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17/10/24
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Winterfylleth - The Imperious Horizon
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25/09/2024
( 983 letture )
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Ottava fatica sulla lunga distanza per i Winterfylleth, tornati sulle scene a distanza di quattro anni da The Reckoning Dawn, disco che aveva decretato il convincente ritorno della band su sonorità metal dopo l’interessante disco folk acustico The Hallowing of Heirdom. Nel frattempo, eccetto per il cambio di line-up che ha visto nel 2021 Russell Dobson (dei Necronautical) prendere il posto di Dan Capp alla chitarra solista, poco è cambiato per il quintetto di Manchester, la cui formula, ormai sostanzialmente invariata da anni, è la stessa a cui è uso chiunque abbia ascoltato un disco della band da The Threnody of Triumph in poi.
Dopo gli esordi fatti di un black più primordiale e intriso di folk, la band ha infatti virato definitivamente su un black in cui a farla da padrone sono lunghissime ed imponenti bordate di blast-beat e riff di chitarra sovrapposti a creare un muro sonoro potente, epico e melodico, in cui accordi maggiori e minori si alternano per tratteggiare paesaggi sonori maestosi come quelli raffigurati nelle copertine dei dischi. Dischi come The Divination of Anitquity ma anche il più recente The Reckoning Dawn, pur non raggiungendo gli apici dei primi due platter, mostravano i lati migliori di questa evoluzione dello stile dei Nostri, eppure negli anni non sono mancati album più sottotono, come lo stesso The Threnody of Triumph o The Dark Hereafter. Questi soffrono infatti di alcuni difetti che sono in qualche modo insiti nel songwriting dei britannici, fatto di composizioni lunghissime in cui troppo spesso però, quando l’ispirazione cala come nel caso dei due dischi citati, cala anche la tensione dei brani, le melodie si fanno meno memorabili, le i riff cominciano a somigliarsi e sembrano a volte susseguirsi e rincorrersi ma senza un’apparente meta. Una tendenza in cui era facile cadere per i Winterfylleth, ma che oggi sembra purtroppo allargarsi sempre di più nel panorama metal. E se è vero che per la band di Manchester nessuno di questi problemi si è mai manifestato in proporzione tanto preoccupante da produrre album terribili o insufficienti, è altrettanto evidente che la formula scelta dal combo sia di per sé di limitata applicazione oppure che la band vi si adagi a volte senza preoccuparsi di spremere ogni goccia d’ispirazione.
É questo, ahimè, anche il caso di quest’ultimo The Imperious Horizon, in cui tornano a farsi sentire i fantasmi del passato: i riff delle chitarre, cuore del sound della band, non costituiscono la solida impalcatura dei brani com’era stato anche su The Reckoning Dawn, ma sono spesso delle poco definite e soprattutto poco ispirate successioni di accordi, che difficilmente rimangono impresse anche dopo i tanti ascolti che comunque un disco di questo tipo richiede. Anche la sezione ritmica concede pochi scossoni, martellando senza soluzione di continuità con estenuanti blast-beat, senza modificare l’andamento inarrestabile e monolitico delle composizioni. E dire che l’apertura con Like Brimming Fire sembrerebbe quasi voler smentire quanto affermato finora: dopo che l’intro First Light che crea un’atmosfera fredda ed emozionante, emerge dalla tempesta un brano cattivo, energico ed epico, sorretto da un sound nitido e potente, in cui le melodie si fanno a volte feroci, a volte disperate e costruito su pochi riff sferzanti, che solo nel finale si lasciano andare ad un incedere più disteso, accompagnato da un bel lead di chitarra. L’opener di dimostra essere però solo un’illusione, perché già con Dishonour Enthroned cominciano i problemi: i riff si fanno più generici e dilatati, l’atmosfera rimane grandiosa, epica e a tratti apocalittica, ma l’andamento generale è decisamente meno trascinante. Il brano si dipana per svariati minuti su potenti riff in tremolo, a volte più epici e melodici, altre più violenti ed oscuri, e tempi velocissimi per poi rallentare sul finale che introduce i classici cori maschili. Una struttura che però viene ripetuta quasi identica nei brani successivi, soprattutto Upon the Shore, che all’inizio è proprio difficile da distinguere con la precedente, ma anche nella title-track, e che mostra presto il fianco soprattutto a causa dei riff meno ispirati. Si cambia finalmente spartito con In Silent Grace, che di contro è un pezzo lento, pachidermico, impreziosito da alcune sezioni in clean e dalla presenza di A. A. Nemtheanga dei Primordial al microfono, in cui i synth emergono di più dalla coltre di distorsioni e le melodie si esprimono maggiormente; pezzo tutto sommato ben scritto e che almeno presenta delle benvenute soluzioni nuove. Si torna per un attimo a tempi indemoniati con To the Edge of Tyranny, brano breve, fulmineo, diretto, mentre Earthern Sorrows presenta il tanto atteso intermezzo acustico, che risulta godibile come quasi tutti quelli scritti dalla band. Il finale con The Insurrection lascia ancora il giudizio sospeso: qualche idea buona sembra affacciarsi, i riff non sono certo malvagi, ma il tutto lascia alla fine un po’ spaesati, e anche un po’ delusi. Interessante e ben realizzata, tra le bonus track presenti su CD e sulla versione digitale, la cover di The Majesty of the Nightsky degli Emperor.
The Imperious Horizon lascia quindi l’amaro in bocca, soprattutto perché The Reckoning Dawn aveva trasmesso sensazioni decisamente positive, e quindi sarebbe stato legittimo aspettarsi un disco almeno sullo stesso livello. Invece i Winterfylleth si ripresentano con un disco che troppo spesso suona generico come la copertina che lo accompagna, già sentito in particolare per chi è avvezzo al sound della band, e meno ispirato del solito. Certamente, data la natura delle composizioni, l’album cresce con gli ascolti, ma quel senso di confusione e di mancanza di concretezza che pervade all’inizio non viene mai del tutto dissipato. Il combo sembra quindi andato in modalità pilota automatico, osando poco dal punto di vista compositivo e limitandosi quasi a lavorare di mestiere su di una formula ben rodata. Peccato, perché brani come Like Brimming Fire dimostrano che le potenzialità ci sono ancora, ma se gli albionici non ritrovano la forma e l’ispirazione necessarie, il futuro, musicalmente, non sarà affatto roseo.
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9
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Album piacevole, ma soprattutto nella Prima parte i Brani hanno una similitudine di fondo che tende a farli sconfinare nel Manierismo.. In Silent Grace svetta in questo Lavoro per il suo discostarsi dal trend delle Composizioni, sia a livello Melodico che su quello Vocale.. Non ho guardato se il Recensore abbia già commentato altri loro Album.. Magari la \"manica stretta\" sul Voto è dovuta ad aspettative maggiori. |
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8
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Mi aggrego ai commentatori che non concordano con la recensione anche se in parte condivido che il sound abbia una certa omogeneità di fondo che sembra ripetitiva. A mio parere e a mio gusto il sound presenta sempre una intensità e un pathos molto coinvolgente su tutti i pezzi. Grande atmosfera e grande epicità in ogni caso. Se il disco non è nella sua totalità un capolavoro, In Silent Grace è senz\'altro, al momento, il migliore pezzo del 2024. Au revoir. |
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7
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Forse abbiamo acoltato un disco differente mi sa. |
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6
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Concordo in pieno. Pezzi tutti simili, due coglioni grossi come una casa. Per me sei stato anche generoso |
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5
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Disco di spessore. Recensione che lascia l\'amaro in bocca, voto 67. Album da 90 |
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4
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Penso anche io che sia un discone, ma è interessante leggere pareri contrari ogni tanto |
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3
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Recensione completamente fuorviante rispetto al vero valore del disco a parer mio. Sono proprio il loro marchio di fabbrica queste sfuriate ricche di epicità e atmosfera. E sono bravi, anzi bravissimi. Forse una delle tante band mai così osannate rispetto al loro merito reale e criticate per lo più. Voto 90 |
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2
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In totale disaccordo con recensione e voto... 67 troppo poco per un disco più che valido come questo |
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1
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In definitiva,sembra che la cosa migliore del disco sia il maestoso scenario di copertina.L\'Inghilterra ha dato luce a poche realtà convincenti nel BM,palesando il distacco dalla cultura blackster basica del nord,e al pari degli allegri fratellastri yankee continua a muoversi seguendo un suo naturale modo da intendere la nera fiamma. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. First Light 2. Like Brimming Fire 3. Dishonour Enthroned 4. Upon This Shore 5. The Imperious Horizon 6. In Silent Grace 7. To the Edge of Tyranny 8. Earthen Sorrows 9. The Insurrection
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Line Up
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Chris Naughton (Voce, Chitarra) Russell Dobson (Voce, Chitarra) Nick Wallwork (Voce, Chitarra, Basso) Mark Deeks (Voce, Tastiera) Simon Lucas (Voce, Batteria, Percussioni)
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RECENSIONI |
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