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17/10/24
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Gary Moore - Wild Frontier
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28/09/2024
( 1083 letture )
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Reduce da due dischi enormi come Victims of the Future e Run For Cover, ma soprattutto ancora dilaniato dalla morte dell‘amico fraterno Phil Lynott, avvenuta appena un anno prima, nel 1987 Gary Moore torna sul mercato con un nuovo lavoro (dedicato naturalmente all’amico scomparso) che risponde al nome di Wild Frontier. Con le premesse del caso, era lecito aspettarsi un disco leggermente meno ispirato o quanto meno più di mestiere; fortunatamente, anche grazie all’aiuto di un breve periodo di pausa presosi dall’artista nell’Irlanda delle sue radici, ci troviamo nuovamente di fronte ad un disco eccezionale, che alla fine dei salmi risulta essere anche leggermente superiore al precedente Run For Cover, oltre che fortemente ispirato, nell’approccio e nelle influenze musicali, proprio dal quella terra natia color dello smeraldo che tanti uomini ha stregato nei secoli.
Esaurite le smanie da collaborazioni che avevano contraddistinto il precedente lavoro, su Wild Frontier Gary Moore decide di tornare all’essenziale, limitando al minimo sia le interferenze, sia i musicisti presenti su disco; fanno parte della partita infatti, soltanto Bob Daisley al basso e Neil Carter alle tastiere, mentre per le parti di batteria, il folletto irlandese deciderà di avvalersi di una drum machine, che per nostra fortuna non inficerà il risultato finale, ma che risulta essere l’unica pecca potenziale di un disco spettacolare. Anche la parte compositiva subisce la stessa sorte, e dalle varie collaborazioni avute in passato, si torna prepotentemente alla più nota forma canzone “Moore-a tutto tondo”.
Come anticipato, il viaggio di Moore alla ricerca delle sue radici ha lasciato un certo segno nel chitarrista, e l’opener Over the Hills and Far Away sta lì a dimostrarlo prepotentemente; siamo al cospetto di una canzone splendida, una delle più iconiche e rappresentative della carriera dell’artista, dove il flavour celtico/etnico della terra di smeraldo si unisce magistralmente al suono elettrico del rock. Introdotta da un pattern di batteria timpano/rullante che lancia le splendide strofe di Moore, arricchita da tastiere e “violini” tipici del sound etnico irlandese, Over the Hills and Far Away è una canzone dall’andamento circolare e tambureggiante che incastona al suo centro un cuore metallico ed un ritornello meraviglioso, che, come preannunciato, la trasformano immediatamente in uno dei migliori pezzi dell’artista, oltre che in un classico senza tempo. Senza soluzione di continuità, anche nelle atmosfere, ci troviamo di fronte alla titletrack del disco, scritta e pensata per essere realizzata insieme all’amico di sempre, quel Phil Lynott al quale Gary Moore è legatissimo, scomparso l’anno precedente a causa delle sue dipendenze e dei suoi demoni interiori. Come è facile immaginare, anche questa volta siamo di fronte ad un brano eccezionale, introdotto da un bellissimo lick di chitarra e da strofe che si sarebbero perfettamente adattate alla voce di Lynott, e costruite volutamente sulla metrica atipica e irregolare che egli era solito utilizzare. Bellissimi sia gli arrangiamenti complessivi che il ritornello, oltre al “solito” solo magistrale di Moore, che si diverte in ultimo anche riprendendo il tema iniziale della canzone. Anche in questo caso sono presenti forti riferimenti all’Irlanda natia, oltre che nella musica, stavolta nelle liriche che riflettono sulle tensioni politiche e sociali presenti al tempo sul territorio. Molto più scanzonata e rilassata risulta essere la successiva Take a Little Time, che abbandona temporaneamente il mood celtico/etnico per riportare un Gary Moore più tipicamente hard rock; assolutamente piacevole e più che pregevole, anche se essere a seguito di due pezzi immortali ha la controindicazione di farla sembrare meno valevole di apprezzamento. Giusto il tempo di tirare il fiato che arriviamo a The Loner, una delle composizioni più celebri dell’irlandese; si tratta di uno dei brani che forse cattura al meglio (e a tutto tondo) l’anima di Gary Moore: la composizione è completamente strumentale, la chitarra è al centro di tutto e colora il tutto in maniera splendida con melodie che richiamano la malinconia, la solitudine e, in ultimo, la necessaria riflessione che ne deve seguire; sicuramente uno dei pezzi più emozionali di sempre, un lungo flusso emotivo, che in una certa forma, specie per l’approccio, rimanda alla meravigliosa Parisienne Walkways presente su Back on the Streets. Il necessario momento di stacco dopo una tale botta emotiva è dato da Friday On My Mind, cover ipervitaminizzata alla Gary Moore del classico degli Easybeats; la canzone risulta divertente e scanzonata ed esegue bene il ruolo di break (riempitivo se vogliamo) all’interno del disco. Prosegue la fase riflessiva con la seguente Strangers In the Darkness, brano dalle sonorità AOR molto eighties e dai colori cupi e misteriosi, dove Moore ci regala un’ottima interpretazione, sia a livello strumentale sia a livello interpretativo su strofe e ritornelli. Particolarmente pregevoli risultano essere le parti solistiche che arricchiscono e rifiniscono un brano sicuramente meno noto di altri, ma certamente non meno di valore. Pur essendo ormai verso la fine dell’album, il nostro non esita a regalarci ancora una volta perle degne della sua fama: siamo infatti al cospetto di Thunder Rising, uno dei pezzi più veloci e aggressivi del disco, un brano dall’energia esplosiva, con riff incendiari e un ritmo trascinante, che risulta essere un perfetto esempio di come Moore riesca a combinare la forza del rock con la melodia e la potenza emotiva delle sue influenze celtiche; oltre ciò la canzone risulta essere l’ennesimo (ma non ultimo) omaggio all’amico scomparso, in quanto sia le ritmiche del pezzo, che le metriche della strofa, richiamano molto i Thin Lizzy della grandissima Massacre, risultandone una versione molto accelerata. Chiude un disco immenso Johnny Boy, ultimo saluto ed epitaffio di Gary Moore a Phil Lynott. Siamo di fronte ad una ballata malinconica e dal sapore fortemente celtico, che vuole essere una dichiarazione nostalgica d’affetto, costruita con un arrangiamento semplice e una vocalità emotiva, che rimanda direttamente alla futura Blood of Emeralds e che riflette in particolar modo sul dolore della perdita. Si tratta di una traccia intima e personale, che chiude l’album in maniera commovente, lasciando un segno indelebile nei nostri cuori, una dimostrazione di affetto straziante come solo la morte di un amico può essere.
Wild Frontier è un album enorme, l’ennesima testimonianza, se ancora ce ne fosse bisogno, del talento e del genio del chitarrista irlandese, che non solo mette in luce la sua incredibile abilità chitarristica, ma mostra anche la sua capacità di creare splendide canzoni e, come in questo caso, di fondere in modo originale rock e tradizione celtica. Come già detto in occasione della recensione di Run For Cover, siamo anche in questo caso di fronte a un album che ha fatto, e continua a fare, la storia di un certo genere, che funge da metro di paragone con chiunque si voglia sperimentare con la musica hand & heavy, e che sicuramente rappresenta uno dei momenti più alti della carriera di Gary Moore. Sicuramente un must have!!
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15
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sempre grande gary moore |
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14
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E\' l\'unico album di Gary Moore in cui sono riuscito ad arrivare in fondo, un po per la presenza del grande Bob Daisley perfromer e autore o co-autore di molti pezzi di alcuni dei mie album preferiti degli anni 80 di diversi artisti, un po perché appunto guarda spesso e volentieri alle sonorità Americane di quel periodo. |
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13
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Questo disco nel lontano \'87 mi fece incazzare.... Sì, il vinile era fatto male e la puntina saltava su una canzone.... Vabbeh, unico difetto, perché recentemente il CD l\'avrò riascoltato almeno 5 volte di fila... Che dire, immenso Gary, negli \'80 probabilmente il n.1, un discone dietro l\'altro, con \"Run For Cover\" vertice assoluto, ma questo poco al di sotto, anche se non ho mai compreso l\'uso della drum machine, unico neo in mezzo ad un mare di meravigliose note dal sapore celtico. Poi \"After The War\", altrettanto valido, prima di una personalmente (ma non sono certo l\'unico) mai capita e digerita svolta blues, che di fatto ha tolto al mondo della musica rock/heavy uno dei suoi migliori interpreti di sempre. Misteri. |
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12
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Splendida recensione, per un disco splendido, ricco di splendide canzoni dove le splendide melodie si incastrano splendidamente alla splendida tecnica di uno splendido chitarrista. |
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11
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Come già scritto in recensione, manca soltanto una batteria vera per portare un grande album a livello leggenda |
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10
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Forse il miglior disco di Gary Moore? Sicuramente quello a cui sono più affezionato…Over The Hills, Wild Frontier e The Loner sono leggendarie, ma veramente funziona tutto. 90 agile agile |
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9
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Una aggiunta alla più che buona recensione. Più volte viene citata l\'Irlanda e il ragazzo viene sempre definito irlandese. Non che la cosa cambi in modo sostanziale (anche se io non mi azzarderei a dirlo troppo a voce alta da quelle parti), ma era nato a Belfast ed era nordirlandese. |
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8
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....over the hills non e\' dei nightwish!...no...lo puntualizzo, a scanso di equivoci, per i piu\' giovani metaller...ahahah....un album ,questo, davvero bello!...il grande Gary ci regalo\' un vero spaccato del rock applicato alla sua terra nativa...canzoni indelebili scolpite nelle pietre d\'irlanda! |
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7
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Grandissimo album. Sicuramente uno di quelli da avere di Gary Moore. Come già detto prima di me, si distingue per una vena folk evidente in molti pezzi. E sì, in effetti forse i Ten devono qualcosa anche a questo Gary Moore qui. E comunque Over the Hills and Far Away, la title-track e The Loner… storiche. Ma non da meno Thunder Rising e pelle d’oca con Johnny Boy. Voto 89 |
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6
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C\'è poco da dire, tra i migliori chitarristi di tutti i tempi, sicuramente tra i più completi (se non IL PIU\' completo). Ogni stile è suo e questo disco è qua a dimostrarlo; il suo album \"celtico\". Capolavori come Over the Hills and Far Away e Wild Frontier o esibizioni di gusto e tecnica come The Loner sono una manifestazione di superiorità che non è da tutti. Gary Moore: durezza, tradizione e melodia. Non è da tutti. 85 |
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5
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Magnifico album, tra rock e folk, uno dei migliori di Gary e secondo il mio parere aprirà la strada a band come i Ten di Red e altre cose simili. Voto giusto |
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4
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....grande artista......e questo è un disco da 90......bellissimo... |
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3
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Splendido disco e artista sempre compianto. Voto 90. |
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2
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Ho \"conosciuto\" Gary Moore proprio con quest\'album. Era il 1987 e un amico mi portò la cassetta registrata in occasione del viaggio in pulmann che da Torino ci avrebbe portato al Monsters of Rock a Norimberga. Proprio per questo ricordo ci sono molto affezionato. La doppietta iniziale e The Loner, comunque, sono storia del Rock a prescindere, e le influenze celtiche hanno reso questo disco unico |
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1
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Over the Hills and Far Away canzone da paura.... |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Over the Hills and Far Away 2. Wild Frontier 3. Take a Little Time 4. The Loner 5. Friday On My Mind 6. Strangers In the Darkness 7. Thunder Rising 8. Johnny Boy
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Line Up
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Gary Moore (Voce, Chitarra) Neil Carter (Tastiera, Voce) Bob Daisley (Basso)
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