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JERRY CANTRELL
HALL , VIA NONA STRADA 11 B - PADOVA

Mystifier - The World Is So Good That Who Made It Doesn’t Live Here
03/05/2025
( 549 letture )
Il terzo disco è quasi sempre quello che chiama alla consacrazione, alla conferma di quanto di buono mostrato nelle prime prove, alla maturazione definitiva. Una maturazione che può assumere forme diverse e che impone scelte importanti: cementare il proprio status consolidando la propria formula, oppure rinnovarla, nella ricerca di nuove forme di espressione.

Non ebbero paura di percorrere questa seconda strada i brasiliani Mystifier, che nel 1996 si presentarono proprio con la loro terza fatica sulla lunga distanza, The World Is So Good That Who Made It Doesn't Live Here, un disco i cui contenuti erano destinati a stupire i fan degli esordi della band ben più dello stravagante titolo. Da sempre ideologicamente, concettualmente e musicalmente lontano dalle sirene scandinave, ma anche da quelle del death statunitense, il trio di Bahia aveva sempre proseguito sulle tracce di quel black primordiale che già negli anni Ottanta aveva estremizzato la lezione della first wave e che a tutti gli effetti ebbe un percorso parallelo rispetto al black Nordeuropeo diventato poi maggioritario. Una tendenza che proprio in Sud America ebbe notevole diffusione e che, senza mai dimenticare la lezione dei Sarcofago e strizzando l’occhio anche alle tradizioni black metal extra-scandinave (dal Mediterraneo passando per la Mitteleuropa) si risolveva in un black violento e primigenio non troppo differente dal cosiddetto war metal di Blasphemy e primi Beherit e perfettamente esemplificato nei primi due dischi dei Nostri, Wicca e Goetia.

I Mystifier, non paghi di essere tra i principali esponenti di questa corrente a trazione brasiliana, decisero però di rimaneggiare pesantemente le proprie coordinate in occasione del loro terzo lavoro, spiazzando chi all’epoca si aspettava che la band avrebbe proseguito sulla strada convincente tracciata dai predecessori. Se Goetia era un disco un disco cupo ma viscerale, quasi un punto di raccordo tra la violenza del war metal e le atmosfere notturne e sataniche dei Necromantia, The World Is So Good That Who Made It Doesn't Live Here sembrava voler appianare le irrequietudini “giovanili” offrendo una formula più evoluta, in cui la violenza selvaggia dei primi dischi veniva incanalata all’interno di un contesto più ragionato ma non meno oscuro. Il black feroce e senza compromessi degli esordi veniva largamente sostituito da un death spesso più posato, in cui si ricerca maggiormente l’atmosfera rallentando molto più di frequente i tempi, implementando più massicciamente le tastiere e sperimentando persino con particolari soluzioni vocali pulite. Lo scarto si avverte anche dal punto di vista dei testi e del concept: le liriche dominate dalle tematiche sataniche e occulte lasciano spazio infatti a visioni allegoriche, introspezioni e persino riflessioni para-filosofiche.

Già l’attacco di Give the Human Devil His Due lascia pochi dubbi: l’ascoltatore viene infatti accolto dalle altisonanti declamazioni di Asmoodeus, quasi stranianti a un primo approccio, per poi essere gettato nella canzone vera e propria. Seppure i tempi siano abbastanza veloci, soprattutto per la media del disco, si percepisce già come l’andamento sia comunque meno forsennato, il riffing leggermente meno caotico e più quadrato. Le ritmiche rallentano presto, per introdurre delle sezioni più lente e anche un triste intermezzo di pianoforte, per poi chiudere riprendendo il bellicoso incipit. Gli assoli di chitarra mostrano certamente un miglioramento rispetto al passato, grazie all’ascia imprestata da Paulo Lisboa dei deathster Headhunter D. C., che sostituiva per l’occasione i due chitarristi solisti che erano stati membri fissi della band fino a Goetia. A Chant to the Goddess of Love – Venus ha tutte le carte in regola per essere uno dei brani migliori del disco: l’organo imposta subito un’atmosfera inquietante e tragica, accompagnato da un riffing tra i più riusciti del lotto e da un bass-work di ottimo livello, prima di un finale meno teso, più emozionante. La formula è ben impostata anche per i brani successivi: The Death of an Immortal (According to the Astral Light), Idolatry, The Barbarian Duelling with the Wise sono tutte costruite su un death con evidente predilezione per i tempi medi su cui la band costruisce atmosfere misteriose e crepuscolari. L’apice espressivo e della sperimentazione di questa nuova formula viene raggiunto però forse proprio con la closer Moonick (Why Does It Never Rain on the Moon?), brano lungo, dalla struttura scomposta, dilatata e dall’andamento irregolare in cui il trio sfodera tutte le sue migliori soluzioni. La band, infatti, inizialmente accoglie l’ascoltatore con atmosfere più evocative che mai grazie all’impiego di chitarre e voci in clean e tastiere struggenti, per evolvere in un crescendo prima in un mid-tempo e poi nella sezione centrale più veloce e aggressiva e chiudersi infine con una lunga parte quasi esclusivamente strumentale in cui a farla da padrone è la chitarra solista, ma con spazio persino per un assolo di basso. Una sorta di compendio finale che conclude degnamente il disco cristallizzando un po’ tutte le qualità sfoggiate dalla band.

The World Is So Good That Who Made It Doesn't Live Here è dunque un disco diverso, forse meno d’impatto rispetto a Wicca e Goetia, ma sicuramente più complesso ed evoluto e se vogliamo più “rischioso”. Il feedback all’epoca infatti non fu sempre positivo e in molti non apprezzarono la nuova direzione intrapresa dalla band: il combo brasiliano, tuttavia, poco scosso dalle critiche, difese orgogliosamente le proprie scelte artistiche che, in retrospettiva, si dimostrarono più che riuscite. Evolvere dopo i primi due dischi, farlo in maniera convincente e originale e allo mantenendo una certa coerenza non era semplice, ma i Mystifier provarono di essere all’altezza della sfida.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
78.46 su 15 voti [ VOTA]
Pacino
Domenica 11 Maggio 2025, 7.39.42
2
Gran disco. Voto 92.
DaveHC
Lunedì 5 Maggio 2025, 17.35.53
1
Per quanto i primi dischi siano un must per un certo tipo di metal estremo dei primissimi anni 90, questo è quello che alla lunga rientra più facilmente nei miei ascolti ancora oggi dopo quasi 30 anni...
INFORMAZIONI
1996
Osmose Productions
Death
Tracklist
1. Give the Human Devil His Due
2. A Chant to the Goddess of Love - Venus
3. The Death of an Immortal (According to the Astral Light)
4. Idolatry
5. The Barbarian Duelling with the Wise
6. Moonick (Why Does It Never Rain on the Moon?)
Line Up
Arnald J.N.D. Asmoodeus (Voce, Tastiera)
Armand Beelzeebubth (Basso)
Aab Lucifuge Benaia (Batteria)

Musicisti ospiti
Paulo Lisboa (Chitarra)
 
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