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05/12/24
EMBRACE OF SOULS + DERDIAN + BERIEDIR
DRUSO, VIA ANTONIO LOCATELLI 17 - RANICA (BG)
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Jerry Cantrell - Brighten
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30/10/2021
( 4132 letture )
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Quando ti chiami Jerry Cantrell puoi benissimo non porti alcun problema nel confezionare un album solista totalmente autoprodotto, chiamando ospiti dalla caratura elevata e suonando la musica che più ti si addice in questo momento della tua vita, poco importa se i fan più aficionados rimarranno interdetti o peggio delusi. Sembra proprio questa la linea rossa che ha portato alla composizione e alla pubblicazione di Brighten, il nuovo disco del fondatore dei mai troppo celebrati Alice In Chains e quarto lavoro da solista a distanza di ben diciannove anni dall’ultimo Degradation Trip (considerando anche l’uscita dello stesso disco in versione doppio cd, sempre nel 2002). E viene spontaneo pensare che Cantrell abbia voluto staccarsi in maniera netta dalla carriera della sua band madre per lasciare spazio ad una personalità più intima e matura, che si abbina bene a termini come riflessività e pacatezza. Bisogna scordarsi dunque riff rocciosi a cavallo tra alternative metal e stoner rock – prerogativa di un album come The Devil Put Dinosaurs Here del 2013 – ed anche le atmosfere tipicamente grunge del periodo d’oro degli Alice In Chains qui sembrano lontane. La scelta del chitarrista e cantante di Washington infatti è rivolta ad una rivisitazione del passato, inteso in termini esplicitamente personali, ma anche “storici”: in pratica Brighten corrisponde alla visione del rock a tutto tondo da parte del suo autore, che si concentra su sonorità e stilemi anni ’70 influenzati in larga parte dal country e dal blues. Tutto quindi richiama quel preciso stile “americana” condito da pedal steel guitar, organi e archi, costantemente appoggiato su tempi medi che ben si confanno allo stile compositivo di Cantrell.
Che il disco si sarebbe mosso su queste coordinate era piuttosto prevedibile, dal momento che era da qualche mese che il musicista aveva iniziato a postare foto di sé e stories su Instagram che lo ritraevano in abiti vintage nel bel mezzo di paesaggi sabbiosi color seppia; una dichiarazione rilasciata a Rolling Stone in occasione della pubblicazione del primo singolo Atone chiudeva il cerchio, con l’ammissione da parte del chitarrista del suo amore incondizionato per la musica di Ennio Morricone per i film di Sergio Leone, presa come ispirazione per questo nuovo album. In effetti non si può non pensare alle atmosfere western del compianto compositore italiano una volta che le chitarre acustiche si librano nell’aria introducendo il primo brano del disco: la ritmica è sghemba, ma serrata, e il suono tagliente delle chitarre viene compensato dal timbro iconico e immediatamente riconoscibile di Jerry Cantrell, il quale non rinuncia mai alle sue proverbiali armonizzazioni vocali – grazie agli interventi discreti, ma di valore, di assi come Greg Puciato e Lola Bates – riuscendo a scrivere linee melodiche sempre funzionali e spesso memorabili. Atone è un brano che inizialmente non lascia molto all’ascoltatore (e come primo singolo in effetti, a conti fatti, risulta una scelta perlomeno curiosa), ma cresce decisamente con gli ascolti fino a diventare un punto cruciale dell’intero album. Già dal pezzo di apertura dunque si evidenziano la centralità degli strumenti acustici e della voce, unitamente a testi che, da tradizione “cantrelliana”, risultano talvolta notevoli, con risvolti personali intensi a livello emotivo. Bastano poche parole per intessere un brano devastante nella sua semplicità come Prism of Doubt, con quel suo costante sbilanciamento tra tragicità e spensieratezza, la prima tratteggiata dal testo e la seconda dagli accordi solari e leggeri della chitarra acustica. Nelle strofe è la maestria di Michael Rozon a farla da padrona, con gli svolazzi della sua pedal steel guitar che si incastrano alle sezioni corali in corrispondenza dei ritornelli, mentre Cantrell trova spazio anche per uno dei suoi begli assoli sul finale. Niente potrebbe essere perfezionato ulteriormente in questo pezzo. Non si è ancora fatto cenno alla produzione di Brighten, ma basti sapere che i nomi coinvolti dietro il banco del mixer e alle prese con il master finale rispondono a quelli di Joe Barresi (Queens Of The Stone Age e Tool fra gli altri) e Tyler Bates, compositore per il cinema e autore di colonne sonore importanti come quella per la serie di film John Wick o per i due Halloween di Rob Zombie; ma la lista sarebbe ben più lunga. Infine, oltre allo stesso chitarrista, ha lavorato al disco anche l’ingegnere del suono Paul Figueroa, collaboratore di lunghissima data di Cantrell. Tutto questo per dire che anche da questo punto di vista l’album non presenta difetti ed anzi, in un’epoca dominata dal digitale, Brighten suona come un disco vivido e dinamico, nel quale ogni strumento ha il suo spazio e l’ascolto risulta incredibilmente appagante. Il perfetto bilanciamento tra parti folk e momenti più propriamente rock è ottenuto con sapienza e quando la chitarra distorta fa il suo ingresso nei brani è sempre un tripudio di dinamica ed intensità.
Se proprio si volesse identificare il momento più vicino agli Alice In Chains in scaletta questo lo si potrebbe trovare ascoltando Had to Know, brano totalmente volto al rock con gustosi interventi organistici à la Deep Purple, ma condotto da linee vocali che potrebbero arrivare dritte dalle sessions di Rainier Fog; se si volesse provare a tracciare un parallelo tra Brighten e la band madre del chitarrista americano questo ci porterebbe infatti all’ultimo album del gruppo, pubblicato nel 2018: già qui alcune inflessioni smaccatamente acustiche si potevano percepire e parliamo di influenze ben lontane da quelle di dischi memorabili come Jar Of Flies (1994), maggiormente orientate al coevo grunge; in questo caso, come già ripetuto altre volte, si guarda ben più indietro nella storia della rock, arrivando ai suoi albori. Che si tratti di crisi di mezza età o pura vogli di riscoprire le proprie origini non ci è dato saperlo, ma ciò che è certo è che questo approccio funziona dannatamente bene. La perla assoluta di Brighten non è tenuta a fine scaletta, ma è posta nella prima metà dell’album e si intitola Black Hearts and Evil Done; in questi sei minuti Jerry Cantrell si prende tutto il tempo per costruire un’altalena emotiva che inizia in sordina con un accompagnamento folk morbido e pacato e si evolve poi in una semi-ballad elettrica esaltata dalle tastiere e dai controcanti angelici di Lola Bates. Le chitarre non si sprecano in chissà quali virtuosismi, ma eseguono il loro lavoro nell’unica maniera possibile, ovvero suonando le note giuste al momento giusto, una cosa nient’affatto banale a pensarci bene. La voce del chitarrista è qui sfruttata al massimo delle proprie possibilità, con un range dinamico e timbrico che continua a sorprendere ed emozionare anche dopo più di trent’anni di carriera. Il risultato finale è ancora una volta perfetto sotto ogni punto di vista e suona moderno anche se stilisticamente guarda indietro verso un modo di fare rock che oggi quasi non esiste più. È quasi un peccato giungere alla conclusione del disco con i due brani meno brillanti di tutta l’opera: sebbene non si possa assolutamente parlare di pezzi brutti o malriusciti Nobody Breaks You e Dismembered non fanno altro che riciclare formule già utilizzate nei brani precedenti e quasi appesantiscono l’ascolto complessivo. Nonostante ciò il gran finale è affidato ad una cover, che dura meno di due minuti, ma colpisce dritta al cuore: la riproposizione di Goodbye di sua eccellenza Elton John – estratta dal capolavoro Madman Across the River del 1971 – è stata approvata dallo stesso compositore inglese, il quale aveva già suonato il pianoforte nella titletrack di Black Gives Way to Blue del 2009 (un brano dedicato all’indimenticato Layne Staley), e si presenta in una veste ancora più intima dell’originale, dominata dal timbro caldo e profondo di Cantrell (che all’inizio ricorda incredibilmente Mikael Åkerfeldt!) e dal suono avvolgente degli archi e del pianoforte. Una chiusura affascinante, inaspettata, ma tremendamente potente.
Illuminare, schiarire: questo è il significato di Brighten e sembra che Jerry Cantrell voglia veramente portare un po’ di luce all’interno della sua musica, da sempre in bilico tra chiarore ed oscurità, ma tendenzialmente più rivolta a quest’ultima. Nella storia artistica del chitarrista di Washington si sono alternati momenti contrastanti, sempre contrassegnati da una coerenza stilistica e personale invidiabile, anche di fronte al pesantissimo fardello dell’eredità lasciata da Layne Staley. Una volta dimostrato al mondo intero che gli Alice In Chains possono essere ancora oggi un gruppo cardine nel variegato universo rock/metal e assodato il fatto che la band poggia le sue radici nel songwriting del chitarrista, ecco che Cantrell conferma nuovamente se stesso anche nella sua veste solista, cambiando le regole del gioco e portandole dove gli è più congeniale, adattando uno stile già più che sviscerato al proprio modo di intendere la musica, riuscendo a comporre un’opera di grande livello con una maestria ormai più che consolidata. Di sicuro Brighten non si porrà come un caposaldo della musica rock attuale, ma riesce ad essere un ottimo disco autentico e genuino in un periodo storico dove queste caratteristiche sono sempre più rare. La visceralità che fuoriesce da ogni accordo e che riveste le melodie dei brani è esaltata da un comparto strumentale di pregio che, oltre ai nomi già fatti, vede al basso Duff McKagan dei Guns N’ Roses e alla batteria Gil Sharone dei The Dillinger Escape Plan e Abe Laboriel Jr., già alla corte di Sir Paul McCartney. Il merito più grande però va comunque sempre a lui, a Cantrell, autore che sembra non perdere un briciolo di lucidità e raffinatezza e che più avanza con l’età e più riesce a far fruttare la propria esperienza di compositore e performer. E se di fronte a presunte crisi di mezza età di vari musicisti noti provenienti dall’epopea grunge abbiamo visto un avvicinamento al folk e a ritmi più pacati che ha prodotto perle di indiscutibile bellezza – pensiamo a dischi recenti come Ogilala di William Patrick Corgan del 2017 o Elastic Days del 2018 di J Mascis – ecco che Brighten si pone un passettino oltre, amalgamando queste inedite tendenze ad una scrittura che mantiene intatta una personalità debordante. Seriamente candidato per un posto tra i migliori dischi rock del 2021 Brighten si rivela infine un album da ascoltare assolutamente e da godere fino in fondo, lasciando che gli ascolti reiterati aumentino le belle sensazioni che la musica sarà in grado di trasmettere fin da subito. Jerry Cantrell non delude e si conferma come una delle figure artistiche più emblematiche della nostra contemporaneità. Applausi a scena aperta.
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Comunque Siren Song l\'ho rivalutata non poco,. magnifico pezzo |
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Non ho mai ascoltato gli altri album solisti di Cantrell e quindi non posso fare paragoni ma questo mi piace molto e continuo ad ascoltarlo, lo trovo..ipnotico..80 ci sta |
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Il meno ispirato dei tre album solisti di Cantrell, comunque più che discreto. |
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Difficile per me commentare un album degli Alice oppure di Cantrell, in quanto per me e la cosa potrebbe risultare strana, loro li considero degli amici, in quanto hanno talmente accompagnato la mia vita, che ogni volta che ascolto qualcosa di loro, il cuore mi si apre. Vena romantica a parte, questo disco alterna belle canzoni come Atone, Had to Know, Black hearts and evil done ad altre più scontate, ma comunque ben eseguite e cantate dalla magica voce di Cantrell. Un disco da ascoltare in auto o in riva al mare al tramonto (se non altro per non doversi sorbire quegli orribili Happy Hour e la loro sciatteria).Il cuore direbbe 100, la testa 60...quindi per me un 80 ci sta tutto. |
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Mmmmm ma perché mi devo ritrovare sto Matteo ovunque...???? > |
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Bestia assatanata,Ma perché non scrivi te un cazzo di disco, (edit), a me il disco piace e anche tanto, (edit).. e x me è da 85 |
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un altra spiderbite c' è ????? il video e le prime mi paiono quel che devono essere , non male , davvero , certo manca la freschezza delle prime idee , che sono debitrici dell ' ispirazione che gli 80 / 90 hanno dato al mondo , io amo quel periodo , ma non si puo rimanere sempre bloccati la , bravo jerry che buon pro gli faccia il suonare , magari ci diventa come jonny cash , che piu matura e piu è figo |
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@broken arrow veramente è l'unica che riesce a trasportarmi, che riesce a trascinarmi in quel deserto in bianco e nero che si vede nel video... Il resto, a partire dalla title track, lo trovo veramente dozzinale e per niente ispirato... Siren Song poteva salvarsi ma neanche... Quali brani ti hanno colpito particolarmente a te? |
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Bella recensione. Lo ascolterò |
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Sono innamorato degli Alice in Chains e ammiro il talento assoluto di Cantrell. L'album è carino, niente di più. Voto 65 |
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@bestiaassatanata: Atone è la più impersonale del disco ed è forse la più noiosa a causa dell'assenza di un'apertura melodica degna di nota...e tu dici che è l'unica decente, vedi te.... |
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Purtroppo però non posso dire la stessa cosa di sto disco... |
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I dischi degli Alice con Duvall sono senz'altro splendidi, tra l'altro anche cantrell canta e cantava quindi l'anima del gruppo è comunque intatta |
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Sottolineo che Atone è un grande pezzo di grande atmosfera... Siren Song poteva essere altrettanto ma ascoltandola si perde, diventa immediatamente noiosa quando aveva un ottimo potenziale... Il resto inutile commentarlo, più piatto di una sogliola... |
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Che poi di nuovo, tanti a cui piacerà sto dischetto saranno gli stessi che dicono "eeeh ma gli AIC senza Layne Staley non sono niente" e bla bla bla, mentre i dischi con Duvall alla voce sono tutti bellissimi tant'è che sono andato fino a Zurigo a vederli dal vivo. Mi spiace per Jerry che adoro ma quest'album veramente poteva risparmiarselo, e non certo perché "non suona come gli AIC"... |
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Adesso se anche sto disco è un capolavoro veramente mi incazzo... Salvo solo Atone di sto disco, il resto è veramente una palla incredibile, banalissimo e noioso da morire |
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Non avrai chiesto una spiegazione, ma se devi criticare almeno fallo in maniera fondata allora. |
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Vabbè però dai non è antipatico |
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Perchè Tino non è bravo quanto i Mazzeskin |
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Ma perché ti sta sul cazzo Vasco? |
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Non ho chiesto una spiegazione, ho giudicato pesantemente la scelta, per me termina lì. |
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È nella categoria "autoprodotti", c'è scritto sopra.... poi in alto risulta ancora 'demo' (temo perché autoprodotti scompaginerebbe la homepage). Comunque è abbastanza leggibile, mi sembra. |
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Non so se mi fa più schifo il 30 messo da chissà quale imbecille o il fatto che questo lavoro,perchè autoprodotto, è nella categoria demo |
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Capisco che Jerry Cantrell canta quello che vuole in base a ciò che prova in un momento della sua vita, ma addirittura dare 81 a questo disco?! Un disco noiosissimo, vuoto (almeno musicalmente), veramente generico e piatto come una sogliola... Addirittura un voto più alto di Boggy Depot, che era mille volte meglio??? No va be dai, ci stiamo prendendo in giro dai... |
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LO ascolterò attentamente....... |
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Jerry è una garanzia di qualità. Ennesimo bel album |
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Non ci vedo tutta questa particolarità, anche Dave Mustaine fa lo stesso da quando ha la sua Tradecraft. Eppure non avrebbe senso mettere gli album dei Megadeth al livello di un demo. Jerry ha fatto quello che fanno spesso i registi per non subire pressioni: si è creato la Double J Music. |
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@esme Non è messo in questa sezione perché è un demo, ma perché è un album autoprodotto. Non è uscito per nessuna etichetta. Se poi parliamo di distribuzione ecco che certamente il disco è distribuito da Warner, Audioglobe etc etc. Ma la particolarità di "Brighten" è che è un lavoro totalmente indipendente e per l'appunto autoprodotto. |
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Demo? È uscito per la Warner |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Atone 2. Brighten 3. Prism of Doubt 4. Black Hearts and Evil Done 5. Siren Song 6. Had to Know 7. Nobody Breaks You 8. Dismembered 9. Goodbye
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Line Up
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Jerry Cantrell (Voce, Chitarra, Basso, Tastiere)
Musicisti Ospiti: Greg Puciato (Voce) Lola Bates (Voce) Joe Barresi (Triangolo) Michael Rozon (Pedal Steel Guitar) Matias Ambrogi-Torres (Archi) Tyler Bates (Archi, Chitarra, Percussioni) Vincent Jones (Archi, Pianoforte, Tastiere, Wurlitzer, Organo) Jordan Lewis (Pianoforte) Duff McKagan (Basso) Gil Sharone (Batteria, Percussioni) Abe Laboriel Jr. (Batteria)
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RECENSIONI |
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