicuramente al lavoro una marcia in più, oltre al caleidoscopio di lingue, culture, e al carrozzone quasi circense di strumenti folk che rendono il disco sicuramente un ascolto degno di un'assolata e spensierata estate, ma non solo.
HARD ROCK The Defiants - Drive In questo terzo capitolo i “ragazzacci” prediligono decisamente i primi pezzi, tramite atmosfere assolutamente estive, da festa notturna in spiaggia e lo fanno a partire dal singolo apripista, la catchy 19 Summertime. C’è la volontà di staccare la spina, di divertirsi, così i suoni diventano molto confidenziali, con chitarre che ammiccano all’ascoltatore medio di pop/rock e ritmiche piuttosto placide, messe in piedi dal quarto elemento, il musicista aggiunto mai inserito in band, ma sempre presente negli album targati The Defiants, cioè il batterista Van Romaine
HEAVY Blaze Bayley - Damaged Strange Different and Live Un lavoro abbastanza diverso dai precedenti. Mixato da Chris Appleton, l'album punta tutto sull'emozione in quanto tale, più che su una resa sonora particolarmente curata e di impatto. Ottenuta una serie piuttosto genuina di incisioni di concerti inglesi e francesi, semplicemente chiedendo ai vari ingegneri del suono incontrati nelle varie location dei concerti se fosse possibile avere delle registrazioni multitraccia delle serate, il gruppo di lavoro di Bayley ha selezionato una scaletta divisa tra canzoni proprie e periodo maideniano.
Dr. Schafausen - How Can You Die? How Can You Die?, ovvero il disco che non ti aspetti. Non se le attese dell'ascoltatore si riferiscono al passato (ma anche al presente) del Dottor Pagnacco Sergio con i Vanexa, band più che storica del panorama heavy nazionale e non. Senza contare i suoi trascorsi coi Labyrinth. La storia proposta come Dr. Schafausen è infatti tutta diversa. All'interno di un quadro tematico concettuale preciso, incentrato sull'analisi di una serie di disturbi psicologici e cognitivi che possono affliggere l'uomo contemporaneo in quanto eccessivamente legato all’uso (abuso) della tecnologia - probabilmente esacerbate dall'impatto che il COVID ha avuto sulle nostre possibilità di fare diversamente per un periodo piuttosto lungo - le scelte musicali del Nostro si rivelano molto moderne. Arrivando a toccare non solo tendenze quali metalcore o djent, ma persino l'hip hop e la trap. Restando comunque molto metal.
BLACK Korgonthurus - Jumalhaaska I Korgonthurus, blacksters sorti dalle terre finniche nell'ormai lontano 2000, tornano sul mercato a distanza di 3 anni dall'ultimo Kuolleestasyntynyt con la quarta fatica: Jumalhaaska. Il disco in questione, già a vedere solo la durata, risulta bello corposo, seppur con solo quattro tracce.
SHRED Maurizio Solieri - Resurrection L'album in questione ci propone le qualità e tutte (o almeno la maggior parte) delle influenze artistiche che hanno forgiato il suo stile e/o lo hanno accompagnato durante tutti questi anni, inserite all'interno di un lotto di dieci, godibilissime canzoni. Queste spaziano dall'hard al pop rock più raffinato, restando sempre ancorate alla ricerca di una precisa linea melodica e di un'esecuzione di alto livello. Esaltando così la genuina voglia di costruire bei brani –un concetto apparentemente semplice, ma spesso tralasciato– il suo tocco inconfondibile e la presenza di un musicista che tutti noi conosciamo bene: Michele Luppi
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