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07/02/25
LITTLE TIL AND THE GANGBUSTERS
CIRCOLO MAGNOLIA, VIA CIRCONVALLAZIONE IDROSCALO 41 SEGRATE (MI)
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Funeral - Praesentialis in Aeternum
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20/02/2022
( 1437 letture )
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Interrompere un silenzio durato nove anni, proponendo un nuovo album, è un lusso che in pochi si possono permettere. I Funeral, però, non sono una band come le altre. Può sembrare banale e ormai scontata come affermazione, ma è solo la realtà dei fatti. I norvegesi possono vantare una carriera ormai vicina al trentennale, che li ha portati a essere uno dei primi fondatori del genere funeral doom, a cui hanno di fatto dato il nome, aggiudicandosi anche la non scontata idea per l’epoca di avere una voce femminile nei propri ranghi. Purtroppo, i numerosi cambi di formazione hanno a lungo funestato la stabilità della band, che nei primi anni di vita ha registrato molto, ma pubblicato assai poco, tanto che dal primo demo Tristesse del 1993 in otto anni i Funeral pubblicheranno solo due album, Tragedies (1995) con Tori Snyen alla voce e In the Fields of Pestilent Grief nel 2001 con Hanne Hukkelberg, dopo aver iniziato la registrazione di un altro album, poi rimasto un demo e abbandonato fino alla ripubblicazione nel 2010, dal titolo To Mourn Is a Virtue con Sarah-Helene Eick, in mezzo ai due. A peggiorare la situazione, il suicidio del bassista Einar Andre Frediksen nel 2003, che portò alla quasi totale rifondazione del gruppo. Solo l’arrivo del nuovo cantante e bassista, Frode Forsmo, sembrò portare stabilità nella band, con la pubblicazione di quello che è ritenuto il loro miglior album, From These Wounds nel 2006, a cui fece però subito seguito la morte dello storico chitarrista Christian Loos per overdose. Rialzatisi ancora una volta, i Funeral pubblicheranno As the Light Does the Shadow nel 2008, per tornare poi in silenzio fino al 2012, anno in cui verrà pubblicato Oratorium con ancora una nuova formazione, nella quale figurava un nuovo cantante, Sindre Nedland. Una storia travagliatissima, nella quale l’unico membro originale rimasto, Anders Eek ha dovuto caricarsi più volte sulle spalle il peso della responsabilità di un nome comunque importante e rispettato, che dal funeral degli esordi aveva pian piano inserito nuovi elementi, prendendo dal death doom e dal gothic metal e inserendo infine nell’ultimo album anche elementi sinfonici, per arricchire una proposta che via via è rimasta sempre personale e a suo modo unica. Il lungo intervallo che divide Oratorium da Praesentialis in Aeternum è facilmente spiegato: il tempo passa, la musica non è più un lavoro, i colpi inferti dalla vita lasciano il segno e quindi, pur continuando a scrivere e registrare nuove idee, per i Funeral e Anders Eek è il momento di una pausa. Almeno finché non è proprio Sindre Nedland a scuotere il batterista e riportarlo alla propria creatura. Tirati fuori i nastri registrati negli anni non resta che rimettere insieme la formazione e lavorare sulle canzoni già ideate da Eek. Rallentati oltretutto dalla pandemia, che ha reso difficile perfino provare assieme, i Funeral hanno abbastanza materiale per due album, registrano dieci brani, per poi scegliere i sei ritenuti più validi, che andranno a comporre la nuova uscita.
L’intervallo di tempo è davvero notevole, ma l’identità della band è talmente forte che di fatto Praesentialis in Aeternum può e deve essere considerato la naturale prosecuzione del percorso intrapreso dalla band fino a Oratorium, con in particolare gli elementi sinfonici introdotti da quest’ultimo a rivestire una grande importanza. Sin dalla gelida e inquietante copertina i Funeral ci trascinano nel loro mondo andando a creare una sorta di “tasca” nel tempo e nello spazio a loro totale uso e consumo, che rapisce l’ascoltatore e lo proietta altrove. La musica del gruppo è originale e ricchissima, palesemente ancorata al doom solenne ed epico della vecchia scuola Candlemass/Solitude Aeturnus, alla quale si aggiungono i riferimenti classici del death doom di stampo gotico dati dalle melodie chitarristiche romantiche e lancinanti e dall’uso del growl, che affianca la bellissima voce pulita di Nedland, capace di passare da un tono stentoreo profondo e baritonale a soluzioni più romantiche ed eteree, giovandosi poi di numerose sovraincisioni, parti corali e, infine, utilizzando per la prima volta l’idioma norvegese per l’intero album. A questo substrato si uniscono le numerose parti sinfoniche, giocate su ampi interventi di piano, strumenti ad arco e fiati, che conferiscono al disco un’aura eroica, tragica, solenne, perfettamente incastonata nel doom lento ed epico tipico del gruppo. Il risultato lascia spesso a bocca aperta per potenza espressiva e per qualità degli arrangiamenti strumentali, imponenti ed evocativi, e per le splendide parti vocali, a loro volta toccanti ed emozionanti, alle quale l’uso del norvegese non fa che donare ulteriore fascino. Il lavoro bilancia la parte più estrema del sound dei Funeral, sicuramente minoritaria ma non dimenticata, con quella più sinfonica e puramente doom, con risultati di altissimo livello. La musica dei Funeral profuma di antico, di arcano, di saghe eroiche dimenticate dal tempo, ma non perdute. In particolare, è il trittico iniziale a lasciare senza fiato, a partire da Ånd, scelta anche come singolo, nella quale compare come ospite Lars Are Nedland, fratello di Sindre e membro di Borknagar e Solefald. Ma non da meno sono Materie e Erindring I – Hovmod, che vanno a costituire una sequenza con un brano più bello dell’altro: nonostante la durata si aggiri sempre attorno agli otto minuti, infatti, è impossibile non essere rapiti dalla musica evocativa della band, qua davvero ai limiti della perfezione, con l’apice dato forse proprio dal terzo brano, nel quale Sindre si supera letteralmente e le partiture chitarristiche esaltano, con stacchi e melodie splendidi. Purtroppo, nel trittico seguente la lunghezza dei brani aumenta ancora, fino ai quasi dodici minuti della conclusiva Dvelen, ma qualcosa sembra perdersi in termini di efficacia e resa dei brani, che restano ricchissimi di momenti enfatici, ma appaiono appena sfilacciati e ripetitivi. In Erindring II – Fall sono il piano e le armonie chitarristiche a spezzare il fluire del brano, aprendo ai refrain enfatici, ma il risultato nel complesso è un po’ frammentario, mentre Oppvåkning col tipico arpeggio iniziale di chitarra e basso, pur con i bombastici interventi dei corni e le parti corali a esaltare l’epicità guerresca del brano, è invece poco incisiva e stanca. Dvelen è il brano più cadenzato e doom del lotto e sebbene anche in questo caso la lunghezza non sembri del tutto giustificata, l’atmosfera minacciosa e aggressiva che la caratterizza riesce comunque a tenere l’attenzione dell’ascoltatore, sebbene la stanchezza cominci a farsi sentire. In particolare, una delle caratteristiche principali del disco è quella di non offrire melodie facili, che aiutino a dipanare la densa massa dei brani, i quali finiscono per sembrare un unico affresco di quasi cinquantasei minuti, nei quali le differenze tra una canzone e l’altra sono minime e solo ascolti ripetuti permettono di cogliere appieno le tante sfumature e le diverse strutture dei brani. Da un lato questo è una delle caratteristiche più affascinanti di Praesentialis in Aeternum, che lo fanno diventare un album che non si consuma con gli ascolti, da amare per chi riesca a penetrarne la natura; dall’altro lato, questa uniformità potrebbe scoraggiare chiunque altro dal proseguire o riprendere l’ascolto.
Il ritorno dei Funeral è insomma uno di quei dischi che non possono lasciare indifferenti. Il doom con influenze gotiche e sinfoniche creato dalla band è personale e affascinante come pochi altri è capitato di sentirne. Precisiamo inoltre che la versione estesa dell’album comprende anche i tre brani registrati e poi esclusi da quella definitiva, più una cover di Samarithan dei Candlemass. Questo non cambia comunque la sostanza e anzi la enfatizza ulteriormente, dato che la durata arriva così a ottantacinque minuti. Purtroppo, non tutti i brani possiedono lo stesso equilibrio compositivo e la varietà di approccio non è l’arma migliore messa in campo dai norvegesi. Eppure, la qualità delle intuizioni e della realizzazione del disco sono quelle di una band di fuoriclasse ed è perfettamente intuibile in ogni passaggio quanto questo sia un album prezioso e raro. Lo spessore e la ricchezza degli arrangiamenti, il fascino della lingua norvegese e la potenza evocatrice dei brani sono indiscutibili. D’altro canto, non è da tutti rompere un silenzio durato nove anni e tornare con un disco di questo calibro, che richiede sì tanti ascolti, ma offre anche tanta sostanza, la quale giustifica l’impegno richiesto. I Funeral non sono una band come le altre, ma un gruppo capace dopo trent’anni e mille travagli di stupire ancora. Non fateveli sfuggire.
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4
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Bella recensione, ascolterò sicuramente. |
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3
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A me i due singoli avevano fatto impazzire, poi il resto mi ha un pochino deluso |
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2
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Il 2021 oltre la Pan-Porcheria ci ha offerto il ritorno di Skepticism, Pantheist HelLight e appunto, Funeral. C'È da rosicchiare un bel po' per gli appassionati!
In attesa del nuovo Shape of Despair... Il singolo non mi entusiasma ma ho ottime speranze.
Questo Praesentialis in Aeternum devo ancora metabolizzato, ma non mancherò di ascoltare qualche centinaio di volte. |
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1
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Grandissima recensione per una band grandissima. Ho tutti i loro albums e paradossalmente è proprio il titolo del debut ad aver rappresentato la loro storia: Tragedies.
Questo disco suona come il funerale ultimo, mi sa che non faranno altro.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Ånd 2. Materie 3. Erindring I - Hovmod 4. Erindring II - Fall 5. Oppvåkning 6. Dvelen
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Line Up
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Sindre Nedland (Voce) Erlend Nybø (Chitarra) Magnus Tveiten (Chitarra) Andrè Aaslie (Orchestrazioni) Rune Gandrud (Basso) Anders Eek (Batteria)
Musicisti Ospiti Lars Are Nedland (Voce su traccia 1)
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