|
15/02/25
XIU XIU + KEE AVIL
ASTRO CLUB - FONTANAFREDDA (PN)
|
|
Orange Goblin - Healing Through Fire
|
01/02/2025
( 324 letture )
|
Il sesto disco degli Orange Goblin segna un nuovo inizio per la band londinese, firmano per una nuova etichetta la Sanctuary e pubblicano uno dei migliori lavori della loro discografia. Si oserebbe dire che Healing through Fire sia il loro disco migliore, ed anche quello più pesante, ma ci sono vari album sia nel passato che nel futuro che dimostrano come questo full length sia solo la norma, un altro grande disco del Goblin Arancio che dimostra quanto sia grandioso il progetto.
Non si tratta di un concept, ma sullo sfondo troviamo la Peste Nera, l’epidemia che dal 1665 falcidiò tra le 75.000 e le 100.000 vittime. L’immagine della nera signora appare sulla copertina oscura, ma quasi santificata, flagello purificatore che bonificherà definitivamente solo al termine dell’incendio del 1666 e da qui “la cura attraverso le fiamme”.
L’esplosività dell’intero album attraversa l’intera tracklist, risultando più potente e pesante in alcuni passaggi, più accomodante in altri, tormentando attraverso il blues e la psichedelia, facendosi accompagnare da elementi inusuali e dando un insolito ristoro con la traccia Mortlake. Il folle predicatore Solomon Eagle è il protagonista della pesante opener, un gioiello dell’hard & heavy di cui non si perde la matrice stoner. E così veniamo accolti da una distorsione che ci introduce alla cavalcata di Vagrant Stomp, dall’headbanging esasperato. Attraversiamo poi il power blues dei temerari della taverna con la terza traccia. La Nwobhm rileva particolarmente, ben presto da un approccio maideniamo contaminato ci ritroviamo sul suolo dei Motorhead, veri numi tutelari del Goblin. L’attestato di stima che vi sarà anni dopo da parte di Phil Campbell nei confronti di Ben Ward e compagni si intitola Faith in Fire, fatevi un giro anche da quelle parti. La città si ghiaccia al termine delle fiamme e un trascinato ipnotico e furioso ci accompagna al termine del blues, con quel Ben Ward dalla voce mastodontica che diviene egli stesso un predicatore, proprio come quel Solomon Eagle, ma probabilmente dalle tonalità più acide. Non vi è tregua, l’album è un pieno bombardamento e non si possono neanche separare gli strumenti e parlare in maniera individuale dell’abilità di Myllard come bassista, del batterista Turner o di Joe Hoare, in quanto il combo agisce come una macchina sotto la guida delle corde di Ward, anch’egli strumento portante, non solo frontman della band. La dinamicità del singer è notevole all’interno del disco, dosando sapientemente le proprie "forze" e arrivando addirittura a narrare in Hot Knives and Open Sores. E se l’atmosfera di Hounds Ditch viene definita da un guitar riffing sinistro per poi esplodere nel classico stoner sound degli Orange Goblin, in They Come Back tali sonorità si evolvono assumendo connotati thrashy risultando perfettamente adeguate con il resto del disco.
Il vero capolavoro risulta la traccia finale, Beginners guide to suicide è l’heavy blues che almeno una volta si è ascoltato nei momenti di difficoltà, un ibrido tra stoner e delta che fino a questo momento non era stato azzardato. Distorsioni bassistiche che si mischiano alla steel guitar e all’effetto organo della tastiera, mentre Turner dietro le pelli si calma permettendo a Joe Hare di demonizzarsi, Ben Ward si adatta a questo amalgama sonoro, mentre l’armonica ci ricorda tempi lontani, in cui tutte queste sonorità non avevano ancora visto la luce. Il tutto viene rinforzato in uno stoner dinamitardo, con il solo di armonica e quello di chitarra, la batteria a cavalcare gradualmente e con un solido basso al centro.
Non si può parlare di punto di svolta, ma di uno dei dischi migliori dello stoner metal sicuramente. Healing Through Fire è qualcosa di irripetibile, che parte dalle sonorità dei londinesi attraversando varie epoche ed influenze. Si possono citare gli Iron Maiden, Motorhead, Muddy Waters e il delta blues, la musica rinascimentale e forse per la prima volta non sono i Black Sabbath la prima influenza che viene all’orecchio. La cosa sorprendente è che nonostante i nomi citati, il risultato non sia mero citazionismo, ma gli Orange Goblin dimostrano come senza questi progetti la loro musica non esisterebbe. Lo stoner proposto prende quindi un’altra piega integrando tanta personalità e la produzione, infine, rende solo perfetto un quadro già eccellente.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
2
|
....grandissima band.....anche questo un ottimo album....🤟 |
|
|
|
|
|
|
1
|
Buon album come al solito. 88 mi sembra un\'esagerazione, io dare un 70 |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
Mayan Records / Sanctuary
|
|
|
Tracklist
|
1. The Ballad of Solomon Eagle 2. Vagrant Stomp 3. The Ale House Braves 4. Cities of Frost 5. Hot Knives and Open Sores 6. Hounds Ditch 7. Mortlake (Dead Water) 8. They Come Back (Harvest of Skulls) 9. Beginners Guide To Suicide
|
|
Line Up
|
Ben Ward (Voce) Joe Hoare (Chitarra) Martin Myllard (Basso) Chris Turner (Batteria)
Musicisti Ospiti: Andrew Hartwell (Voci addizionali su Traccia 8) Johnny Honkeyfinger (Armonica, Steel Guitar su Traccia 9) Jay Graham (Tastiere su Tracce 1 e 9)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|