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30/01/25
BERNTH, CHARLES BERTHOUD E OLA ENGLUND
SANTERIA TOSCANA 31, VIALE TOSCANA 31 - MILANO
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Deafheaven - Infinite Granite
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24/08/2021
( 2484 letture )
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Poche realtà musicali negli ultimi dieci anni sono state capaci di essere così divisive nei confronti dei fan e della critica come gli americani Deafheaven, autori fin dal proprio esordio discografico di una personale miscela di black metal e indie rock ben presto inserito in quel calderone ribollente di pubblicazioni sempre meno originali rinominato post black metal. Dopo un primo disco ancora oggi celebrato da molti – Roads To Judah (2011) – il duo composto da George Clarke e Kerry McCoy ha sfornato nel 2013 la propria pietra dello scandalo, il tanto discusso Sunbather, in poche parole uno dei migliori esempi di blackgaze mai composti ad oggi. Con buona pace dei puristi l’incontro tra il tremolo picking e lo screaming esasperato del black metal con le sinuose delicatezze dello shoegaze ereditato dai My Bloody Valentine e le parentesi dilatate proprie di band come gli Explosions In The Sky ha fatto sì che il blackgaze divenisse un genere vero e proprio, notato – e non poco – anche e soprattutto negli ambienti mainstream. Se in termini di popolarità Sunbather è stato una vera e propria miniera d’oro per la band, altrettanto non si può dire per quanto riguarda la reputazione del gruppo stesso, osteggiato e denigrato dall’intera comunità black metal e non solo. Di recente il cantante George Clarke ha raccontato di come l’essere diventato un “meme vivente” in certi ambienti estremi lo abbia condizionato molto dal punto di vista emotivo; in realtà, limitandosi alle pure capacità tecniche, Clarke si è spesso dimostrato al livello, se non superiore, di molti tra i migliori cantanti della scena, sfoderando un timbro tagliente a tratti disumano per quanto velenoso risultasse. La carriera degli americani è comunque andata avanti a vele spiegate, reclutando di volta in volta nuovi musicisti per dare vita ad album sempre più complessi dal punto di vista della contaminazione fra generi, ultimo tra questi Ordinary Corrupt Human Love del 2018, probabilmente il punto massimo raggiunto dai Deafheaven per quel che riguarda la contrapposizione tra sfuriate estreme e riflessività post rock. Come sempre amato da molti e criticato da altrettanti, il disco deve aver portato il gruppo ad interrogarsi sul proprio futuro, che a questo punto aveva bisogno di una svolta netta.
Dunque eccoci in questo 2021 inoltrato ad ascoltare con orecchio attento la nuova metamorfosi di Clarke e McCoy, intitolata Infinite Granite e uscita da pochi giorni sul mercato. Per definire il nuovo disco della band basta una semplice parola: shoegaze. Il perché è presto detto, in quanto la novità rivoluzionaria messa in campo dagli americani sta proprio nell’aver abbandonato quasi completamente la propria vena black metal, così tanto caratteristica, per dedicarsi ad una rivisitazione, per certi versi estremamente calligrafica, del sound degli anni ’90 che tanto ha contribuito al delinearsi dell’identità stessa dei Deafheaven. Gli indizi, a pensarci bene, sono sempre stati molti, a partire dal nome stesso del gruppo, ottenuto tramite la giustapposizione delle parole “deaf” ed “heaven” come esplicito omaggio agli Slowdive. Non è un caso che proprio l’influenza della leggendaria band di Rachel Goswell sia presente in dosi massicce in questo Infinite Granite, un disco che potrebbe rappresentare una vera manna dal cielo per gli amanti delle sonorità anni ’90 più sognanti e rumorose. I singoli rilasciati prima dell’uscita dell’album, tra i quali spicca senz’altro Great Mass Of Color (a conti fatti uno dei migliori brani in scaletta), avevano già fatto intendere il clima generale dei brani, con un George Clarke completamente a nudo di fronte al microfono e forte solo della sua voce pulita, già mostrata in altre occasioni, ma qui utilizzata nella quasi totalità dei brani, con risultati altalenanti sebbene interessanti. I musicisti che circondano il cantante oggi sono una vera e propria band rodata alla perfezione e il lavoro strumentale lo conferma totalmente: non c’è un singolo brano che non mostri almeno un’intuizione strumentale degna di nota, con le chitarre nebulose, ma sempre piene e compatte e i synth ad accompagnare le melodie degli strumenti a corda con un vigore carico di sentimenti nostalgici. La produzione del solito Jack Shirley è eccezionale e a differenza dell’ultimo album di King Woman qui ogni strumento trova il proprio spazio con precisione, esaltandosi a vicenda grazie ad intrecci armonici onirici, ma capaci anche di spingere sull’acceleratore in più di un’occasione. I nomi di riferimento per inquadrare l’opera sono facili da fare: su tutti l’accostamento più diretto è quello con i Ride di Going Blank Again, per via delle chitarre vicine in certi frangenti a certe soluzioni smaccatamente alternative rock, ma sono presenti anche molte sezioni al limite del dream pop, dove il comparto strumentale si dirada e si annebbia sempre di più fino a lambire territori ambient, come nella strumentale Neptune Raining Diamonds. In certi momenti le screziature distorte delle chitarre rimandano anche ai Whirr (i fan più accaniti non dimenticheranno della presenza di Nick Bassett tra le fila della band nel 2010), mentre sembra più lontana l’eco dei My Bloody Valentine che aveva permeato le partiture di Sunbather. Il motivo del perché si ricorra ai confronti con nomi noti per inquadrare la musica contenuta in Infinite Granite è semplice, in quanto nel comporre il proprio lavoro forse più intimo e sentito di sempre (alcuni testi risultano realmente toccanti) i Deafheaven hanno rinunciato a una buona dose della propria personalità: la ricerca di sonorità shoegaze vicine a quelle dei propri idoli è lampante ascoltando il disco, ma è difficile trovare momenti nei quali si percepisce di ascoltare qualcosa di realmente originale. Ciò non toglie che nel complesso il disco non sia gradevole da ascoltare, tutt’altro anzi. Ma il tocco così caratteristico della band sembra essere stato messo da parte per far spazio ad una nuova veste sonora, maggiormente legata ad uno stile già ben classificato.
È con questa consapevolezza che ci si deve approcciare all’ascolto di Infinite Granite, così da poter apprezzare – anche con orecchio “da filologo” – brani come la suadente Laments For Wasps, uno degli apici dell’intera discografia della band e composizione che meriterebbe di essere citata come esempio di shoegaze moderno a tutti gli effetti. Gli americani giocano con le proprie influenze, nascondendole tra fiumi di riverberi e delay: e così spicca un pattern ritmico ispirato ai Chapterhouse in Villain, che funge da perfetto contraltare alle chitarre dolci e lamentose che accompagnano la voce purtroppo poco incisiva di Clarke. Come abbiamo già detto, la sfida più grande in questo album l’ha combattuta proprio il cantante, librandosi per la prima volta su melodie celestiali dal gusto pop con tutti i rischi annessi e connessi. Lodevole la prova del frontman, ma è anche vero che si sente in molte occasioni come la voce di Clarke abbia bisogno di migliorare ed essere più precisa, oltre che maggiormente comunicativa. Jack Shirley ha fatto un buon lavoro nell’amalgamare la voce al resto degli strumenti, ma se la band vorrà continuare su questa strada allora bisognerà cercare modi migliori per valorizzare il timbro pulito del cantante. Al contrario emerge con forza il lavoro eccellente di Daniel Tracy dietro la batteria: è il suo il tocco più fantasioso e personale applicato alle impalcature strumentali dei propri compagni e la produzione riesce a rendere giustizia al musicista esaltando anche le finezze più minute. Merita poi una menzione la figura di Justin Meldal-Johnsen, polistrumentista già al servizio di Beck, Nine Inch Nails e molti altri artisti e qui impegnato sia in fase di produzione che di arrangiamento, soprattutto per quel che riguarda l’elettronica. La mano del musicista è percepibile in molti frangenti e sicuramente il lavoro di produttore per un disco ampiamente celebrato come Hurry Up, We’re Dreaming (2011) degli M83 ha segnato il proprio modo di trattare i suoni; i sintetizzatori che costellano tutti i brani di Infinite Granite ne sono una buona prova e il climax che caratterizza episodi come la sorprendente Mombasa rende in egual modo l’idea. Il lungo brano che chiude l’album unisce idealmente questi nuovi Deafheaven ai “vecchi”, grazie ad una costruzione sapiente che muove da un’introduzione cantilenante dominata dai riverberi ad una tensione sempre crescente, la quale culmina con un exploit inequivocabilmente blackgaze, dove Clarke torna a ruggire come un tempo. Nel mezzo c’è di tutto, dallo shoegaze al dream pop passando dal post rock, il tutto per arrivare all’esplosione finale, vera e propria catarsi dell’intero disco, durante la quale Daniel Tracy torna ad un blast-beat più canonico, ma ideale per concludere l’opera. Non è questo il miglior brano di un disco che punta da tutt’altra parte, ma certamente questa parentesi più vicina al black metal non lascia certezze sul futuro della band, che a questo punto non è ancora scritto. Curioso che il brano di apertura, Shellstar, si ponga in netta contrapposizione con Mombasa, risultando l’episodio più classicamente shoegaze di tutto il disco. Il gioco dei contrasti funziona ancora bene, tutto sommato.
Il difetto più vistoso di Infinite Granite però non sta nella prova vocale di George Clarke, la quale comunque con gli ascolti risulta via via sempre più apprezzabile, ma nella mancanza di un vero pezzo da novanta in scaletta, un brano capace di rimanere impresso nella mente dell’ascoltatore in maniera totalizzante. Ci va vicino il singolo In Blur, ma siamo lontani da un episodio davvero memorabile. Anche il ritornello di The Gnashing potrebbe diventare un classico in sede live, ma ancora una volta manca la scintilla capace di rendere il brano indimenticabile. E funziona così per tutto il resto della scaletta, provocando l’antipatica sensazione, una volta terminato l’ascolto, di non ricordare davvero nulla di ciò che si è appena ascoltato. Attenzione, non si parla di noia nella maniera più assoluta, così come non si parla di una cattiva scrittura, sebbene siano ben percepibili le influenze, tutt’altro. In Infinite Granite manca una Just Like Honey, una Only Shallow, una Catch The Breeze o una Black Metallic capace di elevare il disco ad un livello più alto di interesse e memorabilità. Questo è l’unico vero neo di un album formalmente quasi impeccabile, strumentalmente ineccepibile e sicuramente amato dalla folta schiera di fan dello shoegaze e dei generi più affini. La speranza è che i Deafheaven si dedichino ancora di più a questa nuova veste lontana dal metal per approfondire ulteriormente il discorso iniziato in Infinite Granite, migliorando dal punto di vista vocale e cercando di andare ancora più in profondità nella ricerca della melodia vincente. Ma non pensiamo al futuro ora e godiamoci quest’ora scarsa di rock sognante ed etereo, assaporando gli ultimi giorni d’estate con le sensazioni agrodolci e nostalgiche che questi nove brani sanno trasmettere.
Before a violet peeling showed teeth glowing Horizons fleeing, lilacs swaying When it takes you, you'll be remembered Young and kind for all time.
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Ero arrivato al precedente, questo non lo avevo ancora ascoltato. Ebbene... è un grandissimo lavoro, godibilissimo, c è un po\' di tutto e tutto ben amalgamato. Non stanca mai. Ottimi come sempre i Deafheaven. |
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Ah che dolore quest\' Album.. Nel finale fan capire che se volessero, sarebbero ancora quelli di Sunbather , ma andando a ritroso, quasi sempre, solo innocua morbidezza.. Peccato! |
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Ascoltsto di recente, non mi piace, molto morbido, forse troppo |
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I Deafheaven dei primi 3 album sono come gli Emperor di Anthems con scelte armoniche alla Slodive e My Bloody Valentine. Per far capire il livello di estremismo sonoro. Il quarto cambia un po\' le carte diventanto più rock oriented, ma il black e lo screaming rimangono protagonisti assoluti. Qua mi sa che le cose son cambiate parecchio.. Purtroppo è l\'unico che non ho ascoltato. |
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Eh Rob Fleming, dei Gruppi da Te citati, conosco poco o nulla.. Vorrà dire che un ascolto glielo darò. |
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@Lucio77 dipende come definiresti Ride, My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain, Chapterhouse,Slowdive e compagnia...i Deahheaven con questo disco suonano musica accostabile a questi gruppi. Con un paio di inserti in screaming |
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Premessa: non ho letto la Recensione, ma vedo la dicitura Alternative Rock.. Cambio radicale delle Sonorità? |
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Anch\'io i loro dischi li sto recuperando pian piano... posso consigliare anche gli Astronoid, voce molto particolare ed \"angelica\" il totale contrasto con le sfuriate black degli strumenti! |
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Questo non lo ho ascoltato.. I due precedenti sono dei Babà.. |
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Aggiungo ora perché mi sono tornati in mente: Germ, Autumn\'s Dawn (questi due side project di Timothy Yatras degli Austere), Midnight Odyssey (non il debutto, quello dopo, chiaramente ispirato a Electric Light Orchestra) e, se non ricordo male, gli ultimi due di ColdWorld dovrebbero essere il larga parte con voce pulita e strumentali. |
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Ok. grazie per la consueta preziosa dritta. Approfondirò |
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I progetti black metal/blackgaze con voce solo pulita si contano sulle dita di una mano, anche perché ormai è un cliché pre-stabilito dagli anni 80 che non si smuoverà facilmente. Oltre agli Alcest già segnalati, ci sono pochi altri progetti, tipo Sgàile, Saor, Sadness di Damián Antón Ojeda, che però è di retaggio Emo-core come Sunbather, forse i Kayo Dot (formati dai membri dei Maudlin of the Well) che però hanno fatto un po\' di tutto, più comuni sono quelli dove la voce pulita c\'è ma non è prevalente (Agalloch, Fen, Austere, Great Cold Emptiness, Ethereal Shroud) e altri progetti della Flowing Downward (sub-etichetta della Avantgarde Music). |
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Ahia...ci siamo capiti.. |
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@Galilee: lo farò, premettendo che l\'importante che in Sunbather la voce non sia solo...ci siam capiti. |
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Ti consiglio Sunbather, favoloso. E magari dai un ascolto ai White ward, che sono meno shoegaxze, ma hanno il Sax che spacca. |
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Gran bella scoperta degli ultimi tempi. Grazie al sito ho scoperto un nuovo genere - il blackgaze - e un paio di gruppi tra cui questi Deafheaven. Nulla da dire o aggiungere in più rispetto alla recensione. Tolti i due episodi in cui si sente uno screaming che non urta, ma impreziosisce Villain e Great mass of color, per il resto sembra di essere di fronte a Ride/Chapterhouse/Jesus and Mary Chain...In Mombasa in alcuni momenti ci ho pure sentito i Talk Talk. 80 |
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Ricorda tantissimo i klimt 1918 di Sentimentale/Jugend, disco dell'anno questo "Infinte granite" |
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Un ottimo passo indietro rispetto al coraggioso predecessore è sempre un bel sentire però |
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@l’imbonotore: vabè però non puoi dire i MBV inflazionati. È come dire che lo sono i Metallica o gli Slayer per il thrash o i Maiden per l’Heavy. Lo shoegaze esiste soprattutto per i MBV. Tra l’altro se hai gli impianti sonori giusti ti consiglio anche di sentire come cambia il suono fra il disco originale del 91 (intendo Loveless) e il remaster dalle pellicole analogiche. Insomma, loro, come ad esempio gli Swans hanno fatto della ricerca della resa sonora il loro lavoro almeno quanto la composizione. |
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No sul serio non conoscevo tale genere musicale, sicuramente andrò ad ascoltare gli Alcest. Parlando di Shoegaze classico , di quel periodo li forse la band che meno ho amato sono stati proprio i MBV, bravissimi per carità , ma non so..... troppo inflazionati. Ride e Kitchen formidabili band, i That Uncertain Feeling non li conosco e vedghò di reperire i logho lavori. Grazie per i consigli e caghi saluti |
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@ l'imbonitore : davvero non conoscevi il blackgaze ? o mamma devi assolutamente recuperare "souvenires d'un autre monde" degli alcest e tutti i loro atri lavori , sono fantastici . |
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@L'imbonitore: le mie band preferite sono i Ride e i Kitchens of Distinction. Sì ok anche i MBV ma è troppo facile. ps: una meravigliosa cometa anni '90 che univa shoegaze al britpop sono i That Uncertain Feeling. |
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Io di questa band e della scena Blackgaze ne sapevo niente. Da grrrrande amante dello shoegaze mi addentrerò alla scoperta di questa band. Sono contento che siano stati citati i Chapterhouse, molto spesso dimenticati, quando in realtà il loro album Whirpool è bellissimo. Un altra band spesso non molto nominata ci sono i Catherine Wheel, Ferment eeeee Chrome due capolavori di shoegaze più roccioso, tra l'altro il cantante e chitarrista Rob Dickinson eeeeeé il cugino di Bruce. Caghi saluti |
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Secondo me è anche meglio di Sunbather. Perché hanno finalmente di fare metal estremo a tutti i costi. hanno smesso di usare quelle urla totalmente fuori luogo alle composizioni shoegaze ma ben dense. Tutto l'album è un perfetto lavoro dream-rock. Un dream-pop che piano piano si sposta su sentieri ben più corposi; una via di mezzo fra gli Anathema e i Nothing. Mi piacciono anche i climax che acquistano corpo e distorsioni. Magari possiamo dire che mancano delle melodie che rimangono in testa, ma questo può far parte di un discorso più ampio. A mio avviso però un lavoro molto maturo e finalmente serio.
ps: consiglio anche l'ultimo dei Lantlos, che hanno sviluppato una parabola simile ma sono finiti da un'altra parte non così lontana. 82. |
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La prima volta che ho ascoltato il primo singolo, Great Mass of Color, ci sono rimasto di merda. Non perché fosse un brutto pezzo, ma perché non mi aspettavo un accontonamento dello scream e dei blastbeat. Sì, ci sono pezzi come Night People e Near (uno dei miei pezzi dei DH preferiti), ma avendolo messo come singolo era ovvio che stavolta la direzione dell'album sarebbe stata più netta. Con gli ascolti successivi e gli altri singoli ho cominciato a gasarmi nell'attesa dell'album. Che non mi ha deluso. Anzi. Personalmente lo ritengo il mio album dell'anno, checché ne dica la critica (ho letto altre recensioni deluse, anche più di questa). Forse solo il nuovo Emma Ruth Rundle che arriverà a fine anno potrebbe competere, vedremo. |
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Band che seguo dal suo esordio ed ho sempre apprezzato in ogni suo album. I singoli di questo nuovo lavoro però non mi hanno convinto. Lo ascolterò comunque per curiosità. |
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Bella recensione che però non invoglia per niente all’acquisto (forse neanche all’ascolto), che io però farò a prescindere. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Shellstar 2. In Blur 3. Great Mass Of Color 4. Neptune Raining Diamonds 5. Lament For Wasps 6. Villain 7. The Gnashing 8. Other Language 9. Mombasa
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Line Up
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George Clarke (Voce) Kerry McCoy (Voce, Chitarra, Synth) Shiv Mehra (Voce, Chitarra, Synth) Chris Johnson (Voce, Basso) Daniel Tracy (Voce, Batteria, Percussioni)
Musicisti Ospiti: Chelsea Jade (Voce su tracce 3, 9) Justin Meldal-Johnsen (Voce su tracce 3, 8, 9, Chitarra su traccia 9, Fender Bass VI su traccia 2, Synth su tracce 4, 6, 8)
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