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30/01/25
BERNTH, CHARLES BERTHOUD E OLA ENGLUND
SANTERIA TOSCANA 31, VIALE TOSCANA 31 - MILANO
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14/12/2024
( 1165 letture )
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Se la copertina del precedente album Solace ci mostrava una solenne quanto misteriosa e minacciosa montagna, rischiarata da un raggio di sole, come a testimoniare una luce che spezzava tenebre a portare speranza, Burden si concentra su un particolare di quel disegno, calandosi invece nel fuoco, nella ferita aperta eruttante lava e dolore. Il quarto album dei Rezn, band da Chicago che ha ormai trovato una propria formula e una propria stabilità di formazione consolidate, uscito a giugno di quest'anno, nasce quindi iconograficamente come una prosecuzione del precedente disco, ma qualcosa in effetti sembra ancora diverso nei nuovi sette brani, per circa trentacinque minuti di durata. Per primo, l’approdo alla Sargent House, gloriosa etichetta che porta il gruppo fuori dall’underground nel quale era cresciuto e maturato e, in seconda battuta, un nuovo passo in avanti nella direzione musicale intrapresa, a conferma di una volontà di crescita che non si arresta.
Per chi non avesse familiarità col gruppo, i Rezn rappresentano senza dubbio una di quelle realtà di cui troppo poco si parla e ancor meno si fa lo sforzo di approfondire. La loro musica, in effetti, si muove su un confine fumoso e questo può scoraggiare gli ascoltatori che preferiscono scelte nette di campo e genere. Per tutti gli altri, può aiutare partire dal presupposto che ci muoviamo all’interno di uno stoner/doom piuttosto sui generis, con forti impronte psichedeliche, post rock e shoegaze. La voce di Rob McWilliams è pulita, quasi femminea e in costante reverbero e il gruppo costruisce i propri brani spesso partendo da riff ossessivi, strapieni di effetti, feedback e stratificazioni, rese ancor più alienanti dal sintetizzatore e dall’utilizzo di strumenti “particolari” come sassofono e flauto, a opera di Spencer Ouellette, asso nella manica di una band che sa osare. E’ chiaro, infatti, che il gruppo riesce nell’intento di non risultare troppo eccentrico o forzatamente sperimentale, costruendo brani sensati e dotati anche di una forte impronta melodica, ma caratterizzati da evoluzioni peculiari a livello di arrangiamenti e inafferrabili da un punto di vista stilistico, con influenze che possono essere prese anche dall’industrial o da altri generi musicali, non necessariamente vicini al metal. Il tutto, mantenendo una pesantezza non indifferente, a scanso di equivoci. E’ chiaro che il tentativo è complesso, anche perché la band utilizza questa tavolozza di colori ampia col chiaro intento di scrivere musica emotivamente forte, segnante, che colpisca l’ascoltatore e non sia un mero sottofondo. Un compito non facile, al quale non sempre i Rezn riescono a tenere fede, pur crescendo ancora e risultando infine molto godibili e personali. Rispetto a Solace, Burden spinge ancora di più verso post rock, prog e shoegaze, creando brani pesanti, quasi soffocanti, ma continuamente aperti da passaggi che ne ampliano lo spettro musicale ed espressivo. Scale mediorientali, arpeggi ed effetti di ogni tipo, vanno ad arricchire gli arrangiamenti e le soluzioni, tale per cui ogni canzone rappresenta un vero e proprio viaggio, un’esperienza a sé. Detto questo, il disco è piuttosto omogeneo a livello di atmosfera, risultando ossessivo, ma al contempo sognante, onirico e pauroso al tempo stesso. Il rischio, proprio a causa della omogeneità delle atmosfere, è perdere un po’ il senso dei singoli brani, finendo per essere travolti dall’ondata psichedelica del disco; in particolare, è la lunga Bleak Patterns a soffrire in tal senso, perdendo un po’ di incisività, a discapito di una partenza bellissima e super evocativa, da pelle d’oca. Un aspetto questo che si recupera con gli ascolti e semmai prestando appunto un po’ di attenzione alle peculiarità dei singoli brani, come il flauto che inframmezza le linee “mediorientali” di Collapse o lo stupendo assolo di sax nella bellissima “ballata” pinkfloydiana Soft Prey. Decisamente più pesanti e forse proprio per questo anche più immediatamente apprezzabili sono la sinuosa Instinct, col suo andamento arpeggiato nella strofa che esplode invece all’altezza dell’ottimo refrain e un gran bell’assolo di chitarra e la grandiosa Chasm sul finale. Il riff pesantissimo, distorto e grezzo dirazza appena dal resto del disco, anche come mixaggio e produzione, interrompendo di fatto il flusso onirico delle tracce precedenti e riconducendoci alla realtà a suon di schiaffi, con una ruvidità quasi industriale, accentuata dall’ossessivo e rumoristico finale. Introduzione perfetta al disco è invece Indigo, senza dubbio una delle tracce più belle e significative dell’album, con i suoi suoni industriali che inframmezzano il riffing e la ficcante linea melodica di McWilliams che completa un brano emozionante e qualitativamente riuscitissimo.
Band di alta qualità compositiva e ancor più forte volontà creativa, i Rezn si confermano come una formazione da seguire con attenzione e curiosità. L’ulteriore passo in avanti in termini di personalizzazione del sound e delle soluzioni compositive è riuscito e compiuto, rendendo Burden un disco affascinante, che si offre a molteplici ascolti e cela numerose sfumature e sorprese. Tanto che è difficile non rimanere ammaliati, rapiti e colpiti dalla musica degli statunitensi, capaci davvero di evocare sonorità diverse, emozionando a più riprese. Doom, stoner, prog, psichedelia, shoegaze, post rock, industrial, diventano etichette da attaccare a un magma sonoro pulsante e doloroso, che mal accetta questo sezionamento. Purtroppo, come accennato, in qualche caso il gruppo perde un po’ la mano, lasciandosi guidare dalla musica, col risultato che inevitabilmente l’attenzione, raggiunta la metà del disco, si perde un pochino e rischia di far passare una lunga sezione di album come un tutt’uno mal distinguibile. E’ un peccato veniale e, in effetti, congenito al genere stesso, ma da musicisti di questa levatura, arrivati al quarto sigillo e a fronte di un disco di questo livello, è giusto anche iniziare a pretendere quell’attenzione che fa la differenza tra il capolavoro e l’ottimo disco.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Indigo 2. Instinct 3. Descent of Sinuous Corridors 4. Bleak Patterns 5. Collapse 6. Soft Prey 7. Chasm
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Line Up
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Rob McWilliams (Voce, Chitarra) Spencer Ouellette (Sintetizzatore, Sassono, Lapsteel, Flauto, Piano) Phil Cangelosi (Basso, Rainstick) Patrick Dunn (Batteria, Percussioni)
Musicisti Ospiti Mike Sullivan (Chitarra solista su traccia 7)
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RECENSIONI |
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