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20/04/25
ELEINE + TBA
LEGEND CLUB - MILANO
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28/03/2025
( 1463 letture )
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E il naufragar m’è dolce in questo mare
L’ultimo verso dell’Infinito leopardiano racchiude con suggestivo azzardo i moti dell’animo germoglianti all’ascolto di Tsunami Sea, un itinerario sinestetico in balìa di acque pericolose, rifugi contrastanti, allegorie metereologiche e tempeste interiori.
Una licenza poetica tanto altisonante rende onore al nuovo disco degli Spiritbox, attesi al varco dopo la fulminea scalata che li ha portati in cima alla piramide del modern metal anni ’20. I singoli preparatori degli Ep, l’ovazione globale ricevuta per il magnifico debutto Eternal Blue (2021), le subitanee conferme di Rotoscope/The Fear of Fear e i tour da headliner hanno infatti esteso a macchia d’olio la reputazione dei canadesi, artefici di un restyling del metalcore in base ad una sensibilità contemporanea privilegiante l’impiego versatile dell’elettronica (lontana dalle adolescenziali derive synth-core di metà ‘00/primi anni ‘10) e un gusto raffinato per il colore della melodia, non esente da richiami “pop” di alto livello e funzionale al comprovato dualismo tra il registro pulito e l’acredine harsh.
Seguendo l’emozionalità cromatica dei vari artwork, all’occhio risalta immediatamente il passaggio dalle nuance blu dell’esordio al fosco viola del 2023 fino all’attuale minimalismo di Tsunami Sea, cupo e struggente ritratto noir adibito ad una metaforica traversata nella quale la fragilità dei sentimenti umani e lo scavo doloroso nei ricordi si agganciano ad un immaginifico vocabolario marino, alquanto forbito e pieno di rimandi giocati su allusive equazioni connettenti la salute mentale e l’universo acquatico.
Sorrow follows me I feel it in my inhale when I breathe I can feel it in the exhale underneath Cascading over everyone and everything Watch it bloom like a bloodstain over me Wade into punishment, carry me
La burrascosa esperienza sonora prende il via dall’illusione ottica di Fata Morgana, tremendamente reale quando la granitica andatura metalcore (invischiata di fanghiglia sludge) e lo scream tirato a lucido di Courtney bucano l’ampia distesa del mare. Il tonfo, pur attutito dalla brezza melodica dei ritornelli e dell’arpeggio centrale, solleva un’onda di allarmanti proporzioni che deborda fra i cupi raggi di Black Rainbow, industrial djent-core glaciale ed estraniante nel filtro robotico della voce quanto nelle oscure dissonanze “aliene”, rapportabili a gruppi come i Veil of Maya o gli strabilianti Darko. Le limpide tonalità di Eternal Blue si riaffacciano sull’incantevole orizzonte di Perfect Soul, fotografato al tramonto dalla peculiare eleganza della main leader e dai vellutati cori di Josh Gilbert, assente dietro al microfono dai gloriosi tempi degli As I Lay Dying. Cuciture armoniche di egual valore, unite a brevi sfoghi unclean dal tratto più acuto, galleggiano sopra le fluide correnti melodic-djent di Keep Sweet ma, all’improvviso, l’ambiente marittimo viene sconvolto dalla nube temporalesca di Soft Spine, un rovescio di inaudita potenza flagellante a colpi di ritmiche ultra-distorte, venature nu metal, rabbiosi accorgimenti elettronici, harsh totalitarie e breakdown a rischio maremoto. Se la traccia vada interpretata come una stilettata a Ronnie Radke (per gli strascichi dovuti all’assenza nel tour dei Falling in Reverse) non è dato saperlo, intanto l’acquazzone ha lasciato il posto alla quiete di Tsunami Sea, a dispetto del titolo una gemma rara sagomata dalle frequenze di una Courtney soave e a dir poco celestiale.
No wake and no shelter We are eroded, I remember Haven has two faces One is to create and one is to replace it
Il cuore pulsa, la nostalgia aumenta, la memoria riporta a galla vecchie ferite.
A Haven with Two Faces, ovvero l’ambivalenza di un’isola (Vancouver Island) percepita come gabbia e locus amoenus. Questo rapporto conflittuale, oscillante fra alta e bassa marea, scava nel profondo e all’interno di trame prog-metalcore rivisitate marca un agrodolce punto di non ritorno in quanto ad intensità lirico-emotiva, all’apice nel focoso ardore delle gradazioni in scream ubicate dopo la metà del brano. I postumi di uno sfogo tanto liberatorio si indirizzano verso il rancore furibondo di No Loss, No Love (industrial-core sospinto da un urto jinjeriano nella carica gutturale) ed evaporano negli inediti spunti electro-pop di Crystal Roses, dal taglio “hyper” alla Bring Me The Horizon (NeX GeN-Era) piacevolmente intrigante nonché risorsa virtuale per future traiettorie stilistiche. Continuando la navigazione al largo si fa d’appresso Ride the Wave, imperniata su un loop elettronico e sul variopinto trasformismo canoro di miss LaPlante, dolce sirena nel taglio “alternative pop” delle strofe, angelo custode nei ritornelli e temibile dea marina provocante larghi vortici nelle rapide di un bridge da vivere tutto in apnea. La discesa sul fondale e la risalita successiva testimoniate dalla malinconica atmosfera di Deep End donano il senso ultimo a questo emozionante viaggio, lambito alle battute finali da punteggiature acustiche e dal mormorio di onde mai così evocative.
La pressione era davvero alle stelle, ma la band ha superato in maniera ottimale il difficile crash test regalando all’iconico Eternal Blue un erede di altissimo lignaggio: padroni di un sound riconoscibile e identitario, gli Spiritbox in formato m. f. 9 controllano a loro piacimento l’energia dello Tsunami e, negli scenari di mareggiata come in quelli più idilliaci, riescono a tradurre in musica una vasta gamma di sensazioni e pregevoli eufonie con la stessa mirabile qualità.
Al giro di boa del decennio, l’ormai affermata line-up canadese è dunque una delle migliori espressioni in cui il metalcore poteva sperare di evolversi e Tsunami Sea, già certificato highlight del 2025, non fa che ribadirne l’attuale grandezza.
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12
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Quello sì, ma ne facevo un discorso prettamente stilistico. |
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11
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@Carmine, il là a tutto quanto lo hanno dato oggettivamente i Bring me the Horizon, a partire da Sempiternal che ha dato il là a tutto il movimento -core attuale, a mio modo di vedere. Gli Architects sinceramente non fanno un album di rilievo ormai da tempo e anzi, hanno più volte provato a inserirsi ma con scarsi risultati (giusto nell\'ultimo disco qualcosa di interessante, ma niente di più). In ogni caso, temevo che sinceramente la presenza di Fisher alla produzione potesse conformare il suono degli Spiritbox ad altri gruppi del genere, ma per fortuna così non è stato. Gruppo che a mio modo di vedere è la punta di diamante del genere e anche questo disco ne è la dimostrazione. Concordo con la valutazione. |
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10
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Il duo Stringer/LaPlante avanza e fa terra bruciata attorno con un\'altra produzione che sarà ricordata per aver dato una boccata d\'aria al genere (e a dare ulteriore ragione alla visionarietà degli Architects che sono tra quelli che hanno dato il La a tutto questo e si beccano le stesse critiche sterili da tempo, ma ora questa è un\'altra storia). Volenti o nolenti questo è il presente, e ad oggi una proposta che pesca dagli ultimi 25 anni di questa musica (convogliando in un\'unica formula metalcore post-2000, post-metal e djent) e al contempo sta al passo col tempo con soluzioni moderne che si incastonano perfettamente nel disegno, non c\'è. Grande Stringer, che ha a che fare col metalcore sperimentale dai tempi dei iwrestledabearonce e qui dimostra di stare un passo avanti a tutti; e grande la LaPlante, che dai IWABO a qui ha avuto una crescita enorme e si sta dimostrando un\'ottima interprete, tra le migliori della scena moderna. |
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9
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Non vedo l\'ora di ascoltarlo. The fear of fear mi era piaciuto molto. |
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8
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bellissimo album.. mi piace molto ride the wave.... un capolavoro... |
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7
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Commento numero 2: che ci vuoi fare, dopo il covid si sono tutti rincitrulliti... |
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6
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Poco da aggiungere alla recensione, grande conferma.
Aspetto per chiudere il cerchio la rece dell’ultimo Architects, quante belle uscite quest’anno! |
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5
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Mi sta piacendo molto. Devo dire che mi ritrovo ad ascoltarlo con più continuità del predecessore, del quale invece ho preferito spesso solo alcuni pezzi, piuttosto che un ascolto continuativo. Ho apprezzato le varie sperimentazioni con influenze variegate ben evidenti all’interno dell’onnipresente prog/djent sound che sta alla base di tutto. Crystal Roses sarà un brano che non c’entra nulla, ma mi è piaciuto un sacco. Per me un 85 ci sta tutto, non è superiore a Eternal Blue e probabilmente avrà meno successo, anche forse a scelte di produzione abbastanza massiccia, ma è molto godibile anche per un neofita. |
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4
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Ascoltato per curiosità, anche se non è propriamente il mio genere. Nel suo contesto è sicuramente un disco ben fatto, un mix di metalcore (genere che ha più di 30 anni, non di certo una cosa nuova), inserti elettronici (anche qui niente di nuovo) e, in modo furbo, pop, che riesce ad attirare i più giovani, avvezzi a queste sonorità ma magari estranee al metal del passato. Devo dire che alcune canzoni mi piacciono, mentre altre (quelle più pop, o con passaggi pop) no. Sicuramente nota positiva la voce di Courtney che preferisco nettamente alle sue colleghe. Non rientrerà nei miei ascolti ma sicuramente è un buon album per i giovani. |
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3
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Pur non essendo propriamente il mio genere è innegabilmente un disco veramente notevole. Direi che siamo su un 90 pieno |
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2
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Non capisco come sta cosa possa riscuotere tale successo, a partire dalla produzione/mixaggio che per me rende automaticamente insufficiente il voto finale. |
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1
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Grande recensione (come sempre). Band strepitosa che spinge i confini del metal sempre a 360 gradi. Ho sentito qualche sfumatura dei Iwrestledabearonce (da cui provengono). |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Fata Morgana 2. Black Rainbow 3. Perfect Soul 4. Keep Sweet 5. Soft Spine 6. Tsunami Sea 7. A Haven with Two Faces 8. No Loss, No Love 9. Crystal Roses 10. Ride the Wave 11. Deep End
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Line Up
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Courtney LaPlante (Voce) Mike Stringer (Chitarra) Josh Gilbert (Basso, Cori) Zev Rosenberg (Batteria)
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