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30/01/25
BERNTH, CHARLES BERTHOUD E OLA ENGLUND
SANTERIA TOSCANA 31, VIALE TOSCANA 31 - MILANO
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20/12/2024
( 1353 letture )
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E’ dura recensire un lavoro uscito al termine dell’esperienza di Sian Greenaway come cantante degli Alunah. La frontwoman aveva dato nuova linfa al progetto dal bellissimo EP Amber & Gold del 2018, proseguendo per i due album che seguirono Violet Hour e Strange Machine. Nonostante il limbo che li lasciava a metà tra l’underground e l’affermazione come band “anziana” in ambito stoner/doom, con consacrazione nella nicchia, derivata dalla partecipazione a numerosi festival del settore, sembrava che la band fosse arrivata ad un punto di solidità nonostante gli alti e bassi. D’altronde parliamo di un gruppo formatosi nel 2006 che ha all’attivo 7 album, 2 EP e uno Split, che ha visto importanti stravolgimenti di line-up e di sound, vedendo come unico membro fisso il batterista Jake Mason.
Considerando tutto questo, la dipartita di una frontwoman che aveva contribuito a rivitalizzare il progetto può essere considerata una grande disdetta. L’ultimo saluto della Greenaway è rappresentato da questo Fever Dream, un disco che a livello "estetico" non si presenta granché bene, con questa copertina violacea e un cavallo sulla stessa, sotto il logo della band.
L’apertura è molto classica con Never Too Late condita di influenze psichedeliche, venature heavy e occult rock, nulla di innovativo, ma già dal secondo brano Trickster of Time c’è una differente impronta. Un heavy blues che si dipana in un climax, caratterizzato da una linea vocale dinamica con sfumature soul "jopliniane", il basso di Dan Burchmore in evidenza durante la strofa e ben presente durante tutto il brano, per concludere poi con un solo di chitarra perfettamente suonato e una sezione batteristica stratosferica. Da non trascurare il solo di flauto suonato dalla stessa Greenaway che regala un’atmosfera particolare. Un altro episodio rilevante è l’eterea title track che al suo interno conserva anch’essa un’anima blues, specialmente nelle parti chitarristiche di Matt Noble. La linea vocale appare sognante nella strofa per poi risultare vigorosa nei passaggi del ritornello e quando il brano si apre sul finale.
E’ soddisfacente udire contaminazioni da generi considerati più classici e già l’intro di Hazy Jane e’ spiazzante, quasi jazzistica per poi portarsi verso l’hard rock. A tratti ripetitivo il brano, durante il solo di chitarra, nonostante il lavoro della sezione ritmica avverte una mancanza di spina dorsale. Sacred Grooves è un’altra bella traccia che ci collega agli albori "mistici" della band, con un sound che vira verso l’orientaleggiante, ottima anche in questo caso l’interpretazione della frontwoman. Il mood onirico permane anche in Celestial, una strumentale dalla forte componente progressive in cui viene utilizzato nuovamente il flauto.
Sembrerà atipico, come anche bizzarro leggerlo in una recensione dedicata agli Alunah, ma vi è un richiamo all’alternative in The Odissey, in particolare vi sono degli sviluppi sonori che ricordano i Pearl Jam. Far From Reality è un brano godibile dalle venature moderne con cui si ritorna all’hard rock/blues e alle influenze soul per quanto riguarda il cantato. I’ve Paid a Price continua con un hard rock pregno di reminescenze doorsiane ed il piano suonato da Aaron B. Thompson riesce a togliere tonalità emozionanti dalla voce di Sian Greenaway. Nel finale guidato dalla chitarra di Noble, inoltre, si odono echi street metal ricordando -anche qui paragone bizzarro- dinamiche legate ai Guns and Roses.
Alla fine di questa recensione viene da chiedere cosa gli Alunah vogliano essere in questo momento. Fino a quest’ultimo full length la band aveva avuto un’evoluzione originale, ovviamente nei limiti che può concedere l’inquadrarsi in un determinato genere, ma Fever Dream, nonostante qualitativamente buono sul piano esecutivo, disorienta l’ascoltatore nella sua interezza. Se la prima parte del disco aveva presentato dei brani interessanti che potevano costituire un’evoluzione ulteriore degli inglesi, la seconda parte del full length, per quanto piacevole, sembra perdere d’identità. E’ chiaro che affibbiare etichette può essere limitante per un progetto, ma vi sono band che riescono ad uscire da quel guscio, delineando il proprio sound in maniera equilibrata. In questo momento non si riesce a riconoscere la band, che in alcuni tratti sembra mantenere quell’idea di "revivalismo moderno" discostandosi dalla contaminazione stoner/doom –cosa già avvenuta in parte su Strange Machine- e dall’altra sembra voler essere un tributo ad altri progetti del passato. Nel suo complesso il disco non può essere valutato in maniera negativa, perché ben suonato e ben prodotto, ma a livello di crescita abbassa l’asticella del progetto di Birmingham, risultando una falla nella loro discografia. La situazione non viene supportata di certo dalla dipartita di Sian Greenaway, di cui gli ultimi brani con la band lasciano una certa malinconia. Non si sa quale sarà il futuro degli Alunah, vogliamo sperare che una volta colmata la mancanza di una frontwoman (o anche frontman perché no?) nella line up, il progetto ritrovi la sua identità e si possa contraddistinguere in maniera solida nel panorama stoner/doom che ha già calcato in maniera efficace.
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1
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L\'ho trovato molto dispersivo, parte bene ma poi si perde e a tratti diventa noioso. Un peccato. |
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INFORMAZIONI |
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Heavy Psych Sounds Records
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Tracklist
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1. Never Too Late 2. Trickster of Time 3. Fever Dream 4. Hazy Jane 5. Sacred Grooves 6. Celestial 7. The Odissey 8. Far from Reality 9. I’ve Paid the Price
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Line Up
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Sian Greenaway (Voce, Flauto) Matt Noble (Chitarra) Dan Burchmore (Basso) Jack Mason (Batteria)
Musicisti Ospiti: Francis Tobolsky (Voce addizionale su Traccia 1) Aaron B. Thompson (Piano su Traccia 9)
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RECENSIONI |
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