Con l'ultimo Diabolical, i Destruction avevano dimostrato di avere ancora qualcosa da dire, malgrado la partenza dello storico chitarrista e co-fondatore Mike Sifringer, uscito dal gruppo nel 2021. Non male per una band che tagliava l'onorevole traguardo dei quarant'anni di attività proprio in occasione dell'uscita del suddetto disco, nel 2022. Dopo un'imponente tournée celebrativa che li ha visti attraversare Europa e Sudamerica, i Nostri tornano alla carica con Birth of Malice -sedicesimo full-lenght e decimo dalla renaissance iniziata con l'ormai lontano The Antichrist (2001). Diciamocelo: è dalla pubblicazione del suddetto capolavoro che la band del possente Schmier ne ripete fondamentalmente la ricetta, senza più davvero (osare) uscire dal seminato. Da questo punto di vista, Diabolical riusciva a dinamizzare una proposta sì sempre efficace e piacevole, ma indubbiamente un po' statica (i più critici diranno pure stantia). L'arrivo del nuovo acquisto Martin Furia, chiamato a rimpiazzare l'uscente Mike Sifringer, ha probabilmente giocato un ruolo nel buon esito del platter, al quale Birth of Malice si lega in maniera diretta e naturale.
Non sarà una sorpresa per nessuno, il gruppo teutonico non si scosta dal sentiero percorso da quasi 25 anni a questa parte, nemmeno stavolta. Ma bollare Birth of Malice solo come un nuovo disco Destruction sarebbe poco rispettoso nei confronti di una formazione dal peso storico innegabile, comunque sempre in grado di regalare album solidi e ben confezionati, se non proprio imprescindibili. Come i predecessori, il nuovo nato mette quindi in avanti un thrash metal massiccio e strutturato, potente quanto tutto sommato beneducato, se ci passate il termine -lontano in ogni caso dalla brutalità sfoggiata da altri colleghi, più o meno giovani. Spicca anche in quest'occasione l'ottimo guitar work della coppia d’asce Furia/Eskić, spesso alle prese con assoli mirabolanti dal gusto apertamente melodico, che ritroviamo copiosi nel corso della durata del lavoro. Dopo la breve introduzione, questo inizia con Destruction, brano autocelebrativo sin dal titolo (è giusto così), ma capace, al di-là di un testo un po' facilone, di mettere in campo una buona potenza di fuoco. Il thrash dei teutonici è tirato a lucido, rasposo e fumante, ma comunque pronto a fare qualche concessione alla melodia, specialmente negli assoli e nel refrain, malgrado il cantato rancoroso di uno Schmier in ottima forma. I Destruction come li conosciamo dunque, ma che si mantengono su buoni livelli, come dimostrato dalla tripletta di brani successivi. Cyber Warfare, No Kings - No Masters e Scumbag Human Race non cambiano certo le carte in tavola, ma si rivelano decisamente riusciti. Mettendo (temporaneamente) in pausa gli ammiccamenti della canzone precedente, il Quartetto si decide a sfoderare gli artigli fino in fondo, scodellando tre brani veloci, affilati, e rocciosi, dove le asperità del thrash teutonico emergono finalmente in tutta la loro veemenza. Sicuramente tra i migliori passaggi del disco, tra l’altro arricchiti dai pregevoli assoli dei precitati chitarristi. Passata l’altrettanto veloce e tagliente God of Gore, il cingolato di Weil am Rhein abbassa i battiti: A.N.G.S.T. è il classico brano cadenzato e velenoso, che si mantiene in buon equilibrio tra l'atmosfera e il groove. Anche la seguente Dealer of Death mostra un andamento tutto sommato controllato, ma spicca soprattutto per il ritornello leggiadro, steso su di un’ammiccante progressione dal sapore heavy metal -non un brano sgradevole. Evil Never Sleeps si spinge ancora più lontano; dopo un ingannevole avvio groovy, il brano svela un ritornello parecchio melodico, non malriuscito ma forse un po’ radicale, almeno per gli standard dei Destruction. Chains of Sorrow tenta di rincattivire un po’ la situazione, senza riuscirsi totalmente; assieme alla seguente Greed, si tratta dell’episodio più debole del disco, chiuso da una cover di Fast as a Shark, gradevole ma nulla più.
Malgrado qualche episodio sottotono nel finale, Birth of Malice è un lavoro tutto sommato positivo, capace, nei suoi momenti migliori, di rivelarsi alquanto trascinante. La band è in ottima forma e può contare su di un savoir faire innegabile -e d’altronde non parliamo degli ultimi arrivati. Questa compattezza globale, frutto della lunga esperienza accumulata, si riversa in composizioni impattanti quanto relativamente articolate, che crescono indubbiamente con il passare degli ascolti. Certo, parole come sorpresa e cambiamento disertano il suono dei Destruction da moltissimi anni, ma i Nostri riescono ancora a cavare fuori dal cappello una certa freschezza generale, facendo (bene) quanto ci si aspetta da loro. Una durata lievemente più breve e un paio di episodi in meno avrebbero giovato al risultato finale, ma, tutto considerato, il sedicesimo lavoro dei Destruction resta all’altezza delle aspettative.
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