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27/05/25
BORN OF OSIRIS + INGESTED + ENTHEOS + THE VOYNICH CODE
TRAFFIC LIVE, VIA PRENESTINA 738 - ROMA
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Blue Oyster Cult - Club Ninja
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13/05/2023
( 1523 letture )
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Dopo mille anni in redazione riesco a mettere le mani sui Blue Öyster Cult, tornando per l’occasione indietro di ben 38 anni, in occasione del loro decimo album in carriera. Un po’ di sano viaggio temporale non può che fare bene all’anima, penso mentre sfoglio il booklet dell’album. In modo simile a quello che mi accade per i Rush, tengo a freno il fanboy interiore che cerca di sputare fuori coriandoli come un ninja spaziale. Tra echi di synth e l’eccesso insensibile ma godereccio degli anni ’80 esce Club Ninja, incastonato tra il poco apprezzato The Revölution by Night (1983) e l’oscuro, lungo e fascinoso Imaginos (1988). Il Club, nonostante il periodo difficile e i cambi di line-up, riesce a brillare di luce propria nell’infinità dello Spazio grazie alla solita magia oltre-mondo firmata BÖC. Sì, perché l’unico filo logico che accomuna album come Secret Treaties (1974), Club Ninja e l’ultimo The Symbol Remains (2020) è il DNA, onesto e creativo, del combo di Long Island. E mentre i suoni che attraversano le epoche possono sembrare distanti tra loro, il marchio di fabbrica rimane indelebile. Pronti per un retro-viaggio a cavallo del simbolo immortale? 3, 2, 1…
Alla ricerca della magia perduta: l’iper guru Sandy Pearlman ritrova spazio in cabina di regia per la produzione di Club Ninja, mentre in campo scendono Eric Bloom, Donald “Buck Dharma” Roeser, Joe Bouchand e i nuovi innesti Tommy Zvoncheck (rimpiazzo temporaneo del grande Allen Lanier) e Jimmy Wilcox (in sostituzione di Rick Downey). Il sound principale del 1985 è per forza di cose pendente sulla amata/odiata zona “heavy synth”. Tuttavia, in questo caso e in modo non del tutto naturale, il risultato è più che buono, a tratti esaltante e sorprendente. In una battaglia di laser armonici, AOR di classe, heavy metal e pop-rock si muovono le iniziali e fragorose White Flags e Dancin’ in the Ruins, simili ma distanti nella loro veste camaleontica. Mentre l’opener si vanta di avere uno dei più azzeccati binomi chitarre/tastiere del periodo, con affascinanti progressioni a cura di Donald “Buck Dharma” Roeser e un’interpretazione ipersonica di Eric Bloom, la seconda ci si stampa immediatamente in testa grazie a un chorus studiato per appagare. Hit minore di una distantissima MTV lontana anni luce, Dancin’ in the Ruins è ingenua e catartica. Echi di YES e Asia si accavallano alle immagini post-apocalittiche, inserite in un contesto effettato che richiede un bel po’ di nostalgia per poter essere apprezzato appieno. Dietro a Make Rock, Not War, al di là del testo leggero e spensierato, si nasconde una piccola perla hard/heavy guidata dai tocchi azzeccati di Donald Roeser e Joe Bouchand, con una buona progressione di Jimmy Wilcox l’effettistica funzionale di Zvoncheck. Il solo slabbrato ci lancia verso un breve bridge che riprende il ritornello prima del codino semi-strumentale, tra cori, chitarre e sintetizzatori. Benché suoni quasi tutto perfettamente inserito nel contesto del periodo, sappiamo di non doverci aspettare troppe banalità dai Blue Öyster Cult, ed ecco spuntare fuori l’ennesimo tocco di alta classe con le note liquide di Perfect Water, brano lungo e sfaccettato che viene spesso proposto dal vivo anche in tempi recenti. Le acque perfette, tra armonie vocali, un drumming stentoreo e la bellissima cornice emotiva, si muove attraverso lo spazio-tempo come un vettore destinato a fare breccia. Un assolo brevilineo divide le strofe addolcendoci e preparandoci per un chorus multi-voce pennellato, che richiama la leggendaria (Don’t Fear) the Reaper senza sfigurare. Standing ovation obbligatoria per questo piacevole auto-citazionismo e per il gran finale, dominato ancora una volta dalla bollente sei corde di Buck Dharma. E poco prima di terminare il lato “A”, possiamo tranquillamente incoronare Perfect Water come traccia migliore insieme alla brillante White Flags. Bilanciando brani dal minutaggio contenuto ad altri più stratificati e complessi, Club Ninja si evolve con il rock tout-court di Spy in the House of the Night, che ci riporta in mente ancora una volta Agents of Fortune e Fire of Unknown Origin, mentre Beat ‘Em Up conquista la corona di canzone più caciarona dell’intero lavoro, con il suo mid-tempo divertente, accarezzato dall’attitudine heavy, batteria squadrata e una serie di contro-cori conditi da effetti laser. Beat ‘Em Up strappa un sorriso senza evadere dai confini, mentre la successiva The War Comes Home, introdotta dallo spoken-word dal celebre Howard Stern ci riporta in carreggiata grazie alla sua struttura fuori-schema, i tocchi prog e la tradizionale imprevedibilità dei BÖC. E’ una curiosa carta vincente che anticipa in qualche modo alcune delle idee liquido-progressive del Mad Canuck Devin Townsend. Tra idee innovative, richiami al passato storico e qualche divertissement, il club dei ninja spaziali si muove un po’ goffo un po’ elegante tra le casse del nostro stereo, mentre gli anni ’80 ci richiamano e reclamano a gran voce. È il turno di Shadow Warrior, che ha il compito di anticipare la chiusura affidata alla lunga Madness to the Method. Shadow Warrior si fa apprezzare per il suo spirito da “contenitore”, racchiudendo in sé un po’ tutte le influenze dell’album: alcuni passaggi sembrano figli di White Flags, altri sembrano un’espansione adulta di Dancin’ in the Ruins, altri ancora riprendono il concetto di The War Comes Home, migliorando la resa sonora grazie soprattutto al pregiato dualismo Bloom/Roeser (ascoltate il bridge per credere). Shadow Warrior fa quindi fede al titolo fiero e si posizione tra le migliori canzoni del lotto, se non altro per la sua spettacolare potenza strumentale, heavy e imprevedibile.
Chiudiamo il capitolo 1985 con la succitata Madness to the Method, mini-suite che non fa altro che confermare lo strapotere compositivo dei Blue Öyster Cult privi di briglie e schemi. Lunga, sospesa nel tempo e assolutamente magnetica nel suo incedere altisonante, tra prog, hard rock e fantascienza. Qualche coro da limare non inficia il giudizio complessivo di Madness to the Method, che rimette in risalto le tastiere di Tommy Zvoncheck e il basso di Joe Bouchand. Si potrebbe francamente scrivere e parlare all’infinito dei Blue Öyster Cult, analizzando ogni aspetto del loro fantasmagorico song-writing che ci accompagna da cinquant’anni. Per ora ci limitiamo a riascoltarci questo spassoso e -perché no- elegante Club Ninja, uno spudorato affresco iper-vitaminizzato di metà anni ’80.
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10
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Disco piuttosto bistrattato ed in effetti probabilmente il meno riuscito nella discografia dei BOC, con molti brani scritti da autori esterni al gruppo e senza due membri storici. Nonostante tutto un disco più che discreto, sebbene molto anni \'80 e stilisticamente distante dai classici del gruppo. |
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9
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capolavoro. L\'unico disco dei BOC che riesco a sentire dall\'inizio alla fine |
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8
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Un buon album di Aor ma con sempre il solito velo di cupezza che ci ricorda
Che sono sempre i Blue Oyster cult. |
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7
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Un buon album senza dubbio, ogni tanto si sente un po’ il profumo tipicamente anni ‘80 per i suoni e anche per qualche refrain (Beat’em Up per esempio), il che non è assolutamente un male se i pezzi sono validi. Chiaramente non riesco a metterlo sullo stesso livello di un Fire of Unknown Origin, ma… avercene di album “minori” così. Il voto 78 ci può stare… ma non di meno. |
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6
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La sola Perfect Water vale l\'acquisto di questo disco... e anche alcune discografie di altri gruppi 😀, condivido voto 78 |
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5
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Ho cercato il vinile per anni e poi l\'ho ascoltato solo una volta o due... buona occasione questa per riprenderlo in mano |
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4
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L\'album è buono sì, ma se dovessimo trovare l\'anello debole nella loro discografia sarebbe indubbiamente tra i candidati. I capolavori della band sono altri, lo sappiamo. |
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3
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Corretto. Ma se stai a vedere, ogni album dei BOC diciamo post anni 70 viene in un qualche modo sminuito. La cosa fa abbastanza ridere, considerando che ognuno e’ -a modo suo- fenomenale e unico. |
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2
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Grande album, sempre amato, mai capito le critiche. |
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1
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Adesso manca la recensione del meraviglioso Heaven Forbid e di The Revolution By Night, come scritto nella recensione poco apprezzato ma ottimo |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. White Flags 2. Dancin’ in the Ruins 3. Make Rock, Not War 4. Perfect Water 5. Spy in the House of the Night 6. Beat ‘Em Up 7. When the War Comes 8. Shadow Warrior 9. Madness to the Method
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Line Up
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Eric Bloom (Voce) Donald “Buck Dharma” Roeser (Voce, Chitarra) Joe Bouchand (Chitarra, Basso, Voce) Tommy Zvoncheck (Tastiera) Jimmy Wilcox (Batteria)
Musicisti Ospiti: Phil Grande (Chitarra) Kenny Aaronson (Basso) Thommy Price (Batteria)
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RECENSIONI |
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