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30/01/25
BERNTH, CHARLES BERTHOUD E OLA ENGLUND
SANTERIA TOSCANA 31, VIALE TOSCANA 31 - MILANO
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04/01/2025
( 627 letture )
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Periodo di transizione per i Marillion, l’avvento di internet, la fine della collaborazione con etichette discografiche, l’autoproduzione tramite fundraising grazie al traffico sul proprio sito. Si può dire che il quintetto britannico sia stato pionieristico su questo aspetto, scoprendo prima di tanti, o forse di tutti in ambito musicale, ciò che di buono la rete poteva offrire alla fine degli anni ‘90. Un periodo di grande produttività, che in generale non è mai mancata nella loro più che quarantennale carriera con ben venti album all’attivo: nel giro di un triennio gli scaffali videro arrivare This Strange Engine, il qui recensito Radiation e marillion.com che diede inizio all’era digitale e online della band che fu di Fish ed è dal 1988 di Steve Hogarth. Gli anni di maggiore produttività, tra il 1997 ed il 2001 indicativamente, sono coincisi anche con il periodo di minore successo discografico, dettato anche da un’enorme prolificità che non sempre è stata di pari passo con la qualità produttiva. Più in generale, nella parentesi che vede ai due estremi gli spettacolari Brave e Marbles, e includerei nella lista anche il meraviglioso Afraid Of Sunlight anche se lo metterei un gradino sotto ai due dischi citati, nessuno degli album rilasciati ha goduto di buoni risultati di ascolti, di vendite e di critica. Insomma, un periodo di transizione come detto in apertura, un pò per il cambio di rotta verso la nuova frontiera di internet, un pò perchè produrre tanto è stato sinonimo di meno estro creativo: ci vollero infatti 3 anni di pausa, dopo Anoraknophobia, per estrarre dal cilindro quel capolavoro assoluto di Marbles, personalmente il mio preferito in assoluto della loro fulgida carriera. Ma i Marillion, come tutti gli artisti di valore assoluto, hanno dimostrato di non essere troppo preoccupati dal parere della critica o dai numeri delle vendite: se un album è in cantiere, se un’idea o un sound hanno bisogno di essere sviluppati, i nostri danno sfoggio alla creatività e vanno in stampa. La musica dei Marillion non può essere imbrigliata dai numeri…
Uno dei segnali che il quintetto non era troppo attento a compiacere al mercato discografico, fu il rilascio di un solo singolo per il lancio commerciale di Radiation, la ballad un pò malinconica These Chains, non un pezzo memorabile nella discografia dei britannici e probabilmente neanche il miglior momento del disco. Sicuramente da ricordare il breve assolo di Steve Rothery, i ritornelli narrativi di Steve Hogarth e soprattutto il bel testo, racconto di un uomo vittima delle catene da lui stesso imposte che non gli permettono di vedere una vita al di fuori delle sue stesse sbarre. Il disco in studio, rispetto agli standard compositivi elevatissimi ai quali i Marillion ci hanno abituato, e che hanno recentemente ritrovato con F.E.A.R. ed il bellissimo, oscuro e criptico An Hour Before It’s Dark, non offre moltissimo, certo non è da cestinare ma neanche un album sul quale mi capita di tornare spesso.
Costa Del Slough è la intro, tribale prima e poi acustica, sicuramente eclettica ma anche un pò scollegata dal resto, Under The Sun è il primo vero brano, in pieno stile neoprog dal ritmo molto brioso che si fissa subito nella mente dell’ascoltatore per i ritornelli estremamente cantabili. Chiude il trittico iniziale la sperimentale The Answering Machine, si fa un pò fatica a tenere il filo dello stile di questo album, non è chiara la direzione, ma questo non esclude una qualità tecnica sempre molto elevata che qui mette in risalto le mani di Mark Kelly alle tastiere. Prima ballad dell’album, usualmente uno dei punti forti dei lavori dei britannici, i sei minuti cadenzati di Three Minute Boy dopo un’altra ballad decisamente più mesta e malinconica Now She’ll Never Know, prima del singolo These Chains. Continuiamo sul tema ballad con Born To Run, trainata dall’ottima interpretazione vocale di Steve Hogarth che fa il paio con la particolare e inedita chitarra di Steve Rothery che dalla seconda metà sale in cattedra e si prende la scena. Ci pensano i sette minuti di Cathedral Wall a spazzare via il ritmo più molle delle ultime tracce, con un brano dai toni neo progressive più nelle corde del quintetto e forse più per le orecchie dei fan del sound anni ‘90 della band, ottima e molto gradita la sezione strumentale. Tocca a A Few Words For The Dead chiudere il decimo album dei Marillion, come sottolineato anche dai caratteri gialli della copertina che evidenziano il 10 sotto forma di “io” all’interno delle parole “Marillion” e “Radiation”. Un sound molto orientale, da montagne tibetane, per aprire questa lunga suite da quasi undici minuti, eclettica, ricca di stili differenti che si sviluppa in un crescendo per esplodere definitivamente dopo il settimo minuto prima di chiudersi in fading con una lunga outro finale.
La domanda da porsi è questa: bastano queste nove tracce, in alcuni casi dal minutaggio anche abbastanza importante, a placare la sete di neoprog dei fan dei Marillion? Tante le ballad, alcune riuscite altre meno, in ogni caso dal ritmo molto fiacco che si salvano solo per i bei testi e una narrazione che comunque tiene in piedi tutte le melodie dell’album, anche se in alcuni casi un pò criptiche come piace a Steve Hogarth. Il quintetto si salva per l’estrema qualità dei momenti strumentali, la grande esperienza tecnica e la bella voce del vocalist, che non a tutti piacerà ma sicuramente si sposa ottimamente con le melodie dei britannici. Un monito alla grande produttività e un invito a fermarsi, riflettere e ripartire. Perchè a volte una pausa può giovare alla qualità, soprattutto se questa pausa contribuisce a creare Marbles.
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3
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Condivido il recensore nell\'incensare Brave e Marbles e la sua disamina sul periodo che si trova in mezzo a quei due magnifici album. Ma questo Radiation mi è sempre piaciuto tantissimo. Da Three Minute Boy il disco decolla. Tra le mie preferite Born to run in cui Rothery gioca a fare il Gilmour. E ci riesce alla grande. Sono d\'accordo ancora una volta con @Testamatta, tra i dischi \"minori\" uno dei...migliori. 80
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2
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Bel disco; come giustamente inquadrato dalla recensione, appartenente a quella fase di transizione inaugurata per certi aspetti già con il precedente This Strange Engine e che sfocerà definitivamente con il mastodontico Marbles. Fase in cui cercano di proporre materiale più lineare (almeno in superficie), più rock senza necessariamente l’obbligatorio suffisso “prog-“, ma mantenendo un livello di artisticità e raffinatezza fuori dal comune. Allo stesso tempo in molti pezzi si va sempre maggiormente alla ricerca dell’introspettività (penso ad esempio a Now She’ll Never Know o a A Few Words for the Dead). Un filo sotto al precedente, ma superiore ai due successivi secondo me, considerando pure che il “peggiore” dei Marillion è pur sempre un bell\'ascolto (almeno per me). Voto 81 |
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1
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Ottima recensione, snella ma esaustiva e soprattutto assolutamente condivisibile in ogni punto trattato. Per quanto riguarda l\'album complessivamente secondo me è un po\' sottovalutato, ma mettiamola così: han fatto di molto meglio ma anche di peggio. Tra i (pochi) dischi \"minori\" dell\'era Hogarth però se la gioca per la palma del migliore (ovviamente da intendere \"dischi minori\" nella personale graduatoria di ciascuno). |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Costa Del Slough 2. Under The Sun 3. The Answering Machine 4. Three Minute Boy 5. Now She’ll Never Know 6. These Chains 7. Born To Run 8. Cathedral Wall 9. A Few Words For The Dead
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Line Up
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Steve Hogarth (Voce, Pianoforte) Steve Rothery (Chitarra) Pete Trewavas (Basso) Mark Kelly (Tastiere) Ian Mosley (Batteria)
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RECENSIONI |
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