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17/10/24
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SLAUGHTER CLUB, VIA ANGELO TAGLIABUE 4 - PADERNO DUGNANO (MI)
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Dool - The Shape of Fluidity
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13/09/2024
( 1271 letture )
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Come dare forma a ciò che è fluido? Se un liquido o un gas tendono ad occupare lo spazio a disposizione, l’unico modo per poter dar loro forma è attraverso l’uso di un contenitore. In senso lato il titolo del nuovo album degli olandesi Dool, The Shape of Fluidity, trasla un concetto di natura fisica sul piano dell’arte: l’arte, elemento fluido e perennemente in divenire, può essere imbrigliata, contenuta e cristallizzata attraverso la forza creativa dell’artista in un’opera finita, che seppur collocata nello spazio e nel tempo, ne mostra e conserva gli aspetti liquidi e mutevoli. Allo stesso tempo come può operare l’artista in un ambiente sociale e culturale cosi iperconnesso e mutevole, mantenendo la propria identità, la propria coesione senza perdersi nell’uragano di input che lo investono da tutte le direzione. Dove finisce l’identità del singolo e inizia quella collettiva? E’ ancora possibile produrre qualcosa di significativo, qualcosa che resista ad una frenetica cultura usa e getta e rimanga durevole nel tempo? Ad una riflessione di natura sociale ed artistica si sovrappone la vicenda personale della cantante e chitarrista Raven Van Dorst: ermafrodita alla nascita, alla quale vennero asportati chirurgicamente in tenera età gli organi genitali maschili. Una scelta unilaterale da parte dei genitori e dello staff medico che ebbe un forte impatto fisico e psicologico sulla vita dell’artista, giunta infine, dopo anni di battaglie personali, ad un equilibrio dove non fosse necessario sacrificare un genere in favore dell’altro, ma dove natura maschile e femminile potessero convivere armoniosamente.
Queste premesse, di enorme complessità, delicatezza e rilevanza, sono alla base del terzo album dei Dool, e sono la fonte che ha ispirato e guidato i cinque musicisti olandesi verso lo spartiacque di una carriera perennemente in ascesa. Il successo dell’album precedente, Summerland, era infatti stato un trampolino di lancio per la formazione dei Paesi Bassi, catapultata, dopo la fine della pandemia, sui palchi dei principali festival europei, e posta unanimemente di diritto tra le migliori nuove leve contemporanee. Con la pressione alle stelle ed un’aspettativa altissima da parte del fandom, i Dool si sono affidati quindi nuovamente alle sapienti mani di Magnus Lindberg (Cult of Luna, Russian Circles, Tribulation) questa volta in fase di produzione e registrazione, mentre è stato assoldato il veterano Ted Jensen (AC/DC, Muse, Ghost) in fase di mastering. Un binomio che ha garantito un vestito ricco e sontuoso al nuovo The Shape of Fluidity, un suono energico e vigoroso in grado però di valorizzare quelle stratificazioni sonore e quegli innumerevoli rivoli sotterranei che compongono il sound così caratteristico ed identificativo dei Dool. La stessa casa discografica, Prophecy Productions, ha infine curato nei minimi dettagli le versioni fisiche dell’album, pubblicando diverse edizioni raffinate ed accattivanti. E se è indubbiamente vero che un pregevolissimo ed elegante contenitore ha valore solo in funzione della qualità del contenuto, la band olandese non delude le attese confezionando canzoni assolutamente all’altezza. Ancora più che nel precedente Summerland, i Dool giocano con i generi, senza mai aderire ciecamente ad una sola scelta. La commistione di più stili, questa fluidità artistica, marchio di fabbrica della band di Rotterdam, trova una sintesi perfetta tra la durezza del full-length d’esordio e la dimensione più eterea e sognante del suo seguito. Stilisticamente, al gothic doom delle origini, presente in una veste diafana dai colori sfumati, nella cupa Hermagorgon, la band olandese preferisce un heavy rock che converge a volte nel post rock, come nella sinuosa Self-Dissect e più spesso nell’heavy psych con derive progressive, genere che permette ai musicisti di poter esprimere liberamente un talento che urla per evadere da forme e concetti precostituiti. E non a caso è proprio la title track a farsi carico e portare alla luce questa nuova musicalità: le chitarre di Nick Polak e Omar Iskandr si alternano tra fraseggi nervosi e veloci, e sezioni solistiche che ricamano e intessono nuovi arabeschi sulla melodia portante di fondo. La voce di Raven Van Dorst, a seconda dell’incedere del brano, a volte si insinua sensuale e vellutata, altre s’innalza stentorea e potente catturando inesorabile l’attenzione dell’ascoltatore. C’è spazio anche per l’occult rock intriso di venature gotiche con Evil in You, composizione che traccia una linea di continuità con i compianti The Devil’s Blood, storica band che dopo lo scioglimento contribuì proprio alla nascita dei Dool. Menzione d’onore infine a Hymn for a Memory Lost dove ritorna, in una prima sezione del brano, il sound gothic doom di Here Now, There Then, che poi vira nuovamente verso l’alternative rock; un passaggio di consegne che ricorda la trasformazione stilistica avvenuta nei connazionali The Gathering con la pubblicazione di How to Measure a Planet? nel 1998. Se sulla carta una simile parata di stili e generi potrebbe far pensare ad un cacofonico collage, ad un coacervo di suoni male assemblati, all’ascolto The Shape of Fluidity suona invece coeso e colpisce dritto al punto. Un songwriting di assoluto spessore è il nucleo attorno al quale gravitano i talenti di cinque musicisti di altissimo livello, la forma canzone è sempre preservata e non capita mai di imbattersi in sperimentazioni fini a se stesse. Al contrario, è proprio la necessità di sondare nuove strade e nuove idee la forza vincente dell’album. Ad emergere per prima è l’energia della composizione, che seduce, ammalia e colpisce con un appeal diretto e graffiante. Solo in un secondo momento affiorano le stratificazioni sonore, le derive psichedeliche e le onde sognati del post rock che vanno a lambire le rive frastagliate e irregolari dei brani. A suggellare il potere evocativo delle canzoni di The Shape of Fluidity entra in scena la voce androgina e camaleontica di Raven Van Dorst, mai come ora chiamata in causa a dare voce al disagio, all’esclusione e all’alienazione di tanti reietti che vivono ai margini della società, isolati e ammutoliti da un mondo bulimico che si ciba di vuota condivisione e di ricerca ossessiva dell’approvazione altrui. Un canto che muta e si evolve a seconda del brano interpretato, passando con naturalezza dalle tonalità acute di Venus in Flames (dove ricorda la voce unica di Geddy Lee) a momenti più grevi e introspettivi, quando s’instaura con l’ascoltatore un legame urgente e viscerale, che trascende il testo e la musica stessi.
The Shape of Fluidity è una gemma rara, un album che riesce a colpire contemporaneamente sul lato musicale che su quello emozionale. La musica dei Dool è una tela che vista da vicino può apparire grezza, imprecisa nei dettagli e dai colori impastati, ma che, quando si allontana la prospettiva, mostra un risultato d’insieme stupefacente, dove ogni pennellata ha uno scopo nel disegno generale, e le forme e i colori rapiscono ed emozionano. Se esiste il rock impressionista, i Dool ne sono indubbiamente tra gli artefici più convincenti. The Shape of Fluidity è una sintesi impossibile ma riuscita tra complessità ed immediatezza, una costruzione all’apparenza fragile e delicata che cela in sé una forza in grado di resistere ed ergersi nella tempesta, una luce abbagliante nelle tenebre, pronta a guidare l’ascoltatore tra scogli aguzzi per poi accoglierlo infine in un porto sicuro, dove risuonano fluide melodie fuori dal tempo e dallo spazio.
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6
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@Ivan75 Vero ! Soprattutto Molko . Comunque questa voce particolare è un bel marchio di fabbrica per la band |
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5
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@Barfly: trovo che la voce di RVD abbia molte sfumature. Geddy Lee, ma quel tono dolce e suadente ricorda a tratti anche Davy Vain o Andrew Wood. In altri pezzi, su toni più bassi si avvicina a Brian Molko. |
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4
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Era uno degli album che aspettavo di più in questo 2024, dopo il magnifico Summerland, ma sono rimasto deluso. Troppo ostico , freddo e monocorde per i miei gusti, anche se non nego ci siano dei momenti coinvolgenti (Hermagorgon ad esempio). Secondo me il confronto con le scelte stilistiche dei Gathering del 98 non regge molto. Sono invece d\'accordissimo sulla somiglianza, a tratti, della voce con quella di Geddy Lee, anche se meno marcata che nel precedente disco |
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2
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Bellissimo disco. Band di gran classe. La fluidita\' identitaria che si traspone in fluidita\' musicale, con la capacita\' di trascendere i generi: psych, prog, goth, post rock sono solo etichette sulle quali i Dool planano con disinvoltura. I generi sono solo un armamentario da cui attingere. Quello che conta, e\' produrre buona musica. Bella recensione. Anche per me 85. |
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1
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A mio parere voto centrato...una bella realtà del mondo rock alternative...meritano l ascesa che hanno e che si spera avranno...un ulteriore germoglio nei brani e nelle composizioni che già si erano sentite su summerland..ma qui meglio centrate e sviluppate |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Venus in Flames 2. Self-Dissect 3. The Shape of Fluidity 4. Currents 5. Evil in You 6. House of a Thousand Dreams 7.Hermagorgon 8. Hymn for a Memory Lost 9. The Hand of Creation
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Line Up
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Raven Van Dorst (Voce) Nick Polak (Chitarra) Omar Iskandr (Chitarra) JB Van Der Wal (Basso) Vincent Kreyder (Batteria)
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RECENSIONI |
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